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2021-06-17
Lazio, Emilia e Puglia si ribellano al cocktail. Sì ad Astrazeneca anche agli under 60
Ansa
L'ennesima polemica tra regioni e governo si sta consumando, in questi giorni, sul mix vaccinale. Alla circolare del ministero della Salute - che quattro giorni fa ha anche bloccato la seconda somministrazione del prodotto di Astrazeneca alle persone sotto i 60 anni - la Regione Lazio oppone la questione del consenso informato per rispondere agli under 60 che rinunciano alla vaccinazione mista. «Abbiamo chiesto al ministero della Salute di dare un parere riguardo a uno specifico consenso informato, affinché possa decidere il medico in scienza e coscienza, poiché è importante, per raggiungere l'immunizzazione, che siano completati i percorsi vaccinali», ha scritto ieri, al Foglio, Alessio D'Amato, assessore alla Sanità del Lazio. La questione si è posta perché «una quota di cittadini, ad oggi stimata intorno al 10%, nella fascia d'età 50/59 anni rifiuta il mix eterologo», dice in una nota D'Amato.
Il problema non è di secondaria importanza, mentre arrivano dati che solo la vaccinazione completa (doppia dose) protegge dalle varianti del Sars-Cov2, in particolare la delta che ha già spostato di un mese le riaperture in Inghilterra. L'assessore chiede lumi su come procedere: lasciare queste persone «con un'unica somministrazione di vaccino, senza completare il percorso e senza di conseguenza rilasciare il certificato vaccinale? Oppure rimettere la valutazione al medico in scienza e coscienza? Noi crediamo che la strada sia quest'ultima».
Senza chiedere chiarimenti, ha già introdotto questa prassi l'Emilia Romagna. La regione ha iniziato i richiami con vaccini diversi negli under 60, ma prevede, su specifica richiesta del paziente, che firma un «documento di accettazione volontaria», di somministrare il prodotto di Oxford, previa valutazione del medico. Con la previsione che il 50% dei pugliesi under 60 rifiuti la vaccinazione mista, anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano è corso ai ripari: «Chi vorrà potrà farsi la seconda dose sempre con Astrazeneca» spiega «Consideriamo però il fatto che la vaccinazione è un atto singolo, è sempre il medico ad avere l'ultima parola». Ha invece ingranato la retromarcia la Campania. Domenica il presidente Vincenzo De Luca aveva sostenuto che non avrebbe più somministrato a nessuno sia Astrazeneca sia Johnson & Johnson, mentre ieri ha capitolato adeguandosi a quanto previsto dalla circolare: i due vaccini a vettore virale solo agli over 60, no al di sotto dei 60 anni e richiamo con un prodotto a mRna (Pfizer o Moderna).
La spiazzante decisione di Aifa di autorizzare una pratica, come quella della vaccinazione eterologa, cioè con vaccini diversi, sulla base di pochi dati scientifici, non poteva che scatenare il caos nei territori. La Liguria, ad esempio, si è adeguata, anche se il governatore Giovanni Toti non ha perso l'occasione per ribadire che anche quando si è utilizzato Astrazeneca sotto i 60 anni ci si è attenuti alle indicazioni del Cts. Si sono allineati la Toscana, il Piemonte, la Sicilia e Umbria, anche se in quest'ultima solo il 30% ha accettato il richiamo con altro vaccino. Il Veneto di Luca Zaia ha dichiarato di applicare «pedissequamente quello che viene prescritto».
In attesa di fare un po' di chiarezza nell'incontro di oggi in Conferenza Stato-Regioni, Massimiliano Fedriga e i presidenti non ci stanno però a passare per i responsabili del caos. «Non sono le Regioni ad andare in ordine sparso, c'è stata molta confusione da parte degli organismi regolatori» sottolinea ricordando che non sono loro ad aver indicato Astrazeneca prima per gli under 55, poi per tutti e infine solo per gli over 60. «Mi preoccupa questa comunicazione convulsa che rischia di danneggiare la campagna vaccinale». Una confusione confermata nella nota con cui l'Agenzia europea del farmaco (Ema), parlando di «disinformazione», ha ribadito che il vaccino di Astrazeneca «resta autorizzato per tutta la popolazione». L'Agenzia italiana (Aifa), invece, difende i mille casi testati con il mix vaccinale, contro i milioni di vaccinazioni complete del vaccino anglosvedese che dimostrano come gli effetti avversi ci siano solo con la prima dose. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, dal canto suo, si è vaccinato solo ieri dal suo medico, ma punta i piedi affermando che «le nostre indicazioni sono perentorie e devono essere seguite. Non è un dibattito politico, non è un presidente del consiglio, un ministro o un presidente di regione che decide: la comunità scientifica internazionale ha dato indicazioni su Astrazeneca che sono cambiate sulla base delle evidenze scientifiche e noi dobbiamo seguirle».
