2024-05-21
Landini può attaccarsi solo al salario minimo
La battaglia referendaria per eliminare il Jobs Act è troppo divisiva per la sinistra: metà Pd ha votato la riforma voluta da Matteo Renzi e ora è in difficoltà. Così la Cgil spinge a Bruxelles sulla paga imposta per legge a costo di impoverire buona parte dei lavoratori.Lo scorso novembre il numero uno della Cgil, Maurizio Landini, consapevole che gli iscritti calano e che la politica rende di più ha avviato il suo tour referendario. Piuttosto che difendere il lavoro, il capo della sigla sindacala più rossa si è concentrato sulla difesa delle piazze dal fascismo, sulla tutela della libertà di sciopero anche contro le norme di legge. Più in generale Landini ha avviato una progressiva e sempre più fitta ragnatela di connessioni con Pd, Movimento 5 stelle e Sinistra Verdi. Insomma, il lavoro è quello della cinghia di trasmissione con il sostegno dei quotidiani della famiglia Elkann, poco importa siano anche i soci di Stellantis che ogni mese assottiglia la produzione di auto in Italia. Le casse di risonanza, si sa servono, e la distinzione padroni-operai è un concetto superato. Soprattutto per la Cgil. Il progetto Landini è così filato liscio (a sostegno anche i sindacati europei e il modello Letta di studio sul mercato unico) fino a quando il network politico-sindacale è arrivato a toccare il primo e vero tema che riguarda i lavoratori. Cioè il lavoro. La Cgil ha avviato una imponente raccolta firme per abolire quel che resta del Jobs act renziano. A sottoscrivere sono stati Elly Schlein, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte. Il quartetto sostiene che le novità introdotte dal governo Renzi abbiano portato più occupazione, ma di contro salari più bassi, troppo part time e maggiore frammentazione del mondo occupazionale. Giusto e sbagliato. A firmare quella riforma è stato l’ex numero uno delle Coop diventato ministro, Giuliano Poletti. Va detto che il Jobs act ha perso pezzi sentenza dopo sentenza e che, a nostro avviso, aveva anche degli spunti interessanti, ma certo non è servito a frenare la precarietà, la frammentazione e nemmeno la perdita di potere d’acquisto. Di certo dare tutte le colpe al Jobs act è riduttivi e intellettualmente poco onesto. Se il mercato è frammentato e le paghe basse bisogna andare indietro di circa 30 anni. È stato il governo di Romano Prodi nel 1997 ad aprire al concetto di flessibilità. Il «pacchetto Treu» approvato dalle Camere introdusse il Co.co.co (poi divenuto tale), la proroga e le figure «atipiche». Bene, diranno in molti, la flessibilità serviva per il nuovo millennio e serve ancora. Quella legge, rilanciata però da Silvio Berlusconi, creò le agenzie interinali, peccato che oggi i servizi forniti dagli intermediari si fermino al 3% dell’offerta di lavoro. Per il semplice motivo che la sinistra non ha voluto correlare la flessibilità con la differenziazione degli stipendi. Così si è arrivati al 2011, quando Elsa Fornero, ministro del Lavoro di Mario Monti, mise mano alla flessibilità in uscita. In quell’occasione è stato eliminato l’obbligo di causale per i contratti a tempo e vennero riviste le norme riguardanti la reintegrazione. Ecco, questa è la lista di interventi su cui riflettere. Invece, il gruppo di esponenti di sinistra firmatari del referendum per ovvi motivi preferiscono omettere il passato e cannibalizzare il presente. Va infatti precisato che mezzo Pd, quello riconducibile a Graziano Delrio e Paolo Gentiloni, che il Jobs act l’hanno co-creato, sta prendendo un’altra strada. È possibile che tutte le anime del Pd e dei 5 stelle sotto la guida di Landini , decidano di glissare sull’abolizione dell’articolo 18 e concentrarsi sul salario minimo. Forse l’unica bandiera che può essere unitaria del fronte italiano e di quello europeo, visto che tutto questo can can viene fatto per motivi elettorali. E visto pure che Bruxelles si è sempre espressa a favore di una livello minimo di retribuzioni. Solo che persino economisti come Tito Boeri e Roberto Perotti hanno spiegato che la norma finirebbe per abbassare le retribuzioni dove già esiste una media più alta (almeno 2 euro in più rispetto alla soglia dei 9 euro proposti dal Pd) e per mettere fuori mercato intere categorie. Migliaia di colf e badanti con le nuove norme finirebbero per costare cifre insostenibili. È buffo però immaginare perché il sindacato appoggi la proposta, quando ai tempi di Massimo D’Alema la stessa Cgil si era detta contraria. Quando il salario minimo rischiava di liberare le fabbriche dai sindacati sinistra e sigle si dissero contrarie, se invece viene correlato all’ obbligo di rappresentanza e serve a salvare i sindacati allora tutto bene anche se il conto tocca ai lavoratori. Vedremo che cosa verrà deciso. Di certo finché si parla di antifascismo tutto fila liscio. Se si entra nel merito della vita reale, del lavoro e della ricchezza la sinistra s’infrange.
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