2024-04-22
Latte crudo, fresco o pastorizzato? Le risposte per unire sicurezza e qualità
Il prodotto puro si può ancora acquistare (anche alla spina). La bollitura però è raccomandata da inizio Novecento. E i rischi non vanno ignorati.Come spiega l’Iss, Istituto superiore di sanità, per «latte crudo» si intende un latte che si distribuisce sfuso appena munto e senza subire trattamenti termici, nemmeno lievi. Se in passato, quando si beveva esclusivamente il latte delle mucche che vivevano vicino, bere latte appena munto - di solito dopo averlo bollito - era normale, dopo l’avvento della grande distribuzione organizzata come luogo privilegiato per procacciare cibo in una città completamente priva di orti e allevamenti, è diventato normale il contrario. Intanto, era sopraggiunto il divieto vero e proprio di consumare latte crudo. Spiega Wikipedia: «Nei primi anni del Novecento, si dimostrò che patologie anche gravi erano legate al consumo di latte crudo. Queste malattie (tifo, tubercolosi, e forme correlate alla brucellosi) rendevano necessarie severe norme igieniche. Per questo, nei primi anni Trenta in Italia fu imposta la pastorizzazione del latte e la garanzia sulla sanità del prodotto fu affidata alle centrali municipalizzate. Quest’ultimo e diffuso prodotto pastorizzato viene in Italia definito latte fresco». Poi, è ridiventato normale non, di nuovo, il contrario, perché il latte fresco della centrale del latte sottoposto a pastorizzazione o sterilizzazione è rimasto in produzione, ma è ridivenuto permesso consumare anche il latte crudo. Su Internet c’è una vera e propria mappatura dei distributori automatici di latte crudo in Italia, anche detti bancolat, con un grazioso eufemismo. Sono circa 1.300 e la mappa si può trovare all’indirizzo Milkmaps.it. Il latte crudo si può comprare anche nelle stalle che lo vendono direttamente al cliente, oppure nei pochi negozi che lo vendono al dettaglio. Non si pensi che preoccuparsi di eventuali problemi conseguenti al consumo di latte crudo non bollito sia eccessivo. Sempre da Wikipedia apprendiamo che nell’esperienza Usa si sono avuti, tra il 2007 e il 2012, 65 focolai con 73 ricoveri; nel 2017 in uno di questi focolai si sono avuti due decessi. Nel 2014, in uno dei focolai in Australia, è avvenuto un decesso. Nel 2015 l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ci notiziò dei casi europei: 27 focolai infettivi di origine alimentare da latte vaccino crudo e da latte caprino crudo tra 2007 e 2013, per lo più da Campylobacter, poi virus dell’encefalite da zecche (Tbev), Stec e salmonella. La recente regolamentazione del consumo di latte crudo ha permesso di capire come offrirlo e consumarlo in sicurezza onde evitare eventi come quelli appena citati. In Italia, dal primo gennaio 2006 è dunque consentita la vendita diretta di latte crudo, in seguito all’entrata in vigore del cosiddetto «Pacchetto igiene» dei 3 Regolamenti, 852, 853 e 854 del 2004, che ha uniformato le regole igieniche degli Stati membri dell’Ue. Ricordate che se ne parlava anche in tv, all’epoca? Si discuteva di rischi e benefici del consumo di latte crudo e lo si faceva a ragione: se infatti i contro derivanti dal bere latte crudo non bollito sono potenziali e pochi, ma ci sono e se si palesano le cose si possono mettere molto molto male, dall’altra ci sono anche i benefici. Per esempio, una filiera più minimale, a chilometro più vicino se non proprio zero, il risparmio e la preferenza per l’approvvigionamento «come una volta». Il latte crudo, per essere ritenuto adatto alla vendita diretta al consumatore finale, non deve aver subito in alcun modo sottrazione o addizione di un qualsiasi suo componente naturale, né alcun tipo di trattamento, in primo luogo termico, se non la filtrazione e la refrigerazione da 0 a 4°C. Chiaramente, la parte della produzione e commercializzazione prevede una serie di controlli che garantiscano al consumatore di trovarsi di fronte un prodotto puro: periodici controlli sulla gestione delle stalle, sulle malattie infettive trasmissibili con il latte, sulle pratiche di mungitura, su latte e feci degli animali allevati e poi controlli sul latte anche una volta inserito nei distributori, le macchine self service che funzionano come erogatrici di latte alla spina. Anche il consumatore, dicevamo, è tenuto a seguire una serie di regole, onde far sì che come dall’altra parte si sia agito per fornire un latte puro dal punto di vista microbiologico e privo di agenti patogeni, uguale si faccia dal lato