True
2024-01-15
Freddo, non ti temo
(IStock)
Siamo in pieno inverno e anche nel pieno di un’ondata di freddo abbastanza importante, nonché nel pieno dei saldi. Avrete certamente notato, se siete entrati in qualche negozio dei marchi multinazionali più famosi, che è rarissimo, e in alcuni è impossibile, trovare anche un solo capo in 100% lana.
Mentre invece trionfano le fibre sintetiche, strapompate per il fatto che molte sono pubblicizzate come fibre sintetiche da riciclo, quindi «ecologiche». Per alcuni, il vero ecologismo sarebbe non proporre continuamente nuove produzioni poi invitando a comprare, comprare, comprare e comprare anche tramite app, email e pubblicità personalizzate su Internet h24, consumando ulteriore energia. In effetti, non si può non notare come sia contraddittorio che proprio chi titilla sul risparmio, il non spreco e il riciclo poi iperproduca merce di cui iperstimola l’acquisto attraverso canali anch’essi impattanti sul consumo elettrico.
Non a caso, questo tipo di negozi si chiama fast fashion, cioè moda veloce che tradotto vuol dire continue collezioni di abiti di qualità non eccelsa a prezzo basso. Solo che mentre una volta tutti, o quasi, usavano il concetto di fast food in chiave negativa, oggi il fast fashion non viene pressoché accusato di niente e, anzi, grazie al maglione di poliestere riciclato che per alcuni è un ulteriore abbattimento di costo produttivo spacciato per impegno etico, quindi puro greenwashing, viene anche raccontato, dall’attuale green bombing, anch’esso operato da multinazionali per le quali il green è solo un grande e cinico affare, come negozio buono. E magari l’allevatore di pecore è accusato di inquinare e sfruttare. Sapete da cosa nasce il poliestere riciclato? Anche dal riciclo delle bottiglie di plastica. Bene, benissimo, meglio riciclate che galleggianti in mare, ma resta che un maglione di poliestere è un maglione di plastica. E molti lanciano anche allarmi sull’inquinamento ambientale di microparticelle plastiche che si opera quando si lava un maglione, un cappotto, un cappello in poliestere o altre fibre sintetiche. A prescindere che sia riciclato o appena prodotto, il tessuto di poliestere presenta delle caratteristiche diverse dal tessuto elettivo per l’inverno, cioè la lana. E poi c’è l’acrilico: è la stessa cosa del poliestere? Conosciamoli meglio.
La lana è una fibra naturale la cui presenza è già testimoniata nella preistoria, si ottiene dal vello cioè dal manto peloso di alcuni animali, come gli ovini. Oppure, dalle pecore: la famosa lana merinos deriva dalla pecora omonima, selezionata in Spagna tra XV e XVIII secolo e oggi allevata in altre varie parti del mondo. Ancora, dalle capre, la lana cashemere, per esempio, si ottiene dal sottopelo di capre che vivono per lo più sugli altopiani del Kashmir, regione dell’India settentrionale, della Mongolia, del nord della Cina, dell’Iran e dell’Afghanistan.
Particolare è la capra d’Angora, da cui si ricava la lana mohair. Si ottiene poi lana dal vello di camelidi come i cammelli (asiatici e dromedari africani): in questo caso non si tosa ma si raccoglie, perché in primavera il sottopelo del cammello si stacca spontaneamente, poi i raccoglitori di pelo a seguito della carovana lo recuperano e conservano per filarlo. Spesso, si chiama cammello qualunque lana beige ma soltanto quella fatta con pelo di cammello andrebbe chiamata così. Camelidi, dicevamo, come anche lama, alpaca (Ande) e vigogna (Ande peruviane). Minoritariamente, si ottiene lana anche dal vello dello yak e dell’antilope tibetana (shahtoosh), si ottiene poi lana d’angora dal pelo di una particolare razza di coniglio europeo originario della provincia di Ankara in Turchia che in passato si chiamava Angora. Esiste anche una lana ottenuta dal prelevamento del vello dopo la macellazione dell’animale, che si chiama lana di concia. C’è anche la lana rigenerata, ottenuta dagli scarti di produzione delle precedenti.
