2019-02-02
L’antisemitismo viaggia in barcone. Il paragone ebrei-immigrati è folle
Gli immigrazionisti arrivano a parlare di «nuovo olocausto», equiparando i clandestini ai perseguitati da Adolf Hitler. Peccato che dal mare arrivino islamici, ossia chi disprezza di più gli israeliti.La settimana precedente la Giornata della memoria e quella immediatamente successiva sono state dominate da discorsi che, negli ultimi anni, sentiamo ripetere fin troppo spesso. In particolare, a farla da padrone è il paragone tra il popolo ebraico e migranti in arrivo sui barconi. A dirla tutta, sui media si è parlato più di razzismo e discriminazione nei confronti degli africani che della persecuzione degli ebrei. Oggi, per esempio, in varie città italiane si tiene una manifestazione chiamata «L'Italia che resiste». Dovrebbe essere una «autoconvocazione spontanea di cittadini e associazioni» allo scopo di «resistere alle scelte inumane di chi vorrebbe lasciar morire in mare chi scappa dalla guerra, dalla fame e dalla povertà, di chi interrompe i percorsi di assistenza ed integrazione».Insomma, una bella sfilata contro il governo colpevole di voler frenare l'immigrazione di massa. In sé, ovviamente, l'evento è del tutto trascurabile. È emblematico, tuttavia, ciò che gli organizzatori scrivono nel comunicato stampa. Spiegano di aver scelto la data del 2 febbraio perché arriva «pochi giorni dopo il Giorno della memoria, perché non vogliamo essere come quelli che in tempo di guerra hanno fatto finta di non vedere quello che stava accadendo». Di nuovo, l'improvvido paragone: i migranti in arrivo dall'Africa sono come gli ebrei ai tempi di Adolf Hitler. Anche le parole della senatrice a vita Liliana Segre, in alcune occasioni, sono state utilizzate per stabilire un parallelo fra la sorte di chi attraversa il Mediterraneo e quella del popolo ebraico negli anni Quaranta. In realtà, la stessa Segre, nel giugno scorso, pronunciò frasi piuttosto chiare in favore di telecamere: «So che cosa vuol dire essere respinti», disse, «perché nel caso della mia famiglia siamo stati respinti in quattro e sono tornata solo io a raccontare. Però quando sono stata respinta di qua c'era la morte, la persecuzione, la deportazione. Non si può fare di ogni erba un fascio. Non tutti quelli che chiedono asilo avrebbero la morte a casa loro». Questa presa di posizione dovrebbe bastare a chiudere il discorso, ma è evidente che le dichiarazioni della senatrice a vita vengono tenute in considerazione solo quando portano acqua al mulino della sinistra. E allora vale la pena di approfondire un pochino l'argomento, e di procurarsi un agile libretto intitolato L'ebreo emancipato. Attualità dell'antisemitismo in Europa. Lo pubblica Edb, e a firmarlo è Bruno Karsenti, directeur d'études all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, di cui è anche vicepresidente. Uno studioso autorevole, insomma, per altro estremamente sensibile all'argomento. Nel breve testo, Karsenti appare molto cauto. Evita riferimenti diretti e ruvidi, cerca di non violare la correttezza politica. Tuttavia, il senso del suo discorso appare piuttosto chiaro. «Il fatto è che l'antisemitismo, in Europa, non solamente non è scomparso», spiega, «ma ha trovato nuove vie per espandersi e prosperare. Emergono altre violenze, inedite, in particolare sotto forma di attentati che toccano indistintamente la popolazione degli Stati, e nei quali il bersaglio ebraico viene a collocarsi al fianco di altri bersagli […]. Del resto l'antisemitismo contemporaneo ha ben più a che vedere con la persecuzione che con la discriminazione». Poi aggiunge: «In Europa oggi vi è una violenza antisemita specifica, per certi aspetti inaudita - quale altra comunità in Europa vede i propri bambini correre il rischio di essere uccisi a bruciapelo perché ebrei? - ed è una violenza che, oltre alle vittime che provoca, oltre alla sofferenza che causa nei suoi bersagli e all'insicurezza che genera, tocca un punto fondamentale del nostro discorso comune. In un tale clima, che riguarda allo stesso modo gli atti e i discorsi, non ci si può sorprendere se gli ebrei, almeno da 15 anni, lentamente ma in modo costante abbandonano l'Europa». È evidente che Karsenti sta parlando dell'islam radicale, dei terroristi ma anche dei predicatori che alimentano il discorso antisemita. Lo studioso, dicevamo, la prende alla larga, ma il punto è proprio questo: il grande problema dell'antisemitismo, oggi in Europa e in larga parte del mondo, è legato all'avanzata dell'islam. Esiste «una violenza antisemita specifica», che ha provocato attacchi e morti. Ed è una violenza che affonda le radici nell'universo culturale musulmano. Questo è un aspetto della faccenda che viene per lo più trascurato. I tanti che, negli ultimi giorni, si sono riempiti la bocca con i concetti di accoglienza, inclusione, razzismo eccetera fanno sempre finta di non vedere l'antisemitismo di parte musulmana. Anzi, gli stessi che ora tifano per le navi delle Ong e per l'accoglienza sono gli stessi che, per anni e anni, hanno trovato ogni genere di scusa per giustificare il dilagare dell'estremismo e della follia jihadista. Tra l'altro, il sistema dei barconi e dei taxi del mare ha facilitato eccome l'approdo degli aspiranti terroristi sul suolo europeo. Ha facilitato eccome l'arrivo in massa dei musulmani dal nord e dal centro dell'Africa. Forse, allora, prima di riempirsi la bocca di paragoni impropri e irrispettosi, bisognerebbe affrontare il lato oscuro della faccenda. Bisognerebbe ammettere, in occasione della Giornata della memoria, che l'antisemitismo islamico è un problema. Invece si preferisce rendere torbide le acque. Si preferisce trattare la Shoah come se fosse equivalente alle partenze dalla Libia. Ha ragione Karsenti: esiste una violenza antisemita specifica. E bloccare il meccanismo mortifero delle migrazioni di massa è (anche) un modo per arginarla.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)