2019-05-29
L’Autorità dei trasporti su un binario morto
Conta 96 dipendenti e i costi dei vertici e del personale sono un mistero, ma in sei anni di esistenza ha fatto poco o nulla Trenitalia non ha seguito gli indirizzi sui pendolari, Rfi resta inadeguata. E metà dei convogli ad alta velocità è sempre in ritardo.«Di regolare i trasporti con una nuova struttura, che rischia di diventare elefantiaca, forse non c'era bisogno. C'è il rischio di creare confusioni di ruoli con ministeri e controparti, invece di semplificare la pubblica amministrazione». Parla così il segretario generale di Uil trasporti, Claudio Tarlazzi, a proposito delle funzioni dell'Autorità di regolazione dei trasporti (Art). «Siamo critici», dice, «perché riteniamo che le authority possono essere utili per applicare leggi e regolamenti; spesso però travalicano il ruolo del Parlamento e delle controparti naturali: le ferrovie, le compagnie aeree, le direzioni portuali, le autostrade».Ma non sono solo queste le critiche. L'Art, Autorità di regolazione dei trasporti, è stata istituita nel 2011, nell'ambito di una legge del 1995, sulle autorità dei servizi di pubblica utilità. Ha la competenza nel settore dei trasporti, ma ha poteri limitati. Agisce, infatti, come autorità amministrativa «sussidiaria» delle competenze delle Regioni e degli enti locali. Al vertice sono stati nominati, il 17 settembre 2013, un presidente, Andrea Camanzi, e due altri esperti (Barbara Marinali e Mario Valducci). Non tutti sono tecnici «puri». Camanzi, nato a Ravenna, è dal 2018 anche presidente dell'Irg-Rail, l'organizzazione che raggruppa le Autorità dei trasporti ferroviari di 31 Paesi europei. In passato è stato dirigente di grandi imprese private (come Olivetti e Telecom ) e consigliere all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. È stato anche consulente di Romano Prodi nei suoi governi. È considerato un dirigente vicino al Pd e siamo convinti che per questo non ha voluto farsi intervistare dalla Verità: la motivazione del suo portavoce ci è sembrata poco convincente: «Il presidente non ha il tempo di rilasciare interviste nel suo programma a breve». Come se esistesse una stagione per le esternazioni alla stampa. Gli altri due componenti del collegio sono Barbara Marinali, romana, commercialista romana, esperta di autostrade e di infrastrutture; in passato anche direttore generale al ministero dei Trasporti; e un altro romano, Mario Valducci, laureato in economia e commercio; per molti anni manager alla Fininvest e poi deputato di Forza Italia per cinque legislature e sottosegretario al ministero delle Attività produttive (dal 2001 al 2006). Consultando il sito della cosiddetta «Amministrazione trasparente», si nota che i documenti in rete (comprese le voluminose relazioni annuali ) scoraggiano qualsiasi ricerca, anche per un'eventuale tesi di laurea. Non sappiamo quali siano i compensi dei tre massimi amministratori e del segretario generale . Si presume siano 240.000 euro per il presidente e 160.000 per gli altri due componenti, per analogia con il collegio dell'Authority per la privacy. Il portavoce non conferma. Altre autorità hanno adottato come riferimento retributivo non il presidente della Corte di cassazione, ma quello della Corte costituzionale (più consistente). Non sappiamo nulla degli stipendi del personale, quanto incidono le trasferte (i viaggi da Torino, dove ha sede l'Autorità, e Roma sono frequenti) e quelli di Torino- Bruxelles; non si conoscono gli emolumenti del personale a tempo determinato alle dirette dipendenze del presidente e del collegio (sei, ma forse sono di più ).Si sa però che nel 2018 le entrate sono state 18,2 milioni di euro, mentre le spese correnti sono state 15,2 milioni. È questo forse uno dei rari casi di strutture pubbliche