Come dicevamo, la lana è un materiale molto antico: i reperti più remoti sono quelli relativi a quasi 2000 anni a.C., ma probabilmente la lana era già usata molto prima. Se nell’antichità più remota, però, il pelo veniva strappato a mano dal vello a ciuffi, con gli antichi Romani fanno la loro apparizione le cesoie per tosare. Il vello, infatti, si tosa, cioè se ne taglia il pelo e da questo gesto, che contribuisce al benessere dell’animale perché lo libera di un peso che altrimenti nel tempo diventerebbe eccessivo (e va svolto con rispetto e delicatezza per non ferirlo, ovviamente), parte la produzione della lana. Dopo la tosatura, due volte l’anno in autunno e inverno, si confeziona la lana in balle. Le balle arrivano poi nei lanifici dove si procede a selezionare, lavare, lubrificare (per diminuire l’elettrostaticità, comunque già bassa nella lana rispetto alle fibre sintetiche).
Poi, si fila, con filatura cardata se si tratta di fibre corte, con pettinatura se le fibre sono più lunghe. Poi si arrotola sul rocchetto e poi si tesse per ottenere il tessuto o si lavora in forma di filato.
La fibra di lana è fatta di cheratina, la stessa sostanza che si trova nei nostri capelli, peli e unghie. Anche per questo motivo il corpo umano e la sua pelle la, come dire, riconoscono, come non possono fare con le fibre sintetiche.
Pare non esistere allergia alla lana, quando si hanno reazioni epidermiche di prurito o irritazione si tratta di una questione meccanica di fibra dura oppure di allergia ad acari eventualmente contenuti nella lana. La fibra di lana ha una sezione circolare e all’esterno è ricoperta di squame. La fibra di lana resiste bene a muffe e batteri, ma oltre che dagli acari (che, va detto, possono attaccare tutti gli altri tessuti a parte quelli trattati come antiacaro), può essere attaccata dalle tarme. La lana è una fibra tessile naturale ottenuta da materia prima naturale.
Col tempo e l’industria, si sono affermate le fibre artificiali, tratte da sostanze fibrose già esistenti in natura ma elaborate in maniera chimica, come le fibre ottenute per trasformazione chimica di polimeri organici naturali (come cellulosa, cascina, proteine, alghe) quali rayon viscosa, acetato di cellulosa, cupro o algato. Le fibre artificiali sono abbastanza traspiranti e accumulano meno carica statica di quelle sintetiche.
Le fibre sintetiche sono invece ricavate da sostanze non esistenti in natura e prodotte dalla chimica per sintesi ossia polimerizzazione di monomeri organici quali poliammidi, poliesteri, poliuretani o derivati polivinilici: sono la fibra poliammidica anche detta poliammide o nylon, realizzata e brevettata dalla Du Pont nel secolo scorso, il poliestere, il terital, il pile, il polipropilene.
E l’acrilico che, in pratica, è una resina acrilica filata e poi tessuta. Le resine acriliche (poliacrilati) sono ottenute dalla polimerizzazione di monomeri acrilici, nacquero per uso principalmente edile, poi odontoiatrico e poi approdarono all’uso tessile. In genere, sono meno traspiranti delle fibre naturali e artificiali.
Come scegliere un golf o una felpa che ci tenga al caldo in modo sano
I valori che dobbiamo considerare delle fibre per operare un paragone utile a capire come ci proteggono dal freddo (e in generale) sono: il potere coibente, il potere traspirante, l’igroscopicità, l’idrofilia. Oltre che il peso e il prezzo. Il potere coibente dei materiali è legato al valore della «conducibilità termica» («lambda»); più piccolo è il valore della «lambda» maggiore sarà il potere isolante del materiale. Quindi, per isolare bene il corpo in inverno bisogna coprirlo con materiali dalla bassa conducibilità termica. Il potere traspirante del materiale dipende dalla «resistenza di diffusione al vapore» («mi»): più bassa è la resistenza di diffusione al vapore, più traspirante è il materiale.
