2022-05-07
Lavrov ci aveva detto tutto quattro anni fa. L’abbiamo snobbato
Sergej Lavrov (Getty images)
Il ministro degli Esteri russo diceva: «Dietro la “solidarietà transatlantica” c’è un disegno anti russo. La pacificazione in Ucraina passa dalla soluzione della questione Donbass».Nel maggio del 2018 era un’altra Italia, un’altra Europa. Il nostro Paese vedeva i preparativi per il futuro governo gialloverde, con l’Unione europea che esercitava le sue pressioni attraverso i falchi della Commissione. Nessuno poteva pensare che quattro anni dopo avremmo avuto i carri armati a due passi da casa. Nessuno tranne Sergej Lavrov, già da 10 anni ministro degli Esteri della Russia, che ben prima dell’intervista dello scandalo a «Zona Bianca» metteva le carte in tavola in una lunga chiacchierata con «Panorama», di cui riportiamo ampi stralci. Parole che, lette oggi, hanno il sapore amaro di un cupo « l’avevo detto». Ruolo della Nato, visione «multipolare» rispetto al monocolo atlantista, scetticismo sull’efficacia delle sanzioni, Pechino come partner strategico di Mosca. Elementi che hanno progressivamente inclinato il piano verso il conflitto che devasta l’Ucraina.Signor ministro, veramente si potrebbe verificare un conflitto armato tra la Russia e alcuni Paesi occidentali?«È evidente che purtroppo la situazione nel mondo si fa sempre più tesa e meno prevedibile. Abbiamo più volte dichiarato che questa situazione è in gran parte frutto delle continue azioni unilaterali degli Stati Uniti e di alcuni Stati occidentali che gli Usa hanno schiacciato sulle proprie posizioni. Stiamo parlando di un piccolo gruppo di Paesi che non rappresenta una parte significativa dell’umanità ma che, nel tentativo di mantenere un medievale predominio nelle questioni mondiali, ostacola un oggettivo processo di formazione di un sistema internazionale policentrico. Incrementa la contrapposizione, crea un’atmosfera di sfiducia e incertezza strategica e congela i canali di dialogo. Origina situazioni in cui un bluff o un errore può costare caro a tutti. La Russia vorrebbe fare affidamento sul trionfo del buon senso “di quella parte”. Ma questo “buon senso” implica la capacità dei leader dell’Occidente tutto di agire in modo responsabile e prefigurabile, di rispettare rigorosamente il diritto internazionale, facendo perno sulla Carta delle Nazioni Unite. Negli ultimi tempi siamo costretti a dubitare sempre di più di questa capacità».Quale, tra i leader occidentali, la Russia considera l’interlocutore peggiore?«La filosofia della nostra politica estera respinge una visione delle relazioni bilaterali nell’ottica della negazione. Siamo disponibili a lavorare scrupolosamente con tutti per rafforzare la sicurezza e la stabilità internazionale e regionale e a promuovere una positiva agenda bilaterale. È chiaro che con qualcuno non è facile affrontare certe questioni. È particolarmente difficile con coloro che negano la supremazia del diritto internazionale e privilegiano il ricatto, le minacce e le provocazioni. Questo non fa che moltiplicare i problemi nelle relazioni tra Stati e restringere gli spazi per una interazione costruttiva. La vita internazionale è una “strada a doppio senso di marcia”. “Il gioco a una porta sola” con la Russia non offre alcuna prospettiva. Speriamo che prima o poi si capisca. Prima di tutto negli Stati Uniti».[…] Possiamo considerare la guerra con l’Ucraina il «peccato originale» che ha causato tutti i problemi successivi?