2019-11-10
Le banche, i politici, pure Confindustria: forse l’Europa non è più un dogma
Da Carlo Cottarelli novello «keynesiano» alla Marcella Panucci che chiede protezione: per l'establishment il culto di Maastricht vacilla?In beata solitudine, La Verità ha dato conto delle parole di Carlo Messina, guida di Intesa Sanpaolo, sull'Ilva: come piano B in caso di addio di Arcelor Mittal, ha detto, «il governo dovrebbe valutare la possibilità di nazionalizzare l'Ilva, anche se potenzialmente in contrasto con le norme comunitarie». Entrambe le sottolineature sono significative non perché particolarmente curiose (paiono espressione di puro buon senso), quanto per la posizione «di sistema» di chi le pronuncia. Messina tutto è fuorché un politico a caccia di consenso, né può ovviamente essere considerato un sovversivo: piuttosto è lui stesso un perno del Paese. Per questo è notevole che consideri giusta l'eventualità di derogare o scontrarsi con le norme comunitarie laddove siano in gioco la stabilità, l'occupazione, il benessere, il lavoro: in una parola, l'interesse nazionale.Per quanto appaia scontato, è un passaggio che buona parte della classe dirigente ha considerato indicibile per molti anni. La polarizzazione fuorviante tra «populisti» e «competenti», «sovranisti» ed «europeisti», ha portato a eludere nel merito la gestione dei problemi, come il caso Ilva mostra in maniera drammatica. In queste ore si affastellano dichiarazioni e prese di posizione, tutte riconducibili a una lenta, inesorabile processione verso la Canossa della realtà. L'altro ieri Carlo Cottarelli, premier infelicemente incaricato da Sergio Mattarella nel maggio 2018, in audizione davanti alle Commissioni parlamentari si è detto «keynesiano», convinto cioè della necessità che uno Stato immetta risorse nell'economia specie nei momenti di contrazione. Lo stesso Cottarelli, sempre nel 2018, spiegava che la soluzione per l'Italia sarebbe stata un avanzo primario al «3,5-4%» e il «pareggio di bilancio». È stato forse conveniente non aver avuto una manovra impostata secondo questi criteri, vista la gelata scesa su mezza Europa.Nella stessa sede di Cottarelli, Giampaolo Galli ha sferrato un attacco duro alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, paventando rischi anche gravi per il nostro Paese. Galli è stato organico alla costruzione comunitaria, non ha interessi politici che possano far sospettare condizionamenti, e ha usato parole che stridono con l'acriticità con cui, per anni, anche dai vertici istituzionali, qualunque indicazione europea è stata seguita come insindacabile, a prescindere da tutto. Non a caso, Giuseppe Conte e Giovanni Tria sembrano aver condiviso i passi fin qui compiuti, piuttosto opacamente, in sede di Eurogruppo sul Mes.Sul Sole di ieri Marcella Panucci, dg di Confindustria, ha parlato in linguaggio cauto e angloide ma dal significato inequivoco: «C'è il nodo fondamentale della protezione nei confronti degli investitori extra Ue che sono emanazione di Stati sovrani. Non si mette certo in discussione la libertà di investimento, ma va garantito il level playing field e il mercato va protetto dalla concorrenza sleale, anche attraverso politiche antidumping e meccanismi di screening pregnanti [...] Le norme sulle concentrazioni furono pensate e scritte a fine anni '80, quando la situazione economica era completamente diversa». Poco oltre: «Credo che le società europee siano le meno protette al mondo». Si può obiettare che la Panucci parli anche per interesse, e invochi protezione ora che il vento freddo della concorrenza globale non risparmia nessuno. Però il concetto è: le attuali regole europee ci penalizzano e vanno cambiate. Al sodo, non è che le posizioni dei cosiddetti «euroscettici» possano essere considerate poi tanto lontane. Stefano Fassina, di certo su lidi politico-culturali non assimilabili alle associazioni datoriali, ha scritto l'altro ieri sull'Huffington Post: «In un “libero mercato" globale, drammaticamente squilibrato in termini di standard sociali e ambientali, o innalzi i dazi, almeno ai confini Ue, oppure abbandoni la produzione di acciaio, in particolare a Taranto. Senza dazi, i vincoli sacrosanti, ma costosissimi, sul versante ambientale e sanitario mettono fuori mercato chiunque produca in Puglia». Siamo lì.Un anno fa, qualunque oscillazione sullo spread veniva associata a imminenti catastrofi. Ora, un segnale come il «sorpasso» da parte dei titoli greci sui nostri riceve qualche nota non troppo allarmata. È giusto il peso dato adesso, forse: ma è anche un giudizio impietoso sull'uso fatto di questo indicatore per anni, nella nostra politica e nei rapporti internazionali. Insomma: banche, industriali, politica, osservatori, pur se in punta di piedi sembrano dare il benvenuto - con un ritardo un po' sconcertante - a un dato di fatto: ci sono margini negoziali, c'è un lavoro da fare perché il «ce lo chiede l'Europa» non si trasformi in un ricatto alla politica, di qualunque colore. Intanto, però, ieri il ministro tedesco Heiko Maas ha incontrato l'omologo Luigi Di Maio e gli ha detto: «Voglio manifestarti la mia stima per l'agenda così europeista che stai portando avanti con il nuovo governo».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)