La traspirabilità è la capacità o la possibilità per il vapore acqueo di uscire dall’interno di un tessuto. L’igroscopicità è indicata dalla ripresa di umidità, un valore che esprime l’attitudine delle fibre tessili ad assorbire e poi trattenere l’umidità esterna ambientale. Le fibre naturali sono quelle più igroscopiche, le fibre sintetiche lo sono molto meno e la corona di fibra naturale più igroscopica spetta alla lana, con un valore di ripresa di umidità di 18,25% se pettinata e 17 se cardata. Pensate che l’acrilico ha valore 2, il poliestere 1,50, il poliammide 3,50 (l’acetato 9). a lana assorbe umidità dall’esterno e la trattiene. L’idrofilia è diversa dall’igroscopia: l’igroscopia, come abbiamo visto, è la capacità di assorbire l’umidità ambientale, l’idrofilia è la capacità di assorbire acqua in forma liquida, non di vapore come è l’umidità. Un tessuto può essere molto igroscopico e poco idrofilo, il contrario dell’idrofilia è l’idrofobia e idrofobo vuol dire che repelle l’acqua. La lana è molto igroscopica e poco o zero idrofila, grazie anche alla lanolina che ne riveste le fibre rendendole appunto pressoché impermeabili. Per essere ben protetti dal freddo occorre che i materiali di cui ci vestiamo presentino alto potere coibente, ma anche alta traspirabilità. Altrimenti siamo come incellophanati, sottovuoto e la nostra pelle non può traspirare e traspirando essere calda, sì, ma anche asciutta. I tessuti altamente traspiranti sono anche antibatterici proprio perché mantengono la pelle asciutta: i batteri proliferano più rapidamente in ambiente caldo e umido causando anche cattivi odori. Il poliestere per essere traspirante deve essere lavorato in modo da presentare microfori espiranti, non lo sarebbe di suo e non lo è nemmeno lavorato all’uopo come è invece la lana. Un materiale con alto potere coibente evita la dispersione di calore della nostra temperatura corporea. E fa da barriera contro il freddo ambientale. Poi, grazie al suo alto potere traspirante migliora l’isolamento termico in quanto riduce la possibilità che si crei condensa; l’aria, infatti, in assenza di convezione è un buon isolante termico ma può perdere questa proprietà isolante in presenza di acqua.
La lana è estremamente termocoibente: le conformazione delle sue fibre fa sì che si creino delle microscopiche sacche d’aria che fungono da microcamere isolanti della nostra temperatura corporea rispetto alla temperatura esterna anche se gelida. L’isolamento termico di un tessuto è dato dalla quantità di aria che le sue fibre riescono ad intrappolare: più aria trattengono, maggiore è il potere isolante; pensate, mentre i normali tessuti sono fatti dal 75% di aria e dal 25% di fibra, un tessuto di lana ha il 90% di aria ed il 10% di fibra. La lana non è solo un materiale termocoibente, ma anche termoregolatore per la sua alta traspirabilità, ciò che la rende adatta a far traspirare il nostro eventuale sudore in inverno e soprattutto in estate, quando la dispersione di calore avviene anche per evaporazione dello stesso attraverso il sudore. Per quanto riguarda l’igroscopicità, cioè la capacità di assorbire l’umidità ambientale, la lana ne presenta un alto tasso. Può assorbire grandi quantità di umidità per poi farla evaporare, grazie alla sua alta traspirabilità, quindi gli indumenti di lana agiscono come un «muro» contro il freddo e anche contro l’umidità ambientale invernale. Prima di rilasciare una sensazione di bagnato sulla pelle, la lana può assorbire fino al 35% del suo peso. Quel suo peso, maggiore rispetto al poliestere, svolge una funzione. Mentre assorbe umidità, la lana rilascia calore, mantenendo chi la indossa più caldo e asciutto anche in condizioni ambientali di freddo e umido. Un chilogrammo di lana asciutta può rilasciare tanto calore quanto una coperta elettrica in otto ore. E infatti i «talebani» della lana parlano spesso di una sorta di sensazione di riscaldamento piacevole sulla pelle, quando indossano lana, che non sentono indossando sintetico, quando sentono, invece, come di essere chiusi in un abito che non fa respirare la pelle. Un test riportato su www.woolmark.it mostra come la lana mantenga il microclima della pelle del busto più asciutto e più caldo rispetto al poliestere. Il test è stato eseguito in condizioni di freddo e umido, durante una camminata a 5°C con l’85% di umidità relativa tra 22,1 e 22,9%, quella in poliestere tra 27,8 e 29,5%. Quanto alla temperatura, sotto la giacca di lana era tra 31,9 e 33,2 C, sotto quella di poliestere tra 29,5 e 30,7 C. Come si vede, anche il poliestere è termocoibente, grazie a un basso coefficiente di trasmissione del calore, ma lo è un po' meno della lana. Si tratta di un tessuto come abbiamo visto anch’esso traspirante se opportunamente lavorato, ma decisamente meno della lana. Come la lana è igroscopico e idrofobo. Certamente tutte queste caratteristiche dipendono anche dallo spessore, un poliestere spesso farà più di una lana molto sottile, ma le caratteristiche assolute determinano un primato della lana, anche se è più pesante ed anche se costa di più rispetto ad alcuni prodotti di poliestere.