Il ministro si riferisce ai «crossing vaccinale» già in corso in Germania, Francia e Spagna e che spaccia come «evidenze e studi scientifici».
Peccato che il ministro non ricordi che la medicina non è una scienza perfetta, gli esseri umani non sono fatti in serie, ma i numeri fanno la differenza. Non a caso ci sono i medici: professionisti in grado di adeguare le statistiche al singolo paziente, perché non debba soccombere in balia di capriole politiche.
Il Cts ormai si dà alla divinazione: «Senza il mix 15 trombosi in più»
Benedetto il Comitato tecnico scientifico che ci illumina e salva da morte sicura. In (un'intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, l'immunologo Sergio Abrignani ha detto che «i suggerimenti del Cts» di cui fa parte, cioè di somministrare la seconda dose con un vaccino diverso a chi ha ricevuto Vaxzevria di Astrazeneca, «probabilmente eviteranno almeno una quindicina di trombosi da vaccino, considerando che le dosi sarebbero andate a una decina di milioni di persone». Proviamo solo un attimo a riflettere sull'effetto di queste parole in tutti coloro che già sono stati immunizzati con il farmaco anglo svedese (e temono reazioni nel tempo), così pure in quanti rimangono in attesa della seconda dose. Sono esperti di cui fidarsi, quelli che parlano ai quattro venti cambiando in continuazione parere, o i riflettori mediatici li hanno completamente abbagliati?
Ad aprile, il professore ordinario di patologia generale presso l'Università degli Studi di Milano, dichiarava all'agenzia di stampa Dire: «Per il richiamo di Astrazeneca sappiamo che alla seconda dose non c'è nessun caso di trombosi. Quasi sicuramente i casi trombotici si manifestano in chi fa il vaccino alla prima dose». Abrignani aveva anche aggiunto come esortazione: «Vaccinatevi, vaccinatevi, vaccinatevi. Non ascoltate i cialtroni dei no vax e non spaventatevi su tutto quello che diranno su Astrazeneca e J&J. Ricordiamoci che la vaccinazione è un evento medico e come sempre può avere rischi e benefici».
Trascorrono meno di due mesi, e certezze quali «alla seconda dose non c'è nessun caso di trombosi» sono miseramente infrante, al punto che il professore si compiace perché ancora una volta è stato cambiato parere su quel benedetto farmaco. Così saranno salvate persone da possibili trombosi. L'esperto di sicuro non deve mai avere amato Astrazeneca, perché sul richiamo se ne uscì con: «Potendo scegliere, è chiaro che andrei anche io su Pfizer o Moderna, ma il problema è che abbiamo carenza di vaccini».
Cts e governo hanno deciso di imporre la vaccinazione eterologa alla popolazione under 60 «pur in assenza di segnali di allerta preoccupanti», quindi non si capisce perché l'immunologo parli di scampato pericolo. Il rischio c'è o non c'è. Sempre ad aprile, alla domanda di The Watcher sul perché l'Italia non avesse pensato di far completare la vaccinazione con una seconda dose diversa, così come fanno Germania e Francia, l'esperto che era stato indicato per il Cts dalla Conferenza delle Regioni dichiarò: «Anzitutto perché non ci sono molti dati disponibili su questa opzione da prendere in considerazione». In meno di sessanta giorni poco è cambiato, sono sempre scarsi gli studi sulla sicurezza e l'efficacia della vaccinazione eterologa, i risultati nemmeno sono stati pubblicati su riviste peer reviewed, cioè con una valutazione paritaria effettuata da esperti del settore per mantenere gli standard di qualità.
Eppure una determina dell'Aifa, la nostra agenzia regolatoria, autorizza il mix vaccinale e il ministero della Salute addirittura lo impone fino ai 60 anni, impedendo la seconda dose con Astrazeneca. L'immunologo dà per scontate «almeno una quindicina di trombosi», se si proseguisse senza cambiare, il Cts parla di decisione presa «in ottemperanza a un principio di massima cautela». Il Comitato ha scelto la vaghezza per non riferire dati certi più preoccupanti, o è il professore che semina terrore? Dopo le sue ultime esternazioni, anche se volessero, ben pochi under 60 si sentirebbero tranquilli di completare l'immunizzazione con quel vaccino. L'obbligatorietà del mix, imposta dal ministro Roberto Speranza, sgombera il campo da ogni esitazione, ma non servivano le parole di Abrignani per affossare definitivamente un farmaco mal visto dai politici e dalle nostre autorità sanitarie.
