2023-06-02
Lavoro e Pil vanno su: il governo può sorridere. Ma deve approfittarne
La nostra economia è in salute, con lo spread che scende sotto i 180 punti, mentre la Germania si trova in recessione tecnica. Una congiuntura favorevole per opporci all’austerità cercando la sponda tedesca.Prosegue il trend positivo sui dati economici italiani. Occupazione in crescita e disoccupazione in calo, in un quadro che resta fragile e con bassi salari, consentono - a paragone della Germania - di arrivare alla manovra 2024 e alla discussione sul Patto di stabilità con qualche cartuccia. Da sparare molto bene. In un anno il numero degli occupati è cresciuto di 390.000 unità e in aggiunta cala anche il numero di inattivi, cioè coloro che non cercano nemmeno lavoro. Anche qui il dato si attesta sulle 380.000 unità, grazie soprattutto a un rinnovato coinvolgimento delle donne nel circuito lavorativo. Queste ultime erano state le più penalizzate dalla crisi innescata dal lockdown da pandemia. Ai dati positivi si somma anche la diminuzione dei contratti a tempo determinato e il parallelo aumento degli indeterminati. Insomma, continuano a esistere problemi strutturali nel mondo del lavoro (paghe basse e scarsa produttività) ma i numeri diffusi dall’Istat sul mese di aprile confermano il buon andamento della nostra economia e la possibilità che il 2023 si chiuda con una crescita del Pil superiore alle attese e soprattutto superiore a quella che registreranno le altre due grandi economie Ue. Soprattutto quella tedesca. Ieri da Berlino è arrivata una sfilza di dati negativi. Peggiora il quadro dell’industria chimica, le vendite al dettaglio ad aprile si sono attestate sotto le previsioni, l’indice Pmi manifatturiero si è fermato a 43 punti: ben sette sotto il valore mediano. Senza contare che i consumi delle famiglie sono calati nei primi tre mesi dell’1,2%. Colpita la spesa di cibo, abbigliamento e nuove automobili, settore che ha scontato anche la riduzione degli incentivi per i veicoli elettrici.È, in pratica, il secondo trimestre di fila in cui l’economia tedesca si contrae. Per gli economisti è una situazione certificata di difficoltà di un Paese che non dà alcuna indicazione sulla gravità del rallentamento economico e sulla sua possibile durata. L’inflazione continua a deprimere la domanda e quindi Berlino entra in recessione tecnica. Ovviamente per noi non è del tutto una buona notizia (il nostro export dipende molto dallo stato di salute del Pil tedesco), però dall’altro lato questa situazione rafforza il nostro potere negoziale ai fini della ridefinizione del nuovo Patto di stabilità. Nei prossimi sei mesi l’eventuale sostegno della Germania sarà uno dei due pilastri della trattativa. L’altro pilastro sarà la nostra situazione economica. Se il dato dell’occupazione dovesse continuare con questi ritmi è chiaro che l’innalzamento del Pil porterà a nuovi margini di manovra fiscale. Un dato essenziale per poter arrivare a dicembre con un po’ di ossigeno nelle bombole. Innanzitutto, il governo dovrà preoccuparsi di tappare i buchi lasciati da Mario Draghi. La scelta dei predecessori di affidare alla tassa sugli extraprofitti una buona fetta delle coperture ha generato un dislivello di 8 miliardi. Se anche ci fossero ravvedimenti operosi da parte delle società coinvolte, difficilmente arriverà un miliardo aggiuntivo, portando così il buco al numero tondo di 7. In pratica una «penalizzazione» che sconteremo nella legge finanziaria 2024. Il rischio sarebbe quello di assistere all’avvio delle nuove norme del Patto di stabilità con una ulteriore penalizzazione di 7 miliardi. Cifra che corrisponderebbe ai tagli imposti in caso di rientro dal debito lungo un piano settennale. Ovviamente questo ipotetico taglio potrà ridursi grazie a un rialzo del Pil e grazie a un Patto di stabilità meno invasivo. Al secondo si potrebbe arrivare, come dicevamo sopra, con la sponda tedesca. Nel frattempo - e nonostante la politica monetaria della Bce - lo spread tra Bund e Btp ieri ha rotto la soglia psicologica dei 180 punti base. Per due giorni di fila lo spread si è stabilizzato a 179. Lungi da noi voler celebrare l’evento come un termometro politico, ma dal punto di vista tecnico vale la pena fare una valutazione. Avere un differenziale basso indica un posizionamento preciso da parte del mercato e la possibilità di mantenere i tassi delle nostre emissioni sotto il 4%. Molti diranno che è tanto, ma pur sempre meno di quanto avremmo rischiato con l’addio del paracadute Bce. La contingenza che stiamo vivendo è positiva anche se non eccellente. In ogni caso è tra le migliori del Vecchio continente, il che spinge a rivedere ulteriormente l’approccio al Fisco. Ben sintetizza la nota di ieri firmata Confimprenditori. «L’eccellente dato di crescita del Pil nel primo trimestre 2023 (+1,9%) deve rappresentare un fattore di incoraggiamento. Tutti sappiamo che il presente e il futuro sono purtroppo incerti: per un verso l’inevitabile frenata che sarà determinata dall’alluvione in Emilia-Romagna, per altro verso l’incertezza legata alla guerra in Ucraina, per altro verso ancora il riverbero sulle imprese esportatrici italiane delle difficoltà francesi e tedesche, sono tre fattori che potrebbero farsi sentire in negativo», ha spiegato il presidente Stefano Ruvolo. «A maggior ragione, dunque, questo è il momento di spingere per incoraggiare imprese e consumatori. Tagliare le tasse», ha concluso, «diventa più che mai consigliabile proprio per prolungare e consolidare la fase positiva, e insieme per contrastare i possibili fattori di rallentamento». È chiaro che ci sono tre grosse tematiche che pendono sulle nostre teste: la riforma del welfare e delle pensioni, la riforma del Fisco e la riforma del mondo giuslavoristico. Sono elementi tutti connessi tra di loro che richiedono tempo, ma anche margini di manovra fiscale. Se il prossimo Patto di stabilità dovesse sopprimere margini di manovra, soffocherebbe sul nascere la possibilità di avviare la riforma del Fisco, che a sua volta permetterebbe nel quinquennio successivo di mettere mano alle altre due necessità strategiche del Paese.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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