2022-09-02
Lavori alle Camere, comizi, consultazioni. Quattro proposte per unire la destra
Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (Ansa)
Per non subire i diktat del governo uscente, bisogna dimostrare di essere davvero una coalizione. Fino a salire insieme al Colle.Non c’è dubbio: purtroppo, la legge elettorale vigente non aiuta la proposta che mi permetto di avanzare qui. L’esistenza di una così rilevante quota proporzionale, infatti, perfino al di là dei seggi che assegnerà a ogni singola lista, «proporzionalizza» de facto l’intera campagna: ogni partito, comprensibilmente, pensa soprattutto a sé e al proprio risultato; già adesso i sondaggi - com’è naturale - sono costruiti proprio sulle percentuali assegnate a ciascuna singola lista; e per di più - lo sappiamo tutti - dalla notte del 25 settembre in poi, la sorte di partiti, segretari e gruppi dirigenti deriverà, più ancora che dal quadro complessivo uscito dal voto, dalla specifica performance della propria lista, del proprio simbolo. È testimonianza di questo stato di cose un certo sottofondo polemico che non di rado si coglie tra i partiti che dovrebbero essere teoricamente più vicini, o che sono anche formalmente alleati: così, proprio la competizione tra forze simili, quelle che cioè si rivolgono alle medesime aree di elettori, alimenta differenziazioni e punture di spillo, a volte anche al di là del necessario. Del resto, in questi anni, nel centrodestra si è assistito a flussi di elettori che si sono spostati da un partito all’altro, in una logica da vasi comunicanti: e questa dinamica - inevitabilmente - pesa nella mente dei leader e nelle loro scelte di comunicazione. Eppure, spostando idealmente la telecamera dagli eligendi agli elettori, la prospettiva muta profondamente: sì certo, tante persone di centrodestra hanno un partito preferito, un leader di riferimento, e si preparano a votare avendo soprattutto in mente le sorti di quella specifica lista. Ma, a mio modo di vedere, restando nel campo dei sostenitori dello schieramento alternativo alla sinistra, sono molto più numerosi gli elettori che sperano in un successo complessivo del centrodestra e in un governo diverso da quelli (di sinistra oppure ibridi e semitecnici) che, con rare eccezioni, sono in sella dal 2011 a oggi. Possono votare per Giorgia Meloni, oppure per Matteo Salvini, oppure per Silvio Berlusconi: ma, ferma restando la preferenza per uno dei tre, è raro che abbiano ostilità per gli altri due. Si potrebbe perfino scommettere sul fatto che a tantissimi elettori di centrodestra non dispiacerebbe affatto - in futuro - aver a che fare con un partito repubblicano sul modello americano o un partito conservatore sul modello britannico: tante anime, tante culture, ma una sola «casa» comune. Dunque, almeno in queste ultime tre settimane, varrebbe la pena di scommettere un po’ di più su questo spirito unitario. Ed è per questo, anche per dissipare illazioni, equivoci e fraintendimenti, che avanzo quattro proposte semplici ma precise. La prima: i tre partiti potrebbero organizzare, da qui al 25 settembre, un certo numero di eventi nazionali comuni. Non solo un comizio finale (che rappresenterebbe l’«eccezione» rispetto alla «regola» per cui ognuno parla e agisce per conto proprio), ma una sequenza di appuntamenti con i leader e con i dirigenti più riconoscibili. Non si tratta di compiere sforzi organizzativi colossali: basterebbero anche eventi più piccoli, che avrebbero però una notevole risonanza mediatica, e trasmetterebbero plasticamente il senso di forze che vogliono camminare insieme.La seconda: già adesso, in previsione di un risultato elettorale positivo, i tre leader potrebbero impegnarsi ad andare insieme alle consultazioni al Quirinale, scartando la formula delle tre delegazioni separate. Sarebbe un segnale esplicito e inequivocabile, per il presente e per il futuro. La terza: già ora, in vista del lavoro nelle nuove Camere, i tre partiti potrebbero annunciare le forme e i modi di un coordinamento parlamentare più forte. È ovvio che per motivi politici e organizzativi ci saranno tre gruppi distinti sia alla Camera sia al Senato: ma, pur in presenza di quel dato di fatto, nulla vieta di provare a parlare con una voce sola in più di una occasione, privilegiando l’unità rispetto alle differenziazioni. La quarta: anche in questi ultimi scorci di vita del vecchio Parlamento (al Senato sono al lavoro le commissioni Bilancio e Finanze sul decreto Aiuti bis, che arriverà in Aula il 6 settembre), i gruppi esistenti potrebbero presentare proposte comuni. È evidente che finora ci siano stati orientamenti differenti (un solo esempio: scostamento di bilancio sì oppure no?): ma adesso varrebbe la pena di focalizzarsi su una proposta comune, evitando che a decidere sia solo il governo uscente, con i partiti chiamati a «subire» ciò che Palazzo Chigi imporrà. Il senso complessivo della proposta mi pare chiaro: trasmettere in modo visibile l’intenzione di lavorare insieme il più possibile. Non è facile, me ne rendo: mentre è vero che il centrodestra governa insieme in tre quarti delle Regioni e in numerosissimi Comuni, è altrettanto vero che a livello nazionale - dal 2011 a oggi - molto spesso le tre forze hanno fatto scelte differenti sui governi, con rare convergenze e più frequenti divisioni (con una o due forze su tre, più o meno a rotazione, impegnate a sostenere alcuni esecutivi). Morale: spesso la coalizione di centrodestra è esistita solo sulla scheda elettorale, come una sorta di fictio, destinata a svanire a urne chiuse. Stavolta la prospettiva unificante di una possibile vittoria e le responsabilità che ne conseguirebbero dovrebbero suggerire di lavorare insieme sin da subito. Converrebbe a tutti.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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