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Regioni contro Roberto Speranza: via libera alla seconda dose col vaccino anglosvedese se il paziente lo richiede e il medico acconsenteSergio Abrignani spara stime a caso a difesa del miscuglio. Così però si terrorizza la popolazioneLo speciale contiene due articoliL'ennesima polemica tra regioni e governo si sta consumando, in questi giorni, sul mix vaccinale. Alla circolare del ministero della Salute - che quattro giorni fa ha anche bloccato la seconda somministrazione del prodotto di Astrazeneca alle persone sotto i 60 anni - la Regione Lazio oppone la questione del consenso informato per rispondere agli under 60 che rinunciano alla vaccinazione mista. «Abbiamo chiesto al ministero della Salute di dare un parere riguardo a uno specifico consenso informato, affinché possa decidere il medico in scienza e coscienza, poiché è importante, per raggiungere l'immunizzazione, che siano completati i percorsi vaccinali», ha scritto ieri, al Foglio, Alessio D'Amato, assessore alla Sanità del Lazio. La questione si è posta perché «una quota di cittadini, ad oggi stimata intorno al 10%, nella fascia d'età 50/59 anni rifiuta il mix eterologo», dice in una nota D'Amato. Il problema non è di secondaria importanza, mentre arrivano dati che solo la vaccinazione completa (doppia dose) protegge dalle varianti del Sars-Cov2, in particolare la delta che ha già spostato di un mese le riaperture in Inghilterra. L'assessore chiede lumi su come procedere: lasciare queste persone «con un'unica somministrazione di vaccino, senza completare il percorso e senza di conseguenza rilasciare il certificato vaccinale? Oppure rimettere la valutazione al medico in scienza e coscienza? Noi crediamo che la strada sia quest'ultima». Senza chiedere chiarimenti, ha già introdotto questa prassi l'Emilia Romagna. La regione ha iniziato i richiami con vaccini diversi negli under 60, ma prevede, su specifica richiesta del paziente, che firma un «documento di accettazione volontaria», di somministrare il prodotto di Oxford, previa valutazione del medico. Con la previsione che il 50% dei pugliesi under 60 rifiuti la vaccinazione mista, anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano è corso ai ripari: «Chi vorrà potrà farsi la seconda dose sempre con Astrazeneca» spiega «Consideriamo però il fatto che la vaccinazione è un atto singolo, è sempre il medico ad avere l'ultima parola». Ha invece ingranato la retromarcia la Campania. Domenica il presidente Vincenzo De Luca aveva sostenuto che non avrebbe più somministrato a nessuno sia Astrazeneca sia Johnson & Johnson, mentre ieri ha capitolato adeguandosi a quanto previsto dalla circolare: i due vaccini a vettore virale solo agli over 60, no al di sotto dei 60 anni e richiamo con un prodotto a mRna (Pfizer o Moderna). La spiazzante decisione di Aifa di autorizzare una pratica, come quella della vaccinazione eterologa, cioè con vaccini diversi, sulla base di pochi dati scientifici, non poteva che scatenare il caos nei territori. La Liguria, ad esempio, si è adeguata, anche se il governatore Giovanni Toti non ha perso l'occasione per ribadire che anche quando si è utilizzato Astrazeneca sotto i 60 anni ci si è attenuti alle indicazioni del Cts. Si sono allineati la Toscana, il Piemonte, la Sicilia e Umbria, anche se in quest'ultima solo il 30% ha accettato il richiamo con altro vaccino. Il Veneto di Luca Zaia ha dichiarato di applicare «pedissequamente quello che viene prescritto». In attesa di fare un po' di chiarezza nell'incontro di oggi in Conferenza Stato-Regioni, Massimiliano Fedriga e i presidenti non ci stanno però a passare per i responsabili del caos. «Non sono le Regioni ad andare in ordine sparso, c'è stata molta confusione da parte degli organismi regolatori» sottolinea ricordando che non sono loro ad aver indicato Astrazeneca prima per gli under 55, poi per tutti e infine solo per gli over 60. «Mi preoccupa questa comunicazione convulsa che rischia di danneggiare la campagna vaccinale». Una confusione confermata nella nota con cui l'Agenzia europea del farmaco (Ema), parlando di «disinformazione», ha ribadito che il vaccino di Astrazeneca «resta autorizzato per tutta la popolazione». L'Agenzia italiana (Aifa), invece, difende i mille casi testati con il mix vaccinale, contro i milioni di vaccinazioni complete del vaccino anglosvedese che dimostrano come gli effetti avversi ci siano solo con la prima dose. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, dal canto suo, si è vaccinato solo ieri dal suo medico, ma punta i piedi affermando che «le nostre indicazioni sono perentorie e devono essere seguite. Non è un dibattito politico, non è un presidente del consiglio, un ministro o un presidente di regione che decide: la comunità scientifica internazionale ha dato indicazioni su Astrazeneca che sono cambiate sulla base delle evidenze scientifiche e noi dobbiamo seguirle». Il ministro si riferisce ai «crossing vaccinale» già in corso in Germania, Francia e Spagna e che spaccia come «evidenze e studi scientifici». Peccato che il ministro non ricordi che la medicina non è una scienza perfetta, gli esseri umani non sono fatti in serie, ma i numeri fanno la differenza. Non a caso ci sono i medici: professionisti in grado di adeguare le statistiche al singolo paziente, perché non debba soccombere in balia di capriole politiche.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lazio-emilia-e-puglia-si-ribellano-al-cocktail-si-ad-astrazeneca-anche-agli-under-60-2653407080.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cts-ormai-si-da-alla-divinazione-senza-il-mix-15-trombosi-in-piu" data-post-id="2653407080" data-published-at="1623873332" data-use-pagination="False"> Il Cts ormai si dà alla divinazione: «Senza il mix 15 trombosi in più» Benedetto il Comitato tecnico scientifico che ci illumina e salva da morte sicura. In (un'intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, l'immunologo Sergio Abrignani ha detto che «i suggerimenti del Cts» di cui fa parte, cioè di somministrare la seconda dose con un vaccino diverso a chi ha ricevuto Vaxzevria di Astrazeneca, «probabilmente eviteranno almeno una quindicina di trombosi da vaccino, considerando che le dosi sarebbero andate a una decina di milioni di persone». Proviamo solo un attimo a riflettere sull'effetto di queste parole in tutti coloro che già sono stati immunizzati con il farmaco anglo svedese (e temono reazioni nel tempo), così pure in quanti rimangono in attesa della seconda dose. Sono esperti di cui fidarsi, quelli che parlano ai quattro venti cambiando in continuazione parere, o i riflettori mediatici li hanno completamente abbagliati? Ad aprile, il professore ordinario di patologia generale presso l'Università degli Studi di Milano, dichiarava all'agenzia di stampa Dire: «Per il richiamo di Astrazeneca sappiamo che alla seconda dose non c'è nessun caso di trombosi. Quasi sicuramente i casi trombotici si manifestano in chi fa il vaccino alla prima dose». Abrignani aveva anche aggiunto come esortazione: «Vaccinatevi, vaccinatevi, vaccinatevi. Non ascoltate i cialtroni dei no vax e non spaventatevi su tutto quello che diranno su Astrazeneca e J&J. Ricordiamoci che la vaccinazione è un evento medico e come sempre può avere rischi e benefici». Trascorrono meno di due mesi, e certezze quali «alla seconda dose non c'è nessun caso di trombosi» sono miseramente infrante, al punto che il professore si compiace perché ancora una volta è stato cambiato parere su quel benedetto farmaco. Così saranno salvate persone da possibili trombosi. L'esperto di sicuro non deve mai avere amato Astrazeneca, perché sul richiamo se ne uscì con: «Potendo scegliere, è chiaro che andrei anche io su Pfizer o Moderna, ma il problema è che abbiamo carenza di vaccini». Cts e governo hanno deciso di imporre la vaccinazione eterologa alla popolazione under 60 «pur in assenza di segnali di allerta preoccupanti», quindi non si capisce perché l'immunologo parli di scampato pericolo. Il rischio c'è o non c'è. Sempre ad aprile, alla domanda di The Watcher sul perché l'Italia non avesse pensato di far completare la vaccinazione con una seconda dose diversa, così come fanno Germania e Francia, l'esperto che era stato indicato per il Cts dalla Conferenza delle Regioni dichiarò: «Anzitutto perché non ci sono molti dati disponibili su questa opzione da prendere in considerazione». In meno di sessanta giorni poco è cambiato, sono sempre scarsi gli studi sulla sicurezza e l'efficacia della vaccinazione eterologa, i risultati nemmeno sono stati pubblicati su riviste peer reviewed, cioè con una valutazione paritaria effettuata da esperti del settore per mantenere gli standard di qualità. Eppure una determina dell'Aifa, la nostra agenzia regolatoria, autorizza il mix vaccinale e il ministero della Salute addirittura lo impone fino ai 60 anni, impedendo la seconda dose con Astrazeneca. L'immunologo dà per scontate «almeno una quindicina di trombosi», se si proseguisse senza cambiare, il Cts parla di decisione presa «in ottemperanza a un principio di massima cautela». Il Comitato ha scelto la vaghezza per non riferire dati certi più preoccupanti, o è il professore che semina terrore? Dopo le sue ultime esternazioni, anche se volessero, ben pochi under 60 si sentirebbero tranquilli di completare l'immunizzazione con quel vaccino. L'obbligatorietà del mix, imposta dal ministro Roberto Speranza, sgombera il campo da ogni esitazione, ma non servivano le parole di Abrignani per affossare definitivamente un farmaco mal visto dai politici e dalle nostre autorità sanitarie.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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