Vi faccio un esempio. Il famoso Teddy Bear Icon Coat di Max Mara che quest’anno ha compiuto dieci anni è un cappotto realizzato in fibre di lana e alpaca o cammello su una base di seta che creano una sorta di faux fur - sembra montone - dove però la falsità della pelliccia è gagliardamente sostituita da materiali naturali come quella che rendono il cappotto, oltretutto accessoriato di fodera in seta, caldo come una pelliccia. Il costo del cappotto modello base si aggira intorno ai 2000 euro e poiché si tratta di un capospalla davvero iconico vanta infinite imitazioni, le quali sono realizzate in poliestere (anche la fodera): ciò garantisce di poter vendere il finto Teddy Bear Coat a 1 decimo, talvolta anche a 1/2 decimo del prezzo dell’originale, ma non garantisce la sensazione di avere addosso una protezione calda, performante e davvero ecologica come il cappottone imitato.
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In inverno è importante usare un abbigliamento adeguato, ma i capi in lana sono ormai una rarità. Ottenuta dal manto degli animali, esiste dalla preistoria ed è l’unica fibra naturale e anallergica.Non è sufficiente che i vestiti che portiamo ci facciano sentire tepore, è fondamentale che abbiano anche un forte potere traspirante, che gli permetta di rilasciare l’umidità. Lo speciale contiene due articoli.Siamo in pieno inverno e anche nel pieno di un’ondata di freddo abbastanza importante, nonché nel pieno dei saldi. Avrete certamente notato, se siete entrati in qualche negozio dei marchi multinazionali più famosi, che è rarissimo, e in alcuni è impossibile, trovare anche un solo capo in 100% lana. Mentre invece trionfano le fibre sintetiche, strapompate per il fatto che molte sono pubblicizzate come fibre sintetiche da riciclo, quindi «ecologiche». Per alcuni, il vero ecologismo sarebbe non proporre continuamente nuove produzioni poi invitando a comprare, comprare, comprare e comprare anche tramite app, email e pubblicità personalizzate su Internet h24, consumando ulteriore energia. In effetti, non si può non notare come sia contraddittorio che proprio chi titilla sul risparmio, il non spreco e il riciclo poi iperproduca merce di cui iperstimola l’acquisto attraverso canali anch’essi impattanti sul consumo elettrico. Non a caso, questo tipo di negozi si chiama fast fashion, cioè moda veloce che tradotto vuol dire continue collezioni di abiti di qualità non eccelsa a prezzo basso. Solo che mentre una volta tutti, o quasi, usavano il concetto di fast food in chiave negativa, oggi il fast fashion non viene pressoché accusato di niente e, anzi, grazie al maglione di poliestere riciclato che per alcuni è un ulteriore abbattimento di costo produttivo spacciato per impegno etico, quindi puro greenwashing, viene anche raccontato, dall’attuale green bombing, anch’esso operato da multinazionali per le quali il green è solo un grande e cinico affare, come negozio buono. E magari l’allevatore di pecore è accusato di inquinare e sfruttare. Sapete da cosa nasce il poliestere riciclato? Anche dal riciclo delle bottiglie di plastica. Bene, benissimo, meglio riciclate che galleggianti in mare, ma resta che un maglione di poliestere è un maglione di plastica. E molti lanciano anche allarmi sull’inquinamento ambientale di microparticelle plastiche che si opera quando si lava un maglione, un cappotto, un cappello in poliestere o altre fibre sintetiche. A prescindere che sia riciclato o appena prodotto, il tessuto di poliestere presenta delle caratteristiche diverse dal tessuto elettivo per l’inverno, cioè la lana. E poi c’è l’acrilico: è la stessa cosa del poliestere? Conosciamoli meglio.La lana è una fibra naturale la cui presenza è già testimoniata nella preistoria, si ottiene dal vello cioè dal manto peloso di alcuni animali, come gli ovini. Oppure, dalle pecore: la famosa lana merinos deriva dalla pecora