consumo e tale quel latte resti anche una volta imbottigliato presso il bancolat. Innanzitutto, meglio usare bottiglie di vetro che di plastica per spillare il latte. Poi, fare molta attenzione a mantenere la catena del freddo - da 0 a 4 °C - durante il trasporto dal distributore a casa e, una volta a casa, riporre subito in frigo. Poi, consumare il latte rigorosamente ed esclusivamente dopo averlo bollito. Da bollire dura due giorni, bollito quattro o cinque in totale. Anche questa pratica della bollitura deriva da una legiferazione ad hoc. Dopo una serie di episodi di infezione da batterio Escherichia coli O157, e di altri tipi di Escherichia coli produttori di verocitotossina (Vtec), nel 2008 il nostro ministero della Salute emanò un’ordinanza tramutata in decreto legge, il 13/9/2012 (n.158) che stabiliva l’obbligo di esporre sulle macchine erogatrici di latte un’indicazione chiaramente visibile: «Prodotto da consumarsi solo dopo bollitura». L’obbligo per il consumatore di consumare il latte crudo dopo bollitura è valido anche per chi fornisca latte crudo da bere in tazza, come nel caso, per esempio, dell’agriturismo o della fattoria che illustri ai visitatori la mungitura e poi faccia loro assaggiare il latte appena munto: quel latte andrà prima bollito. Perché è così importante bollire il latte crudo? Spiega sempre l’Iss: «Da un lato, il latte crudo contiene batteri «buoni», come i lattobacilli, che hanno un effetto benefico per il sistema digestivo dell’uomo, e una maggiore quantità di enzimi e di alcune vitamine; dall’altro, tuttavia, presenta potenziali pericoli provenienti sia dallo stato di salute delle mucche produttrici, sia dalle possibili contaminazioni legate alle modalità con le quali si mungono le mucche e si conserva e trasporta successivamente il latte». Ancora: «È bene sottolineare che normalmente il latte così come prodotto dalla ghiandola mammaria non contiene germi in grado di provocare infezioni. La contaminazione del latte con microrganismi di tale tipo può avvenire al momento della mungitura, raccolta, lavorazione, immagazzinamento e distribuzione del latte. In particolare, il contatto con superfici contaminate come, ad esempio, la pelle delle mammelle delle mucche, le mani degli operatori e le superfici degli impianti di mungitura e dei serbatoi di stoccaggio (contaminazione successiva alla mungitura) può facilitare il passaggio dei germi al latte». E dal latte a chi lo beve. Virus, parassiti, batteri: le possibilità di intossicarsi, seppur remote, ci sono. Ecco perché occorre bollire. Ci può anche essere il caso di batteri patogeni presenti nell’intestino del bovino, ma non generanti in quella patologia, che attraverso il latte raggiungono l’essere umano e invece, nel suo organismo, diventano infettivi. Sono tutti pericoli che i trattamenti termici di pastorizzazione, di sterilizzazione o la bollitura casalinga consentono di abbattere ed eliminare. Il latte va velocemente refrigerato a non più di 4°C appena munto per lo stesso motivo, prevenire e rallentare la proliferazione dei germi eventualmente presenti nel latte se si trattasse di latte contaminato, germi che la refrigerazione non eliminerebbe. Solo, ripetiamo, il trattamento termico può eliminare eventuali germi. La pastorizzazione è un trattamento termico che espone il latte crudo ad alta temperatura per breve tempo (da +71,7 °C per 15 secondi a qualunque altra combinazione equivalente). Si tratta del trattamento effettuato normalmente al latte crudo prima di fornirlo alla centrale del latte perché lo commercializzi come latte fresco, è quello che troviamo nel tetrapak o nella bottiglia al banco frigo del supermercato e dura giorni. La sterilizzazione è un trattamento termico che scalda il latte crudo ad almeno 135°C per non meno di un secondo. Il latte sterilizzato è quello che definiamo «latte a lunga conservazione», che troviamo nel tetrapak sugli scaffali del supermercato a temperatura ambiente e dura mesi. Il latte pastorizzato è, in soldoni, il latte fresco (attenzione, fresco ma non più crudo), il latte sterilizzato è quello che dura mesi. Il latte crudo bollito in casa (o in fattoria prima di darne una tazza al visitatore) è un latte sottoposto a trattamento termico diverso dai precedenti, più pesante, ma anche destinato a un consumo pressoché immediato. Come dire? Munto e mangiato, anzi, munto e bevuto (prima bollito, non dimenticate!).
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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