2020-04-29
Il dl liquidità mette l’azienda in mano
ai sindacati
Norma trappola nel dl Liquidità: le imprese dovranno avere l'ok delle rappresentanze dei lavoratori per gestire i livelli occupazionali. Con il rischio di vertenze infinite.Le misure sulla liquidità scandite in due provvedimenti si stanno rivelando efficaci», ha detto ieri il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Eppure, tra i tanti punti oscuri del dl Liquidità c'è un passaggio specifico che ha fatto sobbalzare sulla sedia molti esperti di diritto del lavoro. Lo si trova sotto l'articolo 1 del decreto, al comma 2 relativo alle condizioni cui sono rilasciate le garanzie Sace. Ebbene, alla lettera L si legge che le imprese che vogliono accedere alle garanzie previste in materia di sostegno alla liquidità devono «assumere l'impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali». Cosa significa? «Che per gestire i livelli occupazionali l'impresa deve avere l'ok del sindacato e così ci troviamo anche in conflitto con l'articolo 41 della Costituzione in base al quale “l'iniziativa economica privata è libera". Nemmeno il giudice può sindacare la decisione del datore di lavoro di riorganizzarsi. Perché, invece, tale decisione deve avere l'ok preventivo del sindacato?», spiega alla Verità l'avvocato Ranieri Romani di Lca studio legale. «L'emergenza non deve giustificare limiti all'iniziativa di impresa. Anche perché il rischio che una disciplina provvisoria diventi definitiva è molto alto. Inoltre, in quelle due righe del decreto si parla genericamente di gestione di livelli occupazionali e ciò rischia di non riguardare solo la gestione dei licenziamenti ma anche delle assunzioni. Così come è scritta la norma si può prestare a molte interpretazioni: mettiamo il caso che l'azienda voglia fare assunzioni a tempo determinato per gestire l'emergenza e il sindacato dice no, cosa succede? La mancanza di chiarezza rischia di rendere definitivo qualcosa che viene presentato sommariamente come provvisorio», aggiunge Romani. Ammesso, poi, che la norma sia riferita ai soli licenziamenti, così come prevista, potrebbe portare a prevedere il divieto di licenziamento in assenza di un consenso sindacale: il che, sostengono molti esperti, rischia di travolgere tutta la normativa sui licenziamenti attualmente in vigore. Generando non pochi dubbi e con il rischio di provocare infiniti contenziosi. Cosa accade a chi non rispetta questa norma? Perde le garanzie? Anche se l'idea del legislatore era solo la gestione dei livelli occupazionali in uscita, quanto deve restare valida? Per tutta la durata del sostegno di liquidità? E poi vale solo per i dipendenti o anche per i dirigenti? Si aggiunge o si sostituisce alla giurisprudenza già esistente sui licenziamenti collettivi o questi ne sono esentati? La legge 223 del 1991, ad esempio, prevede già l'obbligo di consultazione e l'esame congiunto senza alcun obbligo a contrarre. Se non vi è l'accordo sindacale il datore di lavoro può comunque irrogare i licenziamenti. Il decreto liquidità prevede, invece, un obbligo di sottoscrivere un accordo sindacale per gestire i livelli occupazionali. Ma se licenzio senza accordo sindacale cosa perdo? È illegittimo il licenziamento? «Alcuni sostengono non vi sarebbero sanzioni perché la norma non le prevede espressamente, dimenticandosi però che esiste l'articolo 28 dello statuto dei lavoratori sulla condotta antisindacale cui sicuramente qualche organizzazione dei lavoratori sarebbe pronta ad appellarsi». Ecco perché, secondo Romani, questa norma andrebbe tolta evitando così di sminuire il vero valore del decreto. «O se comunque per qualche ragione non fosse possibile eliminarla, in sede di conversione dovrà necessariamente essere resa più specifica. Altrimenti, data la genericità, il rischio vero è quello di creare inevitabili e lunghi contenziosi che non sono utili a nessuno, tantomeno alle imprese che devono ripartire il prima possibile.»Andare a limitare una prerogativa che è unicamente nelle mani del datore di lavoro è il punto saltato subito agli occhi anche dell'avvocato Angelo Di Gioia dello studio Trifirò&Partners, specializzato in diritto del lavoro: «La previsione del decreto liquidità dell'impegno dell'impresa a gestire livelli occupazionali con le organizzazioni sindacali è un elemento di forte rigidità che può essere visto in senso negativo da parte dell'impresa. Si tratta di un limite pesante perché entra in un settore che è rimesso alla discrezionalità e al potere organizzativo del datore di lavoro. Una forzata cogestione con il sindacato limita l'operatività», commenta Di Gioia. «È vero che ci troviamo in un contesto di emergenza in cui si trovano strumenti estremi ma non si può dare con una mano e limitare l'accesso al contributo con l'altra. Il problema è che la norma è estremamente generica e introduce un vincolo incerto anche per quello che potrebbero chiedere i sindacati. L'interpretazione poi è dei giudici con il rischio di una coda di contenziosi pesante. Va chiarito in sede di conversione anche fissando un arco temporale di applicazione che per il momento non è scritto. In Italia abbiamo un'iperproduzione normativa già nell'ordinario, figuriamoci adesso nell'emergenza. E questo può generare ulteriore incertezza complicando la finalità del decreto». Nel frattempo, ieri, sono stati aggiornati i numeri sulle richieste di garanzie pervenute al Fondo di garanzia: dal 17 marzo (data di entrata in vigore del decreto Cura Italia) al 27 aprile, sono state 38.921 per un importo finanziato di 3,6 miliardi.
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