2019-07-28
L’asse tra Pd e pentastellati vara il «bavaglio» Lgbt nella regione di Bibbiano
Dopo una discussione durata 39 ore, approvata in Emilia Romagna la norma che prevede la «rieducazione» dei docenti e la censura dei messaggi sgraditi.L'hanno fatta passare verso le 3.30, nel pieno della notte, come si fa con le peggiori nefandezze. La legge bavaglio contro l'omotransfobia della Regione Emilia Romagna è stata approvata dopo una discussione in aula durata 39 ore. Il centrodestra aveva ha provato a fermare il provvedimento presentando la bellezza di 1787 emendamenti (per lo più di Fratelli d'Italia) ma non c'è stato nulla da fare. La maggioranza di sinistra era favorevole e pure i 5 stelle hanno supportato fin dall'inizio il progetto (di cui si discute addirittura dal 2014). L'unica nota positiva è che - anche grazie alla componente cattolica del Pd - nella norma è previsto un passaggio contro l'utero in affitto. Il testo dice, all'articolo 12, che «la Regione non concede contributi ad associazioni che nello svolgimento delle proprie attività realizzano, organizzano o pubblicizzano la surrogazione di maternità». Una puntualizzazione che i pentastellati hanno molto contestato. «Questo articolo è un bavaglio per le associazioni», ha dichiarato la grillina Silvia Piccinini. Certo, come se la maternità surrogata non fosse una pratica disumana per altro vietata severamente dalla legge italiana. A dirla tutta, non è che la norma emiliana condanni l'utero in affitto. Semplicemente proibisce di riempire di soldi chi lo propaganda. Un compromesso al ribasso, ma visto il clima tocca notare che poteva finire peggio. Anche perché il resto della legge è una specie di gigantesca marchetta a favore delle associazioni Lgbt. La lotta alle discriminazioni non c'entra nulla, anche perché gli strumenti per contrastare odio e maltrattamenti c'erano già tutti, compreso un osservatorio regionale dedicato. Questo nuovo testo non fa che creare la cornice per l'elargizione di denaro pubblico a fini di propaganda. «La Regione», si legge nella prima pagina, «ai fini di prevenire le discriminazioni per motivi derivanti dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere e favorire una cultura del rispetto e della non discriminazione, promuove e valorizza l'integrazione tra le politiche educative, scolastiche e formative, sociali e sanitarie, del lavoro». L'insistenza sulla educazione e la formazione è costante. Tradotto, significa lavaggio del cervello per insegnanti e dipendenti pubblici. All'articolo 3, tra le altre cose, si spiega che «la Regione, nell'ambito delle proprie competenze, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, le agenzie educative del territorio e le associazioni, sostiene la promozione di attività di formazione e aggiornamento del personale docente diretta a favorire inclusione sociale, superamento degli stereotipi discriminatori, prevenzione del bullismo e cyberbullismo motivato dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere». Non è educazione bensì rieducazione. E dire che in Emilia Romagna esistono già progetti come «W l'amore» creati appositamente per portare l'ideologia gender nelle classi. Tra l'altro, la legge appena approvata stabilisce che «la Regione aderisce a Ready (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni antidiscriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere)». In sostanza, l'Emilia Romagna è parte della più grande alleanza arcobaleno d'Italia, e contribuirà a finanziare progetti ed eventi Lgbt. Non a caso, leggiamo, «la Regione e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, promuovono e sostengono eventi socio-culturali che diffondono cultura dell'integrazione e della non discriminazione, al fine di sensibilizzare la cittadinanza al rispetto delle diversità e di ogni orientamento sessuale o identità di genere».«A chi verranno affidati questi corsi di formazione e quanto guadagneranno i relativi “docenti"?», si chiede giustamente Simone Marchetti della Lega. «Ma soprattutto: sono davvero così necessari? A queste domande nessuno mi ha mai dato una risposta, alla faccia del confronto e della democrazia». Che i corsi non siano necessari è evidente. Ma, di nuovo, nella legge c'è anche di peggio, ovvero il ruolo giocato dal Corecom, il Comitato regionale per le comunicazioni. Tale comitato si occuperà di vagliare i «contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, eventualmente discriminatori rispetto alla pari dignità riconosciuta ai diversi orientamenti sessuali all'identità di genere della persona». Una volta che avrà individuato un contenuto discriminatorio (o sgradito), ad esempio una manifesto pro life, la Regione potrà di fatto censurarlo. E fare causa a chi lo ha realizzato, devolvendo poi il ricavato alle associazioni Lgbt. Non solo: il Corecom si occuperà anche di garantire «adeguati spazi di informazione e di espressione anche in ordine alla trattazione delle tematiche di cui alla presente legge». Tradotto: altra propaganda. Il tutto, giova ricordarlo, promosso dagli stessi esponenti Pd che celebravano il modello Bibbiano (ad esempio Roberta Mori) e con l'approvazione del Movimento 5 stelle. Il bavaglio arcobaleno ora è legge. Un'altra vittoria della censura democratica.