2020-09-30
L’assassino dei fidanzati confessa. «Li ho uccisi perché erano felici»
Lo studente, 21 anni, era stato loro coinquilino. Ha impiegato mesi per pianificare l'omicidio: ha analizzato il percorso per evitare le telecamere di videosorveglianza. Il procuratore: «Mai visto nulla di simile».Li ha trucidati con sessanta coltellate, stordito dai loro volti amorevoli e sorridenti. «Perché erano troppo felici» ha confessato. Eccolo qui, l'ultimo abisso. Il gorgo del disperato che non vuole gioire e non vuole che capiti ad altri. «Sì, sono stato io». Dopo una notte di interrogatorio, Antonio De Marco, il ventunenne di Casarano che studiava da infermiere, ha rivelato al procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris, il più inspiegabile dei moventi: la rivalsa. Non per un torto subito o un moto di irrefrenabile gelosia. Ma per il terrore di non poter mai provare simili sentimenti. È stato lui ad uccidere Daniele De Santis e la sua fidanzata, Eleonora Manta. Lei con i boccoli biondi e lui con la barbetta curata. Daniele, 33 anni, promettente arbitro della Lega pro e gestore di un bed & breakfast. Ed Eleonora, 30 anni, avvocatessa che ha appena vinto un concorso per entrare all'Inps. Una coppia felice, dunque da eliminare. Com'era già accaduto a febbraio del 2019 a un altro ragazzo: Stefano Leo, ammazzato con una coltellata alla gola dal marocchino Said Mechaquat. Perché, pure lui, «aveva l'aria felice» Daniele ed Eleonora sono stati trovati morti la sera dello scorso 21 settembre in via Montello, a Lecce. Alle 20,45 Luixhi, un albanese di 28 anni, chiama il 112: «Si sentono delle grida allucinanti» spiega concitato. «Dall'abitazione è uscito un uomo armato, incappucciato e sta tentando la fuga». Aggiunge: ha un coltello in mano, zaino in spalla, indossa guanti e felpa nera. Era lui: Antonio De Marco. Faccia pulita, studente modello, tutto studio e tirocinio. Ha confessato. S'è tolto dalla coscienza il peso dell'infelicità che ha armato la sua mano. Con la più incomprensibile delle scusanti: «Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia». Il procuratore giura di non aver mai visto nulla del genere: «L'accaduto è una rarità nella criminologia penale». Nessuna vera spiegazione. Perché l'insostenibile pesantezza dell'amore altrui non sembra nemmeno al magistrato un movente criminale, ma piuttosto esistenziale. Talmente labile da aver costretto a brancolare per giorni gli inquirenti.Il più folle degli argomenti va cercato in una passata convivenza. De Marco, «ragazzo chiuso e con poche amicizie», finisce per condividere l'appartamento con quella coppia di inguaribili innamorati. Proprio nella casa che poi De Santis decide di ristrutturare, per viverci con Eleonora. E proprio con lei la breve convivenza non sembra facile. Daniele decide quindi di non rinnovare il contratto al giovane. E tenere l'appartamento per sé e la fidanzata. Antonio, lo scorso agosto, si trasferisce così in un'altra casa a Lecce. Comincia a pianificare l'omicidio, ricostruiscono le indagini. Da solo. Senza complici. Nella sua mente la vendetta comincia a mescolarsi all'invidia. Un omicidio meditato a lungo. Definito nei minimi dettagli. Secondo la ricostruzione, il ventunenne entra in casa mentre i due giovani cenano. Sferra le prime coltellate contro Daniele, in cucina. Un inquilino del palazzo racconta ai magistrati: «Attorno alle 20.45 ho sentito delle urla provenire dall'abitazione sopra la mia». Mobili che cadevano. «E frasi tipo: “Aiuto, che stai facendo?". Le urla erano tali che ho capito subito che non si trattava di una semplice lite». E poi il vicino sente la voce di Eleonora, che implora l'assassino. «Che stai facendo? Ci stai ammazzando».Sì, li stava ammazzando. Senza alcuna ragione, pianificando tutto. Nei cinque bigliettini che perde durante la fuga viene trovata non solo la mappa, che indica come evitare le telecamere di sicurezza della zona. Ma anche i dettagli di quelle che gli investigatori definiscono le «attività prodromiche», che precedono l'omicidio. De Marco ha già in mente ogni attimo della spietata sequenza criminale: prima immobilizzare, poi torturare, dopo uccidere. Infine, ripulire tutto. A casa dei fidanzati, trovano due bottiglie di candeggina, fascette per tendere i cavi, il cappuccio ricavato da un paio di calze di nylon da donna. E tutta l'attrezzatura che servirà a ripulire la scena del crimine. Per non lasciare traccia, come nelle serie tv. In quei cinque bigliettini persi durante la fuga, il ragazzo scarabocchia ogni dettaglio. Pulizia, acqua bollente, candeggina, soda. E, alla fine, annota di volere lasciare persino una scritta sul muro con un messaggio per la città. Un'azione dimostrativa, probabilmente per sfogare la rabbia più repressa e le nevrosi più inimmaginabili. Il provvedimento di fermo contro De Marco diventa così il racconto della nevrosi, nell'enfatico e inevitabile burocratese da magistrati: «L'azione è stata realizzata con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di pietà verso il prossimo». Li odiava. Perché non avrebbe mai provato quello che provavano loro. «Nonostante le ripetute invocazioni a fermarsi urlate dalle vittime, l'indagato proseguiva nell'azione meticolosamente programmata inseguendole per casa, raggiungendole all'esterno senza mai fermarsi». Sessanta coltellate: «Mero compiacimento sadico». Il giorno dei funerali, a riprova della banalità del male, l'avrebbero pure visto a una festa. Adesso l'aspirante infermiere è in prigione. Davanti alla caserma, mentre la macchina dei carabinieri lo porta via, si raduna una piccola folla di amici e conoscenti delle vittime. Qualcuno inveisce: perché? «Perché erano troppo felici».
Giancarlo Giorgetti (imagoeconomica)