«Innanzi tutto, vorrei sottolineare un punto essenziale per comprendere la situazione attuale: non c’è guerra tra Russia e Ucraina. La guerra contro il loro stesso popolo è stata scatenata dai nazionalisti che sono saliti al potere nel febbraio 2014 a seguito del colpo di Stato. La guerra è tra Kiev e le regioni ucraine. La crisi politica interna dell’Ucraina è stata ispirata dall’esterno da un gruppo di Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti, che ritengono che il mondo intero faccia parte della loro sfera di influenza. È indicativo il fatto che i membri della Ue - Germania, Polonia e Francia - dopo aver certificato nel 2014 un accordo sulla risoluzione della crisi tra governo e opposizione, abbiano immediatamente revocato le proprie garanzie sul documento appena lo stesso è stato stracciato dai radicali. Mentre la Nato, che prima del colpo di Stato aveva rivolto un appello al presidente ucraino in carica perché non usasse l’esercito contro i manifestanti, dopo il golpe ha bruscamente modificato i toni e ha cominciato a rivolgersi ai golpisti che avevano illegalmente preso il potere perché ricorressero alla forza in misura proporzionata contro le regioni che non erano dalla loro parte (il Donbass, ndr). La politica occidentale in questa storia non ha alcun obiettivo a favore dell’Ucraina, ma solo finalità antirusse. Vediamo bene che tutti i discorsi fatti dagli Stati Uniti e da alcuni suoi satelliti sulla creazione di uno spazio euro-atlantico comune di pace, sicurezza e stabilità non sono altro che uno schermo usato per coprire la vecchia politica di conquista dello spazio geopolitico, di spostamento a Est delle linee di divisione, sia attraverso l’espansione della Nato, sia mediante l’attuazione del programma della Ue “Partenariato orientale”. Nel corso degli anni, hanno cercato di costringere Kiev a compiere la falsa scelta del “con noi o contro di noi”, tra lo sviluppo della cooperazione con l’Est o con l’Ovest, il che alla fine ha portato al crollo dello Stato ucraino che peraltro non si è mai distinto per solidità. Ad oggi questi sono i risultati: perdita de facto dell’indipendenza, sofferenza della popolazione e crollo dell’economia dell’Ucraina che aveva le potenzialità per diventare uno dei Paesi più stabili ed economicamente forti d’Europa. È ovvio che una soluzione stabile della situazione in Ucraina è possibile solo attraverso l’attuazione piena e coerente del Complesso di misure di Minsk. Non c’è alternativa. Deve essere adottata una legge sullo status speciale, sulla convocazione di elezioni locali nel Donbass, sull’amnistia e deve essere attuata la riforma costituzionale. Questi aspetti sono di fondamentale importanza per la pacificazione all’interno dell’Ucraina. Infine, è necessario che Kiev instauri un dialogo diretto con Donetsk e Lugansk per cercare insieme compromessi e concordare opzioni di risoluzione dei problemi esistenti. Sfortunatamente, Washington, Londra e un certo numero di altre capitali occidentali non hanno tratto il giusto insegnamento dalla tragedia ucraina. In varie regioni del mondo continuano discutibili giochi geopolitici a “somma zero”. Crescono gli sforzi per implementare un sistema di difesa missilistica globale che vanno a minare la stabilità strategica, viene rafforzato il potenziale bellico e cresce, in misura inadeguata alla realtà, l’attività militare della Nato in Europa, che porta alla frammentazione dello spazio di sicurezza europea. Profondissima preoccupazione suscitano la flagrante violazione da parte degli Usa e dei suoi alleati del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, l’interferenza negli affari interni degli Stati, ivi compresi i tentativi di rovesciarne i governi]».[…] Perché nel mondo ci sono Paesi importanti con leadership molto forti (Cina, Turchia, Russia, Egitto e persino gli Stati Uniti)? Non pensa che gli Stati stiano diventando più autocratici?«Oggi siamo testimoni del processo di formazione di un sistema policentrico dell’ordine mondiale. Stanno emergendo e consolidando nuovi centri di potere economico e influenza politica, ma siamo di fronte a una struttura multipolare che necessità ancora di stabilità. È nel nostro interesse comune che le azioni di tutti gli attori internazionali non siano distruttive, ma costruttive, basate non sulla forza, ma sul diritto internazionale. Solo mettendo insieme le potenzialità, facendo perno sull’autorità delle Nazioni Unite, è possibile risolvere efficacemente numerosi problemi del nostro tempo. In altre parole, la policentricità dovrebbe facilitare l’instaurazione di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e un