in attivo. Il segreto sta nel fatto che l'Art non paga affitti di sedi . Non ha alcuna proprietà immobiliare, ma usufruisce dell'uso gratuito in comodato della sede di Torino (al Lingotto) e di quella di Roma (Agenzia delle dogane). Il secondo segreto è rappresentato dal numero ancora esiguo di dipendenti (96), anche se, nei prossimi 12-18 mesi, diventeranno 120, come prevede la nuova pianta organica. Infine, terzo segreto, le entrate, in massima parte, provengono non dallo Stato, ma dai gestori delle infrastrutture e dei servizi nella misura del 1 per mille del fatturato dell'ultimo esercizio: gli aumenti sono decisi dal collegio dell'autorità e confermati dal presidente del Consiglio. Solo nella fase iniziale lo Stato ha finanziato la struttura (1,5 milioni nel 2013 e 2,5 nel 2014). Non è chiaro però se sia stato un finanziamento a fondo perduto o rimborsato all'autorità cugina (quella per la concorrenza) che lo ha anticipato. «La verità», ci dice Tarlazzi, «è che vi sono molte ombre nella gestione. Noi non veniamo mai chiamati, neppure per un'opinione sulla regolazione dei trasporti. Ci hanno accusato di promuovere troppi scioperi. È vero, li abbiamo attuati, ma perché non venivano pagate le retribuzioni ».È facile chiedersi che cosa abbia fatto l'Art in quasi sei anni di vita. In rete si trovano almeno 180 pagine di relazione annuale, più quella del presidente e altri documenti: complessivamente almeno 2.000, forse 3.000 pagine. Ma gli interventi che hanno fatto notizia sui media non sono molti. Nel 2017 il presidente Andrea Camanzi è stato accusato di contestare sistematicamente la lobby delle Ferrovie dello Stato (comprava autolinee su gomma per offrire il pacchetto completo di mobilità, stava acquisendo l'Anas e altre iniziative espansionistiche). Il presidente dell'Ars non si mostrava favorevole a queste iniziative delle Fs. E ancora non si parlava dell'interesse delle Fs per l'Alitalia. L'Ars ha minacciato di imporre a Trenitalia nuovi indirizzi per le linee dei pendolari, indicando otto indicatori di qualità. Ma non ci risulta che le ferrovie ne abbiano tenuto conto. Anche il divieto dell'affidamento diretto dei servizi di trasporto pubblico è rimasto lettera morta .Poi c'è la questione del traffico ferroviario. Il dato record dell'anno scorso: 950 treni al giorno a Roma Termini, 750 convogli che arrivano e partono dalla stazione centrale di Milano, i ritardi crescenti dell'alta velocità (il 44 per cento dei treni delle Frecce di Trenitalia e di Italo). Sotto processo la rete (Rfi), notoriamente insufficiente. Che cosa risponde Camanzi? Dai comunicati in rete si legge: «L'indipendenza del gestore è un bene che Art ha rafforzato, in coerenza con le direttive europee, garantendo a Rfi l'equilibrio economico. Ora ci vuole più coraggio e trasparenza. Siamo davanti a un problema di crescita, non di crisi». A parlare così non è un esponente del sindacato, ma il presidente di quell'autorità che dovrebbe affrontare e risolvere i problemi, anche martellando gli enti. È di questi giorni, poi, la rovente contesa sulle tariffe delle autostrade. La società della famiglia Benetton (Autostrade per l'Italia) ricorrerà al Tar per impugnare la delibera dell'Ars sul nuovo sistema tariffario. È in discussione la richiesta dell'Autorità per fissare le nuove tariffe «anche per le concessioni già in essere», con la novità che le nuove tariffe dovrebbero tener conto dei livelli di qualità dei servizi. Non solo: i profitti delle società autostradali non possono essere superiori alle previsioni. Una delibera «rivoluzionaria». Ma c'è chi osserva che a dare coraggio a Camanzi & C. è la scadenza del loro mandato, previsto nel 2020. Che vogliano lasciare, almeno nell'ultimo anno, un ricordo di resistenza ai grandi potentati dei servizi pubblici?