2022-07-21
Lampedusa è una fogna a cielo aperto e gli agenti non hanno manco le docce
Lampedusa, l'hotspot di contrada Imbriacola. Nel riquadro, le condizioni dei bagni chimici (Getty Images)
Gli sbarchi sull’isoletta sono incessanti e il centro accoglienza è un inferno: spazzatura sotto il sole cocente per una settimana. I carabinieri sbottano: «Turni di 22 ore, dopodiché alloggiamo in un hotel fatiscente». Senza l’intervento della nave militare Dattilo, che ha portato a Pozzallo 600 persone, nell’hotspot di contrada Imbriacola a Lampedusa ci sarebbero rimasti ammassati oltre 1.000 sbarcati. A conti fatti, dopo i 101 giunti martedì con cinque differenti approdi e gli altri 172 che con altri cinque barconi hanno raggiunto l’isola tra la notte e l’alba di ieri, nell’hotspot sono rimasti in 480, con un sovrannumero di 130 unità. La struttura, infatti, con i suoi soli cinque bagni chimici, è tarata per 350 persone. E chi non trova un posto letto deve arrangiarsi con un materassino di gomma piuma. Inoltre, da due settimane ormai il centro è pieno di rifiuti. E ci sono sacchi di immondizia che hanno rilasciato percolato. La strategia del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, nonostante i trasferimenti, però, non è efficace: nei centri d’accoglienza siciliani ci sono già quasi 8.000 ospiti. E ricavare qualche altro posto in strutture già oltre ogni limite sta rendendo la vita difficile ai prefetti. «La prevedibile e forte ripresa degli sbarchi di migranti sulle coste italiane sta portando nuovamente al collasso le strutture di prima accoglienza e, al tempo stesso, sta mettendo a durissima prova gli agenti della polizia di Stato destinati alle esigenze di servizio connesse agli arrivi», tuona il segretario generale del Coisp Domenico Pianese. «A Lampedusa gli agenti sono costretti a turni massacranti, anche 15 ore al giorno. Anche in Calabria e in Sardegna la situazione non è molto diversa: le attività conseguenti agli innumerevoli sbarchi di profughi stanno comportando un allentamento dell’attività di controllo del territorio, distraendo risorse dalla tutela della sicurezza di aree, peraltro, particolarmente complessa perché vittime della criminalità organizzata». E si rivolge al governo: «È assolutamente necessario far fronte a tutto questo in maniera non più emergenziale, prevedendo l’invio di personale di rinforzo. Non possiamo affrontare l’estate in queste condizioni, la misura è colma». Anche Antonio Nicolosi, Segretario generale del sindacato di carabinieri Unarma sbotta: «Si pensi che nell’hotspot di Lampedusa ci sono persone ammassate in ogni spazio possibile, persino se positive al Covid. Lamorgese non si rende conto delle difficoltà che stiamo patendo: questo è un periodo clou per gli sbarchi e i carabinieri hanno turni di 22 ore al giorno (riposi compresi), dal momento del trasferimento in mare fino agli accertamenti dell’hotspot». Non solo: «Ci troviamo a fronteggiare l’emergenza con soli 50 carabinieri e per paghe minime», afferma Nicolosi, che aggiunge: «La situazione è fonte di stress continuo per il personale dell’Arma, che oltre a soffrire i disagi più comuni del caldo asfissiante e del non avere uniformi di ricambio, non può nemmeno riposarsi adeguatamente a fine turno, visto che i carabinieri di stanza in Sicilia si trovano ad alloggiare in un albergo fatiscente, senza docce funzionanti e con i locali in ristrutturazione, compromettendo così il recupero e l’operatività in servizio». Eppure c’è ancora chi cerca di difendere l’indifendibile con narrazioni per nulla attinenti alla realtà. Basta sentire il capomissione di Mediterranea Saving Humans, Luca Casarini: «La descrizione apocalittica dell’isola invasa è folle oltre che falsa». Le agenzie di stampa lo localizzano su «un piccolo scoglio in mezzo al mare», dal quale Casarini avrebbe verificato «di persona la situazione». Ma deve aver incontrato solo turisti, visto che sostiene di essere certo che questi non si accorgono della presenza degli stranieri sull’isola. Per lui la soluzione è quella scelta da Lamorgese: «Bisogna solo continuare i trasferimenti rapidi in Sicilia e in altri luoghi per migliorare le condizioni di accoglienza». Ma dimostra di non conoscere la macchina dell’accoglienza siciliana: attualmente ci sono 2.803 persone nei centri d’accoglienza e 4.579 nella rete del Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione per rifugiati e minori stranieri non accompagnati. Anche Sea watch Italia è sulla linea Lamorgese. E non solo per la politica dei porti spalancati che, ovviamente, favorisce l’azione dei taxi del mare. La Ong ricalca in pieno la narrazione del capo del Viminale anche su questo punto: «È un fenomeno strutturale che si ripete, identico, ogni estate e ogni anno e che per questo motivo non può più essere definito emergenza». La Ong si è accorta anche dell’assoluta inefficienza dell’hotspot: «Appena sale il numero degli ospiti la situazione, anche dal punto di vista igienico-sanitario, diventa drammatica». Ma non è solo la Sicilia a soffrire. Il commissario regionale della Lega in Calabria, Giacomo Francesco Saccomanno, ieri ha scritto al prefetto, al questore della Provincia di Reggio Calabria e al Viminale per le «condizioni disumane in cui operano le forze dell’ordine» a Roccella Jonica e a San Ferdinando. «Presidiano le strutture a oltre 40 gradi e sotto il sole cocente», denuncia Saccomanno. Questioni che da tempo rimbalzano contro il muro di gomma tirato su da Lamorgese.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)