proficuo partenariato basato sul mutuo rispetto degli interessi. Per quanto riguarda la Russia, la nostra politica estera mira a promuovere un’agenda positiva e unificante al fine di impedire che la vita internazionale scivoli nel caos e nello scontro, garantendo la soluzione politico-diplomatica di numerose crisi e conflitti. Non abbiamo mai usato e non usiamo i nostri vantaggi naturali a scapito degli altri. In qualità di Stato responsabile, e di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, siamo garanti della stabilità globale, impediamo l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di risoluzioni inventate per giustificare piani di impiego unilaterale della forza contro “regimi” non graditi, in violazione dello Statuto delle Nazioni Unite. Noto con soddisfazione che non siamo soli nei nostri sforzi. In particolare, vorrei sottolineare l’importante ruolo dell’interazione a 360 gradi tra Russia e Cina come modello per le relazioni tra potenze nel XXI secolo. Collaboriamo a stretto contatto con i nostri alleati e con coloro che condividono le nostre idee, sia su base bilaterale che in vari formati multilaterali, come Uee, Csto, Brics, Sco. Evidenzierò anche il G20 dove, su base paritaria, i membri del G7 (che non è più in grado di risolvere da solo molti problemi) e quelli di Brics, col sostegno di coloro che condividono le loro opinioni, fanno accordi consensuali. In linea di principio l’attività del G20 è un prototipo dell’istituto di governo globale giusto, fondato non sui diktat, ma sulla ricerca dell’equilibrio degli interessi».Il divario tra la retorica e le azioni di Donald Trump nei confronti della Russia ha mostrato diverse volte la sua contradditorietà. Come viene percepito in Russia?«Certo, è male quando parole e fatti non coincidono. Sfortunatamente, ci troviamo spesso davanti a questa situazione - e non solo per quanto riguarda le relazioni russo-americane, ma anche per altri temi internazionali - quando le dichiarazioni di Washington non corrispondono ad azioni reali. Prendiamo, per esempio, la problematica siriana. Benché il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la Casa Bianca abbiano giurato solennemente che il loro unico obiettivo era quello di cacciare i terroristi fuori dal Paese, in pratica, gli Stati Uniti si sono solidamente installati sulla riva orientale dell’Eufrate e puntano sul collasso della Siria. Questa politica è appoggiata anche da singoli alleati degli Usa. Abbiamo ripetutamente affermato che valutiamo positivamente le parole del presidente Donald Trump sul desiderio di stabilire un normale dialogo tra i nostri Paesi. Inoltre, condividiamo completamente questo spirito e siamo pronti a fare la nostra parte per portare i legami bilaterali fuori da quell’artificioso impasse in cui erano stati costretti dall’amministrazione di Barack Obama. Tuttavia, per valutare il reale interesse dei partner a una cooperazione costruttiva e reciprocamente rispettosa, ci baseremo solo su fatti concreti. Per ora la situazione delle relazioni continua a deteriorarsi. Anche quando dal presidente degli Stati Uniti vengono alcuni impulsi positivi, questi vengono completamente annullati da una eccezionale russofobia dell’establishment americano che presenta il nostro Paese come una minaccia e si dichiara a favore di un “sistematico contenimento” della Russia che prevede l’applicazione delle sanzioni e di altri strumenti di pressione. Tutto questo, naturalmente, nasce da disaccordi politici interni a Washington e non ha nulla a che fare con la realtà. […] Spero che nei corridoi del potere di Washington il buon senso finisca per prevalere. Vorremmo stabilire relazioni normali, prefigurabili o anche, se volete, amichevoli con gli Stati Uniti. Ma non al prezzo dei principi e degli interessi nazionali della Russia».Che valore hanno le sanzioni per la Russia e quanto costano all’Europa? Possibile che tutto quello che fa l’Europa sia sbagliato e invece sia giusto tutto quello che fate voi?