2019-06-14
L’assist di Intesa per i gialloblù. Piano taglia debito da 200 miliardi
L'istituto punta sulla valorizzazione del patrimonio pubblico con dei fondi immobiliari comunali o regionali. Si partirebbe con un portafoglio di beni per 50 miliardi, da quadruplicare in 20 anni. Il Mef: «Valutiamo l'idea».Sono ore di difficili trattative tra Roma e Bruxelles. Motivo del contendere sono i nostri conti pubblici e le scelte del governo gialloblù. Da un lato il rispetto dei parametri Ue e dunque la compressione del deficit e al tempo stesso del perimetro dell'economia italiana, dall'altro il tentativo di avviare un rilancio del Pil con il taglio delle tasse e interventi di spinta economica. In mezzo, il rischio che il braccio di ferro diventi così complicato da spaccare la già difficile uniformità del governo, lasciando la strada aperta al terzo partito, quello che fa riferimento al Colle. In mezzo al bailamme di dichiarazioni, c'è ne una potrebbe inaugurare la terza via per risolvere il nodo del debito pubblico. Mercoledì sera il numero uno di banca Intesa, Carlo Messina ha aggiunto qualche elemento in più alla proposta avanzata lo scorso anno. Una mega operazione che metta patrimonio contro debito e avvii una forte riduzione di quest'ultimo attraverso la cessione di immobili pubblici.Già nella lettera del ministro Giovanni Tria inviata a Bruxelles lo scorso novembre sono indicati i nuovi target quantitativi sul capitolo dismissioni, ma il Mef allora come oggi non ha fornito dettagli su strumenti e criteri per realizzare le cessioni. L'amministratore delegato di Intesa all'indomani di quella lettera aveva indicato una proposta per affrontare la riduzione del rapporto debito/Pil con «determinazione» e «non si tratta di un obiettivo impossibile», aveva aggiunto. Per aggredire il debito pubblico Messina indica, come ha ribadito mercoledì in occasione di un forum organizzato dal Messaggero, l'esigenza di valorizzare il patrimonio locale e comunale (poco meno di 400 miliardi su un patrimonio complessivo di circa 1.000 miliardi). «Si potrebbe dar vita a una serie di fondi comunali o regionali aperti con l'obiettivo di acquistare e valorizzare una parte di quegli immobili». Secondo Messina il primo beneficio è che ci sarebbero risparmi non irrilevanti per il Comune o l'ente venditore: «Non è un mistero che la gestione degli immobili pubblici molto spesso comporta deficit di bilancio anche rilevanti». Inoltre in questo modo gli enti territoriali «potrebbero ridurre il proprio debito, disponendo subito di risorse fresche per effettuare nuovi investimenti». Banche, fondazioni e fondi pensione potrebbero avere un ruolo diretto. La proprietà delle quote del fondo potrebbe essere in larga parte dei cittadini residenti nel territorio. «Il loro acquisto potrebbe essere incentivato da esenzioni fiscali modello Pir». Il progetto non è pubblico, ma da quanto apprendiamo, disporrebbe di una cabina di regia nazionale a controllo del Mef, e con il compito di coordinare i singoli veicoli, aperti anche alla clientela retail. La natura immobiliare e la stabilità della controparte garantirebbe un rendimento costante equiparato all'inflazione, in grado di attirare anche la clientela istituzionale. Quanto ai numeri, Messina indica che il valore degli immobili oggetto dell'operazione, almeno in una prima fase dovrebbe essere di circa 50 miliardi da collocare in cinque anni. A quel punto si avvierebbe una seconda tranche in modo da portare la sommatoria dei fondi a 100 miliardi in sette o otto anni, fino a una fetta complessiva di cessioni che non dovrebbe superare i 200 miliardi in una ventina di anni. In realtà, avviando il progetto con i primi 50 miliardi di cessioni si comunicherebbe al mercato oltre che all'Ue che esiste un piano di riduzione del debito che al tempo stesso fornirebbe liquidità da reimmettere subito nell'economia. In questo modo si abbasserebbe la stanghetta del debito e alzerebbe quella del Pil, ottenendo un effetto forchetta doppiamente vantaggioso con tanto di ricaduta psicologica sugli investitori esteri. La proposta di Intesa parte dal presupposto che il nostro debito sia sostenibile ma che lo spread non corrisponda alle potenzialità dell'economia tricolore. Tra le righe si capisce che il messaggio di Messina è anche politico: il progetto sarebbe di lungo termine e suggerirebbe nel breve di evitare la procedura d'infrazione. A partire dal prossimo anno l'Italia sarebbe in grado di lanciare il mega sistema patrimonio contro debito. La banca di sistema per eccellenza si propone così di alzare il tiro e diventare partner dello Stato per assottigliare il fardello debitorio. Sarebbe da un certo punto di vista la chiusura di un cerchio. Con le politiche monetarie sostenute da Mario Draghi, la grande bolla dei debiti pubblici (e non ci riferiamo solo all'Italia) è stata spostata sul sistema bancario che da un lato ha sostenuto le aste e dall'altro ha dovuto migliorare costantemente i propri livelli di capitalizzazione costretta a svendere le sofferenze o non performing loans che negli anni precedenti avevano tenuto in piedi il Pil a favore delle politiche pubbliche. Adesso quello che propone Messina è anche un modo per consentire a banche e fondi di tornare a gestire ricchezza e far girare il Pil. Presente al medesimo forum, Tria ha fatto sapere di essere interessato al progetto e di valutarlo. Vedremo cosa farà il governo e se convocherà Intesa per costruire la terza strada di fuga dal debito.
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