2024-06-14
Landini esulta per i quesiti sul lavoro ma il voto ha bocciato le sue politiche
Maurizio Landini (Imagoeconomica)
Raggiunte le firme per il referendum anti Jobs Act, ma tra gli operai Fdi doppia il Pd.La Cgil esulta e il suo segretario Maurizio Landini può dire di avercela fatta: raggiunto l’obiettivo delle 500.000 firme per chiamare gli italiani ad esprimersi in quattro referendum su Jobs act, sicurezza sul lavoro e appalti. Una sorta di spot post elettorale per provare a intestarsi parte del risultato non negativo alle urne del Pd.Peccato però che come spesso capita all’ex leader della Fiom, l’autoesaltazione verbale trovi pochissimi riscontri rispetto a quello che raccontano i numeri. La premessa è che per un sindacato che si vanta per i circa 5 milioni di iscritti e per avere un legame ombelicale con il maggior partito della sinistra, il Pd versione Elly Schlein, raggiungere mezzo milione di firme non dovrebbe essere considerata un’impresa titanica. Il punto però è che analizzando i flussi del voto emerge quello che Landini fa finta di non vedere. La distanza maggiore da colmare per i dem rispetto a Fdi, il partito di Giorgia Meloni, è incredibilmente proprio nelle fabbriche. Quasi il 40% degli operai, infatti, ha espresso la propria preferenza per il partito del presidente del Consiglio e appena il 16% ha dato il voto alla Schlein. A onor del vero va evidenziato che il tempo della sinistra che spadroneggiava tra i lavoratori è passato da un bel po’ e che in passato già la Lega e anche M5s avevano drenato migliaia di voti in quello che veniva considerato un bacino elettorale naturale degli eredi del partito comunista. Ma è altrettanto vero che questo Partito Democratico ha la barra nettamente spostata a sinistra e che dal patto a doppia mandata stretto con la Cgil ci si aspettava un diverso ritorno nelle urne. Quando Elly Schlein, non senza esitazioni ha deciso di firmare i referendum della Cgil sul Jobs Act, non solo ha diviso il partito provocando la reazione dei riformisti, ma ha anche rinnegato un pezzo importante della storia del Pd. Quella che probabilmente ha rotto di più con la sinistra, quella del 2015 e del Jobs Act voluto dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Perché quindi gli operai gli hanno di nuovo voltato le spalle? Probabilmente hanno considerato antistorica la battaglia contro il Jobs Act che arriva in un momento nel quale il lavoro tira come non mai. Nel primo trimestre del 2024, infatti, gli occupati sono aumentati di 75.000 unità rispetto al quarto trimestre 2023 (+0,3%), con la crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+92.000, +0,6%) e degli indipendenti (+32.000, +0,6%) che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine (-49.000, -1,7%). Cosa c’entra con questi numeri la battaglia contro il Jobs Act che a dir di Landini e compagni sarebbe stata la causa della precarizzazione del lavoro? E lo stesso discorso vale per il salario minimo sul quale il Partito Democratico spalleggiato dalla Cgil ha combattuto una battaglia di principio: teorizzando che l’introduzione di una paga minima oraria avrebbe contribuito a risolvere in modo determinante la questione salariale. La realtà, come poi dimostrano i fatti di questi giorni, è che nella prima metà del 2024 sono stati rinnovati importanti contratti che riguardano circa 5 milioni di lavoratori e che solo perseguendo questa strada insieme all’innovazione e all’incremento della produttività si può sperare di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori. Gli italiani e gli stessi operai hanno capito che anche il salario minimo rappresentava una bandiera da difendere e per questo hanno punito chi l’ha voluta issare a tutti i costi premiando invece chi (politica e sindacato) sta seguendo strade differenti.
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