«Esistono diverse valutazioni del danno. Si fanno cifre diverse. Ma a nostro avviso il danno principale è la perdita di fiducia, che sarà molto difficile da ristabilire. Qualsiasi misura unilaterale di pressione economica non solo è illegittima dal punto di vista del diritto internazionale, ma, come dimostra la prassi, è inefficace. Introdotte dall’amministrazione statunitense e agguantate dalla Ue di Bruxelles come strumento di pressione a lungo termine sulla Russia, non hanno prodotto alcun cambiamento nella nostra politica estera. Non ci hanno obbligato a rinunciare a ciò che riteniamo giusto ed equo. Inoltre noi, a differenza dei leader di alcuni Paesi occidentali, non abbiamo mai sostenuto di essere i custodi della verità assoluta. Da Bruxelles - dalla Nato e dalla Ue - arrivano assicurazioni sulla disponibilità al dialogo con Mosca, ma solo a condizione che la Russia si penta e si riconosca colpevole di ogni accusa le venga rivolta. Noi non agiamo in questo modo, evidenziamo sempre la nostra disponibilità al compromesso, al riconoscimento degli interessi di ogni partner che in cambio riconosca gli interessi della Russia e voglia trovare un accordo in un’ottica pragmatica e non in quella dei giochi a esito nullo. L’economia russa si è adeguata alle sanzioni. Anzi siamo riusciti a rivolgerle a nostro vantaggio. Il settore bancario sta migliorando. L’inflazione è diminuita in modo significativo. Si è ridotta la dipendenza dal mercato petrolifero. Al contempo abbiamo sfruttato la situazione per trovare nuovi spunti di crescita economica, aumentare la produzione interna e ampliare i legami commerciali ed economici con quegli Stati che sono aperti a una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa. E nel mondo questi sono la stragrande maggioranza. Non è un segreto che una parte significativa delle direttive antirusse sia generata oltre oceano e poi traslata in Europa, accompagnata da appelli sulla necessità di rafforzare la “solidarietà transatlantica”. Quanto tutto questo corrisponde agli interessi europei? Tanto più che gli Stati Uniti non subiscono alcun danno. Da questa spirale delle sanzioni, l’Europa avrà di che guadagnarci visto che il mercato europeo è sostituito da produttori di altre regioni del mondo? Solo i cittadini dei Paesi della Ue possono rispondere a questa domanda. La Russia non si separa dall’Europa, non si chiude. Penso che il tempo stia oggettivamente lavorando per ristabilire i legami tra la Russia e la Ue a beneficio dei nostri popoli, in nome della stabilità e della prosperità del continente europeo».[…] I nostri figli ci chiedono: perché è così difficile ottenere la pace nel mondo? Come risponderebbe?«Probabilmente, perché il mondo è più complicato di quanto sembri. Le relazioni internazionali stanno diventando sempre più complesse, sono composte dalle relazioni tra una moltitudine di attori - Stati, istituzioni sovranazionali, strutture non governative. Organismi molto diversi che non si comportano sempre in modo coerente e razionale. Ma raggiungere una coesistenza pacifica e uno sviluppo sostenibile è ancora possibile. Per farlo si deve abbandonare la filosofia dell’egemonia, del “è tutto ammesso”, della propria esclusività e dell’uso illegittimo della forza, si deve evitare la sottomissione ubbidiente alla disciplina di blocco in situazioni in cui vengono imposti approcci in contrasto con l’interesse nazionale. Infine, è necessario ricordare i principi fondativi delle relazioni internazionali fissati nella Carta dell’Onu, inclusa la parità sovrana degli Stati, la non interferenza nei loro affari interni e la risoluzione delle controversie con mezzi pacifici. È molto semplice: bisogna rispettarsi reciprocamente. Qualsiasi altro percorso, per definizione, conduce in un vicolo cieco. La Russia - in qualsiasi circostanza - continuerà a lavorare attivamente per preservare e sviluppare tali sani principi nelle questioni globali e per promuovere la ricerca di soluzioni ai problemi che affliggono l’intera umanità».
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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