omonima, selezionata in Spagna tra XV e XVIII secolo e oggi allevata in altre varie parti del mondo. Ancora, dalle capre, la lana cashemere, per esempio, si ottiene dal sottopelo di capre che vivono per lo più sugli altopiani del Kashmir, regione dell’India settentrionale, della Mongolia, del nord della Cina, dell’Iran e dell’Afghanistan. Particolare è la capra d’Angora, da cui si ricava la lana mohair. Si ottiene poi lana dal vello di camelidi come i cammelli (asiatici e dromedari africani): in questo caso non si tosa ma si raccoglie, perché in primavera il sottopelo del cammello si stacca spontaneamente, poi i raccoglitori di pelo a seguito della carovana lo recuperano e conservano per filarlo. Spesso, si chiama cammello qualunque lana beige ma soltanto quella fatta con pelo di cammello andrebbe chiamata così. Camelidi, dicevamo, come anche lama, alpaca (Ande) e vigogna (Ande peruviane). Minoritariamente, si ottiene lana anche dal vello dello yak e dell’antilope tibetana (shahtoosh), si ottiene poi lana d’angora dal pelo di una particolare razza di coniglio europeo originario della provincia di Ankara in Turchia che in passato si chiamava Angora. Esiste anche una lana ottenuta dal prelevamento del vello dopo la macellazione dell’animale, che si chiama lana di concia. C’è anche la lana rigenerata, ottenuta dagli scarti di produzione delle precedenti. Come dicevamo, la lana è un materiale molto antico: i reperti più remoti sono quelli relativi a quasi 2000 anni a.C., ma probabilmente la lana era già usata molto prima. Se nell’antichità più remota, però, il pelo veniva strappato a mano dal vello a ciuffi, con gli antichi Romani fanno la loro apparizione le cesoie per tosare. Il vello, infatti, si tosa, cioè se ne taglia il pelo e da questo gesto, che contribuisce al benessere dell’animale perché lo libera di un peso che altrimenti nel tempo diventerebbe eccessivo (e va svolto con rispetto e delicatezza per non ferirlo, ovviamente), parte la produzione della lana. Dopo la tosatura, due volte l’anno in autunno e inverno, si confeziona la lana in balle. Le balle arrivano poi nei lanifici dove si procede a selezionare, lavare, lubrificare (per diminuire l’elettrostaticità, comunque già bassa nella lana rispetto alle fibre sintetiche). Poi, si fila, con filatura cardata se si tratta di fibre corte, con pettinatura se le fibre sono più lunghe. Poi si arrotola sul rocchetto e poi si tesse per ottenere il tessuto o si lavora in forma di filato. La fibra di lana è fatta di cheratina, la stessa sostanza che si trova nei nostri capelli, peli e unghie. Anche per questo motivo il corpo umano e la sua pelle la, come dire, riconoscono, come non possono fare con le fibre sintetiche. Pare non esistere allergia alla lana, quando si hanno reazioni epidermiche di prurito o irritazione si tratta di una questione meccanica di fibra dura oppure di allergia ad acari eventualmente contenuti nella lana. La fibra di lana ha una sezione circolare e all’esterno è ricoperta di squame. La fibra di lana resiste bene a muffe e batteri, ma oltre che dagli acari (che, va detto, possono attaccare tutti gli altri tessuti a parte quelli trattati come antiacaro), può essere attaccata dalle tarme. La lana è una fibra tessile naturale ottenuta da materia prima naturale. Col tempo e l’industria, si sono affermate le fibre artificiali, tratte da sostanze fibrose già esistenti in natura ma elaborate in maniera chimica, come le fibre ottenute per trasformazione chimica di polimeri organici naturali (come cellulosa, cascina, proteine, alghe) quali rayon viscosa, acetato di cellulosa, cupro o algato. Le fibre artificiali sono abbastanza traspiranti e accumulano meno carica statica di quelle sintetiche. Le fibre sintetiche sono invece ricavate da sostanze non esistenti in natura e prodotte dalla chimica per sintesi ossia polimerizzazione di monomeri organici