
Niente nomine. Dem e 5 stelle ritengono il presidente di Raiway troppo renziano per andare al Tg di Raitre e così Iv mette il veto su Francesco Giorgino e Giuseppina Paterniti. L'ad Fabrizio Salini prende altro tempo in vista del piano industriale.È saltato tutto, quindi lui è sereno. È un Fabrizio Salini sorridente e disteso quello che stamane entra in consiglio d'amministrazione della Rai per parlare degli ascolti della radio (in questi mesi in costante calo), invece che di nomine bollenti. L'amministratore delegato preferisce i massimi sistemi; lì non ci sono partiti da scontentare e curve da affrontare a 200 all'ora, lì colui che al settimo piano dell'azienda è ormai soprannominato il Dottor Divago non rischia l'emicrania permanente. Così per la seconda volta consecutiva le nomine sono rinviate perché nessun accordo è blindato. La vulgata interna parla di scintille sul nome di Mario Orfeo, pronto a rientrare sulla tolda del Tg di Raitre ma ritenuto troppo renziano dal Pd e troppo di sinistra dal Movimento 5 stelle. L'ex direttore generale parcheggiato alla presidenza di RaiWay è l'uomo di punta di Matteo Renzi e dei suoi colonnelli in Commissione di vigilanza Michele Anzaldi e Davide Faraone, ma su di lui c'è il veto di Luigi Di Maio che non gli perdona l'appartenenza al Giglio magico e soprattutto la campagna sui rifiuti a Roma nel primo periodo di Virginia Raggi sindaco, quando era direttore del Tg1. La motivazione ufficiale dell'ennesimo slittamento è un po' più nobile: il mancato rispetto delle quote rosa. Ma si tratta di una pietosa giustificazione, dietro c'è un'aspra guerra per le poltrone, tutta a sinistra. La vicenda smonta definitivamente la barzelletta della Rai sovranista, cavalcata dalla stampa renziana per ottenere più posti al sole. Se così fosse, smantellarla sarebbe semplice. Basterebbe mandare a casa i cosiddetti colonnelli verdi (in pratica solo Teresa De Santis, che peraltro in questi mesi ha fiutato l'aria ed è molto bipartisan) e sostituirli con manager in possesso della patente progressista o liberali travestiti. Invece i rinvii a raffica raccontano altro, narrano di una guerra intestina, consueta, al coltello fra vecchi proprietari politici dell'azienda (Pd), bulimici pretendenti di ritorno (Italia viva) e nuovi azionisti gabbati (i grillini scontenti per la scarsa rappresentatività). A bloccare le nomine sono i veti incrociati non tanto sui direttori di rete (Stefano Coletta a Raiuno, Marcello Ciannamea a Raidue e Franco Di Mare a Raitre sono confermati), ma su quelli dei telegiornali. Detto di Orfeo, i pentastellati chiedono un posto di peso per Francesco Giorgino e Giuseppina Paterniti, nomi sui quali i renziani sono perplessi: il primo considerato troppo vicino al centrodestra, la seconda troppo di sinistra. Il Pd dal canto suo non accetta il ritorno di Andrea Montanari perché ritenuto troppo legato a Renzi. In tutto questo Di Maio chiede più spazio, ma non ha uomini veramente fidati e si è accorto di avere battezzato finora pretendenti di area dem. Così anche la sostituzione di Carlo Freccero (Raidue), che fra tre giorni va in pensione, rimane in stand by; sarà lo stesso amministratore delegato ad assumere l'interim.È un mare in tempesta sul quale Salini galleggia sperando in un miracolo divino. Meglio parlare degli ascolti della radio, degli immobili da valorizzare e del canone in bolletta. L'ultimo tema scotta e la bolletta in questione non è quella della luce. «Da quando viene pagato con quella formula entrano meno soldi di prima», ha lanciato l'allarme lo stesso Salini in Commissione di vigilanza. Tutto vero, da quando il balzello viene pagato dagli italiani con la nuova formula l'evasione è crollata, ma gli introiti sono sensibilmente diminuiti per due motivi. Primo: la tassa è passata da 130 a 90 euro, 16 dei quali vengono trattenuti dal fisco. Secondo: Il bilancio resta comunque di 1,6 miliardi, cifra che rischia un altro taglio in conseguenza di un emendamento del Pd alla legge di Bilancio. I dem vorrebbero scorporare un ulteriore 10% (160 milioni di euro) per il fondo Pluralismo e Editoria, mandando in crisi i conti dell'azienda culturale più importante del Paese.Salini abbozza e sa di non poter fare la voce grossa; anche lui non è più in sella come un anno fa. Il Pd non lo stima, i 5 stelle lo difendono perché lo hanno scelto loro, ma non sono contenti di questo indecisionismo. Nel frattempo si avvicinano le scelte strategiche del 2020, c'è un piano industriale da far partire, una programmazione da gestire o meglio da rivoluzionare. Anche qui le tre anime del governo sono su posizioni antitetiche: Di Maio vorrebbe ringiovanire, Zingaretti vorrebbe una svolta più marcata a sinistra e Renzi vorrebbe contare di più. Salini sta in mezzo, come d'autunno sugli alberi le foglie. E un vecchio lupo da Commissione di vigilanza gli regala un monito: «Qui dentro se stai fermo sei un bersaglio facile».
(IStock)
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