2020-06-16
Lavoro e occupazione, la vera Caporetto dei grillini
Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista (Ansa)
Chiunque avesse collezionato le gaffe di Pasquale Tridico sarebbe stato costretto a dimettersi. Chiunque, appunto, ma non il presidente dell'Inps, il quale nonostante i numerosi scivoloni continua a rimanere incollato alla poltrona del più grande ente previdenziale d'Europa. L'uomo è un miracolato a 5 stelle che prima di essere insediato ai vertici dell'istituto al posto di Tito Boeri nessuno conosceva. Luigi Di Maio lo presentò poco prima delle elezioni del 2018 come candidato a guidare il ministero del Lavoro ma poi, quando fu l'ora, in via Veneto si installò il capo politico dei grillini. Così per sua fortuna e nostra sventura Tridico è stato dirottato all'Inps, dove dal marzo del 2019 colleziona guai. Le dichiarazioni sono il suo forte. Siccome ama concedere interviste e apparire in tv, all'inizio della pandemia, quando il governo decise di concedere una moratoria dei contributi, il presidente pentastellato si fece sfuggire una frase che gettò nel panico milioni di pensionati.Come se niente fosse, il professore prestato alla politica dichiarò che, per effetto del blocco dei versamenti da parte delle imprese, l'ente da lui guidato sarebbe stato in grado di pagare gli assegni previdenziali solo fino a maggio. Ovviamente fu costretto alla marcia indietro alla rapidità della luce, perché l'allarme rischiava di provocare danni a non finire. Da quell'esperienza però il docente di Roma tre non ha tratto insegnamento, al punto che per giustificare i ritardi nei pagamenti della cassa integrazione l'altro giorno non ha trovato di meglio che dare la colpa alle aziende. Le quali secondo lui sarebbero pigre e avrebbero fatto domanda con lentezza. Ovviamente anche in questo caso è stato costretto a innestare la retromarcia, dicendo di essere stato frainteso.I danni peggiori però Tridico non li fa con le interviste, ma direttamente con le decisioni. Volendo modellare l'ente a suo piacimento, da quando è arrivato ha proceduto a una serie di nomine e spostamenti, modificando gli incarichi direttivi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, in particolare di pensionati e lavoratori costretti a rivolgersi all'Inps per ottenere i trattamenti a cui hanno diritto. Quando per la pandemia il governo ha fatto chiudere ogni attività economica, all'ente presieduto da Tridico fu dato l'obbligo di distribuire i bonus alle centinaia di migliaia di persone rimaste senza lavoro e, soprattutto, senza stipendio. Risultato, il sito dell'ente è andato in tilt, com'era facilmente prevedibile. Ciò che invece non era per nulla previsto è che centinaia di migliaia di informazioni sensibili sui trattamenti previdenziali siano state messe online, cioè alla mercé di chiunque le volesse vedere.Per cercare di giustificare il disastro, si è inventato la storia dei pirati del Web, cioè di hacker che avrebbero preso il sito d'assalto. Ma è bastata mezza giornata per scoprire che non era vero niente: semplicemente il sistema era collassato e, sguarnito di adeguata protezione, aveva reso pubblico ciò che doveva rimanere riservato. Il peggio però doveva ancora arrivare e lo si è visto quando l'Inps ha dovuto erogare la cassa integrazione. Con milioni di persone rimaste al verde a causa del lockdown, l'istituto se l'è presa comoda, liquidando i pagamenti con la stessa velocità con cui lo Stato paga i suoi debiti, cioè con molta calma. Le conseguenze sono note: centinaia di migliaia di famiglie praticamente ridotte sul lastrico e costrette a indebitarsi o a chiedere soldi ai parenti. E qui Tridico prima ha dato la colpa alla pigrizia delle aziende, poi ha assicurato che entro il 12 avrebbe pagato tutto. Siamo al 16 giugno e ancora all'appello secondo alcune stime mancano un milione di lavoratori.Basterebbe questo a indurre chiunque a fare le valigie ma, come dicevamo, Tridico non è uno qualunque e dunque se ne sta imbullonato sulla sua poltrona. A sua discolpa bisogna riconoscere che è in buona compagnia. Perché come lui anche il capo dell'Anpal, tal Mimmo Parisi, il cowboy che i grillini sono andati a prendersi in Mississippi per rilanciare il lavoro e che al momento ha rilanciato solo i suoi rimborsi spese, dovrebbe dimettersi, ma fino ad ora ha puntato i piedi. Nonostante i navigator, una sua invenzione, siano stati un fallimento, Parisi a lasciare non ci pensa proprio. Altro che viaggio di sola andata per gli Stati Uniti: ogni volta che parte prenota il rientro. Ovviamente a spese dell'Anpal. Come Tridico e Parisi, c'è un'altra persona che dovrebbe trarre le conclusioni di ciò che sta accadendo in questo Paese ed è la signora Nunzia Catalfo. Sconosciuta ai più, dallo scorso settembre ha preso il posto di Luigi Di Maio al ministero del Lavoro, ma forse sarebbe stata più indicata per guidare la Marina militare. Infatti da quando ha preso posto negli uffici in via Veneto si è inabissata meglio di un sommergibile. Il numero di crisi aziendali si moltiplica, dall'Ilva all'Alitalia, ma nessuno è riuscito a sentire non solo la sua voce, e neppure a registrare un suo pensiero. In compenso, con un nuovo decreto, si registra uno scaricabarile della cassa integrazione sulle aziende: se sbagliano nel comunicare le ore, la Cig se la pagano loro. Insomma, ci siamo capiti. Tridico, Parisi e Catalfo sono il triangolo delle Bermuda in cui rischiano di sparire sia il lavoro che gli ammortizzatori sociali. Di far sparire loro dai posti che occupano purtroppo al momento non c'è verso.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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