quali poliammidi, poliesteri, poliuretani o derivati polivinilici: sono la fibra poliammidica anche detta poliammide o nylon, realizzata e brevettata dalla Du Pont nel secolo scorso, il poliestere, il terital, il pile, il polipropilene. E l’acrilico che, in pratica, è una resina acrilica filata e poi tessuta. Le resine acriliche (poliacrilati) sono ottenute dalla polimerizzazione di monomeri acrilici, nacquero per uso principalmente edile, poi odontoiatrico e poi approdarono all’uso tessile. In genere, sono meno traspiranti delle fibre naturali e artificiali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lana-salute-scelta-moda-2666958583.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="come-scegliere-un-golf-o-una-felpa-che-ci-tenga-al-caldo-in-modo-sano" data-post-id="2666958583" data-published-at="1705329061" data-use-pagination="False"> Come scegliere un golf o una felpa che ci tenga al caldo in modo sano I valori che dobbiamo considerare delle fibre per operare un paragone utile a capire come ci proteggono dal freddo (e in generale) sono: il potere coibente, il potere traspirante, l’igroscopicità, l’idrofilia. Oltre che il peso e il prezzo. Il potere coibente dei materiali è legato al valore della «conducibilità termica» («lambda»); più piccolo è il valore della «lambda» maggiore sarà il potere isolante del materiale. Quindi, per isolare bene il corpo in inverno bisogna coprirlo con materiali dalla bassa conducibilità termica. Il potere traspirante del materiale dipende dalla «resistenza di diffusione al vapore» («mi»): più bassa è la resistenza di diffusione al vapore, più traspirante è il materiale. La traspirabilità è la capacità o la possibilità per il vapore acqueo di uscire dall’interno di un tessuto. L’igroscopicità è indicata dalla ripresa di umidità, un valore che esprime l’attitudine delle fibre tessili ad assorbire e poi trattenere l’umidità esterna ambientale. Le fibre naturali sono quelle più igroscopiche, le fibre sintetiche lo sono molto meno e la corona di fibra naturale più igroscopica spetta alla lana, con un valore di ripresa di umidità di 18,25% se pettinata e 17 se cardata. Pensate che l’acrilico ha valore 2, il poliestere 1,50, il poliammide 3,50 (l’acetato 9). a lana assorbe umidità dall’esterno e la trattiene. L’idrofilia è diversa dall’igroscopia: l’igroscopia, come abbiamo visto, è la capacità di assorbire l’umidità ambientale, l’idrofilia è la capacità di assorbire acqua in forma liquida, non di vapore come è l’umidità. Un tessuto può essere molto igroscopico e poco idrofilo, il contrario dell’idrofilia è l’idrofobia e idrofobo vuol dire che repelle l’acqua. La lana è molto igroscopica e poco o zero idrofila, grazie anche alla lanolina che ne riveste le fibre rendendole appunto pressoché impermeabili. Per essere ben protetti dal freddo occorre che i materiali di cui ci vestiamo presentino alto potere coibente, ma anche alta traspirabilità. Altrimenti siamo come incellophanati, sottovuoto e la nostra pelle non può traspirare e traspirando essere calda, sì, ma anche asciutta. I tessuti altamente traspiranti sono anche antibatterici proprio perché mantengono la pelle asciutta: i batteri proliferano più rapidamente in ambiente caldo e umido causando anche cattivi odori. Il poliestere per essere traspirante deve essere lavorato in modo da presentare microfori espiranti, non lo sarebbe di suo e non lo è nemmeno lavorato all’uopo come è invece la lana. Un materiale con alto potere coibente evita la dispersione di calore della nostra temperatura corporea. E fa da barriera contro il freddo ambientale. Poi, grazie al suo alto potere traspirante migliora l’isolamento termico in quanto riduce la possibilità che si crei condensa; l’aria, infatti, in assenza di convezione è un buon isolante termico ma può perdere questa proprietà isolante in presenza di acqua. La lana è estremamente