2025-09-06
L’Australia ricopre di soldi un’isola per rifilarle i clandestini detenuti
Il governo laburista di Canberra si accorda con la minuscola repubblica di Nauru: 1,6 miliardi in cambio di un progetto di detenzione offshore. Sempre più Paesi applicano l’idea della Meloni (ma non l’Italia).Nauru connection. Mentre l’Unione europea si avviluppa nei codicilli per individuare ed elencare «i Paesi sicuri per il ricollocamento dei migranti»; mentre il governo italiano è eternamente in mezzo al guado, impallinato dai giudici ogniqualvolta pronuncia la parola «Albania», la soluzione arriva dalla repubblica più piccola del mondo. L’isola della Micronesia fra le Salomone e Guam - dove certe notti si sente ancora l’eco delle cannonate delle corazzate americane e giapponesi durante la Guerra del Pacifico - continua ad essere un caso di scuola per la gestione dell’immigrazione irregolare, il punto di riferimento dell’Australia impegnata a contenere l’assalto dei clandestini.La scorsa settimana il governo laburista di Canberra ha concordato con le autorità di Nauru il pagamento di 1,6 miliardi di dollari in 30 anni pur di poter reinsediare sull’isola tutti coloro che «non hanno alcun diritto legale di rimanere in Australia». Un agreement in piena regola per disporre di un hub esterno, definito senza troppi giri di parole dalla maggioranza australiana «detenzione offshore». Giorgia Meloni può consolarsi: la sua strategia viene applicata con successo, anche se in Oceania, anche se da un governo di sinistra. L’accordo doveva rimanere segreto ma, come è normale nell’era dell’informazione globale, è stato rivelato dopo pochi giorni; la prima tranche di migranti (fra i quali alcuni detenuti) ad essere trasferita a Nauru sarà di 354 persone. Una strategia senza compromessi, che l’esecutivo progressista ha messo in atto immediatamente dopo le elezioni, anche perché la spinosa questione dei clandestini era stata al centro della battaglia elettorale. È curioso notare come, davanti alle priorità dei cittadini australiani, il rieletto primo ministro Anthony Albanese (il padre è di Bari) abbia deciso di non preoccuparsi di eventuali ricorsi giudiziari, di non ascoltare le istanze dell’ultrasinistra movimentista, di non andare contro il popolo per accontentare un’élite intellettuale che impartisce lezioni di civiltà dietro i muri di cinta delle ville nella marina di Sydney con la sicurezza privata e lo yacht all’àncora. Addirittura, una volta tornato al potere, il premier Albanese si è rimangiato un provvedimento di due anni fa con il quale aveva rimpatriato i rifugiati da Nauru ponendo temporaneamente fine alla detenzione in mezzo all’oceano. Dopo aver demonizzato in campagna elettorale le politiche sui respingimenti dei clandestini del suo avversario, il liberale Peter Dutton, davanti ai flussi preoccupanti degli ultimi mesi non ha fatto altro che confermarle e applicarle. Fino all’annuncio del ministro dell’Interno, Tony Burke: «Abbiamo firmato un memorandum con il presidente di Nauru per il corretto trattamento e la residenza a lungo termine sull’isola delle persone che non hanno il diritto legale di rimanere in Australia». La responsabile del dipartimento Immigrazione, Clare Sharp, anch’essa laburista, non si è fatta troppi problemi nell’aggiungere: «È nell’interesse di entrambe le nazioni muoversi nel modo più efficiente possibile per affrontare il problema. Ed è nell’interesse di Nauru, perché i soldi non fluiscono finché le persone non arrivano».Così l’Australia e Nauru tornano al centro del dibattito internazionale sulla spinosa questione migranti, la prima rilanciando a pagamento gli hub esterni che aveva dismesso, la seconda allestendo centri di accoglienza come fa da almeno 20 anni, peraltro definiti dalle associazioni internazionali (vedi Medecins sans frontières e Amnesty International) dei lager. Jana Favero, responsabile dei Centri di asilo per stranieri con sede a Melbourne ha definito l’accordo «discriminatorio, vergognoso e pericoloso». Ma per l’isoletta del Pacifico (21 km quadrati e 12.500 abitanti) quegli 1,6 miliardi di dollari sono manna. Sposando il motto «pecunia non olet» il presidente David Adeang si è immediatamente messo a disposizione dell’Australia: «Sosterremo così la resilienza economica a lungo termine del nostro Paese». Nauru sta in piedi con la pesca e l’esportazione di fosfati per fertilizzanti.È interessante notare come fuori dal perimetro dell’Unione europea la ragion di Stato abbia ancora un senso. Da noi, in palio ci sono la sovranità delle 27 nazioni Ue e il primato dell’Europa come istituzione nel decidere quali politiche immigratorie adottare senza chiedere il permesso alle toghe di Roma o del Lussemburgo. Anche nel vecchio continente le ultime elezioni hanno certificato l’importanza strategica del tema «migranti» ma nulla si muove concretamente, e riguardo alla direttiva sui Paesi sicuri sembra che Bruxelles sia destinata a rimanere intrappolata dentro regole e pregiudizi, compromettendo le politiche di rimpatrio volute dai paesi membri.Così avviene il corto circuito: l’Australia indica la strada del rigore applicando la strategia che l’Italia aveva implementato e che l’Europa aveva applaudito. E lo fa tirando dritto con determinazione. Nonostante l’Alta Corte abbia stabilito nel 2023 che «la detenzione a tempo indeterminato è illegale e la deportazione non è un’opzione»; nonostante la Commissione dei diritti umani dell’Onu abbia sottolineato che «la politica offshore ha violato i diritti civili», il governo - peraltro di centrosinistra - non si arrende. E men che meno si fa condizionare dalle associazioni umanitarie. Lontano dall’Europa gli elettori contano ancora qualcosa.
La Mushtaha Tower di Gaza crolla dopo essere stata colpita dalle forze israeliane (Ansa)
Il Cpr di Gjader in Albania (Getty Images)
Ursula von der Leyen e Iratxe García Pérez (Ansa)