2022-12-22
L’assessore dei flop ci vuole rifilare il Mes
Per Alessio D’Amato, candidato nel Lazio, solo quel cappio risolve i problemi (forse non quello delle mascherine fantasma). Ogni giorno dem e Terzo polo intensificano il pressing per attivare il meccanismo. Che però consentirebbe draconiane misure correttive all’Ue.Carsicamente, il famigerato Mes scompare e poi riappare, alimentando discussioni non di rado bizzarre, ma soprattutto trasmettendo la poco rassicurante sensazione di un ceto politico che non pare granché consapevole di quanto sia rischioso sottovalutare il regime di oggettiva condizionalità (comunque si voglia truccare e imbellettare la vicenda) a cui sarebbe sottoposto chi aderisse a quel tipo di programma. Indubbiamente giova ricordare (questo giornale lo ha fatto più volte) che un conto è ratificare e altro conto è far ricorso al Meccanismo: ma ciò che colpisce è la leggerezza con cui si continua a scherzare con il fuoco. Primo esempio. Con un’iniziativa francamente scombiccherata, il Pd ligure, attraverso il consigliere regionale Luca Garibaldi, si è fatto promotore di un ordine del giorno in Regione (per la cronaca, respinto con 18 voti contrari, 6 astenuti e 6 favorevoli) per impegnare la giunta regionale a sollecitare il governo in direzione pro Mes. Saggiamente, il governatore Giovanni Toti ha spiegato che l’iniziativa esulava dalle competenze regionali. Secondo esempio. Con antica attitudine democristiana a far melina e a guadagnare tempo, anziché a difendere thatcherianamente i principi, il ministro Raffaele Fitto, parlando davanti alle commissioni Politiche Ue di Senato e Camera, si è tenuto vaghissimo: «Il tema del Mes è collegato a un dibattito complesso. Se un Paese come la Germania è finito alla Corte costituzionale con un dibattito molto particolare per definirlo, comprenderete che non è cosi semplice e scontato come vogliamo rappresentarlo». E ancora, con il non dire sempre prevalente sul dire: «Il governo farà le sue valutazioni nei prossimi giorni e quindi rappresenterà la suaapposizione». Il terzo esempio è addirittura quotidiano: non passa giorno senza che si intensifichi il pressing di Azione e Italia Viva per attivare il meccanismo. E ieri (quarto esempio) si è scatenato in tv, su La 7, pure Alessio D’Amato, assessore uscente della giunta di Nicola Zingaretti ma soprattutto neocandidato del centrosinistra alla presidenza della regione Lazio. Per D’Amato solo con il Mes si possono affrontare i problemi della sanità. Curioso atteggiamento: dopo i disastri della sanità in Regione (uno per tutti la beffa delle mascherine, per cui hanno dato senza indugio un anticipo di circa 14 milioni di euro a un’azienda specializzata in led ma di dispositivi se ne sono visti una manciata e di soldi indietro poco o nulla), manca solo una bella manovra di autoincaprettamento. Altro debito, altre condizionalità, e un bel pilota automatico. Chi intanto si frega le mani è l’ineffabile nuovo direttore generale del fondo salva-Stati, Pierre Gramegna, che, in un’intervista a Welt, già dà letteralmente per scontato il semaforo verde italiano: «L’Italia deve fare la sua parte per preparare l’Europa alle prossime crisi. Ma do per scontato che l’Italia, che ha co-negoziato la riforma, rispetterà i suoi obblighi e la ratificherà». La sensazione è che, nella sottovalutazione generale, troppi in Italia preparino il cedimento. E sarà bene ricordare a tutti - per l’ennesima volta - che disgraziatamente il Trattato Mes resta, e non bastano più o meno vaghe dichiarazioni politiche a edulcorarlo o a precluderne l’applicazione futura; e soprattutto è eloquente il mai modificato e sempre operativo articolo 14 del Regolamento Ue 472 del 2013 (articolo significativamente intitolato: «Sorveglianza post-programma»). E che cosa vi si legge? Al comma 1 che «uno Stato membro può essere soggetto a sorveglianza post-programma finché non avrà rimborsato almeno il 75 % dell’assistenza finanziaria» ricevuta. Al comma 3 si legge ancora che «la Commissione effettua, d’intesa con la Bce, missioni di verifica periodiche nello Stato membro soggetto alla sorveglianza post-programma allo scopo di valutarne la situazione economica, fiscale e finanziaria. Con cadenza semestrale essa comunica la sua valutazione alla commissione competente del Parlamento europeo, al Cef e ai parlamenti degli Stati membri interessati e valuta in particolare se siano necessarie misure correttive». Eccola qua l’espressione da segnare in rosso: «misure correttive», cioè draconiani aumenti di tasse o tagli di spesa sostanzialmente imposti da fuori. E per chi non avesse ancora capito l’antifona, ecco il comma 4: «Il Consiglio, su proposta delle Commissione, può raccomandare a uno Stato membro soggetto alla sorveglianza post-programma di adottare misure correttive. La proposta della Commissione si considera adottata dal Consiglio a meno che il Consiglio stesso decida, deliberando a maggioranza qualificata, di respingerla entro dieci giorni dall’adozione della stessa da parte della Commissione». Tradotto in italiano dalla lingua di legno degli euroburocrati: una volta che la proposta sia stata messa in campo, solo una miracolosa maggioranza qualificata in Consiglio può salvare lo Stato dall’essere sottoposto alle misure correttive.Per tutte queste ragioni, pare assolutamente imprudente che un Paese ad alto debito e a elevato rischio corra a infilare la sua testa dentro a un guinzaglio già pronto. Da troppo tempo è in corso un tentativo politico e mediatico di minimizzare l’impatto delle condizionalità negative, o di accreditare presunte novità nella normativa secondaria e di dettaglio. Tutto irrilevante rispetto alla sostanza, che è quella che abbiamo appena riassunto. Non solo. Con il vecchio Mes la ristrutturazione del debito di un Paese in crisi era considerata una circostanza eccezionale; con la riforma del Mes, invece, essa diventa un evento più probabile e ordinario, con tutte le devastanti conseguenze del caso. Per quale misteriosa ragione un paese esposto come l’Italia dovrebbe accollarsi quest’alea?