termocoibente: le conformazione delle sue fibre fa sì che si creino delle microscopiche sacche d’aria che fungono da microcamere isolanti della nostra temperatura corporea rispetto alla temperatura esterna anche se gelida. L’isolamento termico di un tessuto è dato dalla quantità di aria che le sue fibre riescono ad intrappolare: più aria trattengono, maggiore è il potere isolante; pensate, mentre i normali tessuti sono fatti dal 75% di aria e dal 25% di fibra, un tessuto di lana ha il 90% di aria ed il 10% di fibra. La lana non è solo un materiale termocoibente, ma anche termoregolatore per la sua alta traspirabilità, ciò che la rende adatta a far traspirare il nostro eventuale sudore in inverno e soprattutto in estate, quando la dispersione di calore avviene anche per evaporazione dello stesso attraverso il sudore. Per quanto riguarda l’igroscopicità, cioè la capacità di assorbire l’umidità ambientale, la lana ne presenta un alto tasso. Può assorbire grandi quantità di umidità per poi farla evaporare, grazie alla sua alta traspirabilità, quindi gli indumenti di lana agiscono come un «muro» contro il freddo e anche contro l’umidità ambientale invernale. Prima di rilasciare una sensazione di bagnato sulla pelle, la lana può assorbire fino al 35% del suo peso. Quel suo peso, maggiore rispetto al poliestere, svolge una funzione. Mentre assorbe umidità, la lana rilascia calore, mantenendo chi la indossa più caldo e asciutto anche in condizioni ambientali di freddo e umido. Un chilogrammo di lana asciutta può rilasciare tanto calore quanto una coperta elettrica in otto ore. E infatti i «talebani» della lana parlano spesso di una sorta di sensazione di riscaldamento piacevole sulla pelle, quando indossano lana, che non sentono indossando sintetico, quando sentono, invece, come di essere chiusi in un abito che non fa respirare la pelle. Un test riportato su www.woolmark.it mostra come la lana mantenga il microclima della pelle del busto più asciutto e più caldo rispetto al poliestere. Il test è stato eseguito in condizioni di freddo e umido, durante una camminata a 5°C con l’85% di umidità relativa tra 22,1 e 22,9%, quella in poliestere tra 27,8 e 29,5%. Quanto alla temperatura, sotto la giacca di lana era tra 31,9 e 33,2 C, sotto quella di poliestere tra 29,5 e 30,7 C. Come si vede, anche il poliestere è termocoibente, grazie a un basso coefficiente di trasmissione del calore, ma lo è un po' meno della lana. Si tratta di un tessuto come abbiamo visto anch’esso traspirante se opportunamente lavorato, ma decisamente meno della lana. Come la lana è igroscopico e idrofobo. Certamente tutte queste caratteristiche dipendono anche dallo spessore, un poliestere spesso farà più di una lana molto sottile, ma le caratteristiche assolute determinano un primato della lana, anche se è più pesante ed anche se costa di più rispetto ad alcuni prodotti di poliestere. Vi faccio un esempio. Il famoso Teddy Bear Icon Coat di Max Mara che quest’anno ha compiuto dieci anni è un cappotto realizzato in fibre di lana e alpaca o cammello su una base di seta che creano una sorta di faux fur - sembra montone - dove però la falsità della pelliccia è gagliardamente sostituita da materiali naturali come quella che rendono il cappotto, oltretutto accessoriato di fodera in seta, caldo come una pelliccia. Il costo del cappotto modello base si aggira intorno ai 2000 euro e poiché si tratta di un capospalla davvero iconico vanta infinite imitazioni, le quali sono realizzate in poliestere (anche la fodera): ciò garantisce di poter vendere il finto Teddy Bear Coat a 1 decimo, talvolta anche a 1/2 decimo del prezzo dell’originale, ma non garantisce la sensazione di avere addosso una protezione calda, performante e davvero ecologica come il cappottone imitato.
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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