2020-03-21
L’allarme dei ristoratori: «Consegne impossibili senza le mascherine»
Danilo Scala, titolare del San Giorgio a Genova, insieme alla punta della Juventus, Paulo Dybala
Danilo Scala, titolare del rinomato San Giorgio a Genova, spiega le difficoltà comuni a tutta la categoria: «Vorrei almeno portare i nostri piatti a domicilio, ma le protezioni non si trovano. Così non posso reagire».Per Genova il coronavirus è una seconda dura prova di squadra che arriva ad appena un anno e mezzo di distanza dal crollo del ponte Morandi. Un flagello che rischia di dare il colpo di grazia al settore del turismo, rinato con le Colombiane del 1992 e ora affacciato sull'orlo del precipizio, come il furgone della Basko della foto simbolo del 2018. Ma da queste parti provano a non piangersi addosso, anche se il mugugno è considerato un tratto tipico e in città si dice che chi «no cianze, no tetta» (chi non piange non succhia il latte). Neanche i bombardamenti degli inglesi avevano scoraggiato il popolo zeneise. Il 9 febbraio 1941 la Royal navy, agli ordini dell'ammiraglio James Sommerville, cannoneggiò la città, causando la morte di 144 persone. Eppure le cronache dell'epoca raccontano che lo stesso pomeriggio 20.000 tifosi si recarono allo stadio Luigi Ferraris per veder vincere 2-0 il Genoa contro la Juventus. Settantasette anni dopo la Superba non si è piegata neppure per il crollo del ponte Morandi, che pilone dopo pilone è quasi di nuovo lì al suo posto. Una ricostruzione lampo che già fa parlare di «modello Genova». Esempi che la dicono lunga sulla resilienza della gente ligure. Ma nonostante la dura corteccia, il virus rischia di imperversare: in Liguria ci sono il tasso di mortalità, l'età media e l'indice di vecchiaia più alti del Paese e, al momento, si contano più di 1.200 contagiati, mentre i morti hanno raggiunto quota 119.Una situazione che sta mettendo in ginocchio, insieme a molti altri settori, anche quello della ristorazione, con le sue ricette tipiche, dal pesto allo stock accomodato, dai ravioli con il tuccu alla cima. In via Brigate partigiane ha abbassato le saracinesche anche il ristorante forse più rinomato della città, il San Giorgio, frequentato da politici, calciatori e nomi noti. Il titolare, Danilo Scala, ha servito, per fare qualche nome, Jeremy Irons e Sergio Mattarella e nel suo locale è di casa anche Massimo Ferrero, il presidente della Sampdoria, la squadra più contagiata della serie A (altro triste record di Genova). Ma Scala, che è genoano come i ventimila che andarono ad assistere alla sfida contro la Juve nel 1941, non si vuole arrendere al coronavirus. Era sbarcato nel 2010 con i genitori e il fratello Roberto a Genova dalla natia Albisola (dove la famiglia gestiva il celebre Fundegu) per inaugurare il primo San Giorgio (dal nome del padre), una scommessa in una città un po' chiusa alle novità.In meno di dieci anni gli Scala hanno aperto anche il Santa Teresa (dal nome della mamma) e un'osteria per le tasche meno capienti. Nel 2019 l'ultimo passo: il trasferimento nell'attuale struttura, già sede dello stellato Gran Gotto. A distanza di pochi mesi, il San Giorgio deve vedersela con il drago della pandemia: «A febbraio c'era stato un calo del 10 per cento degli incassi, nei primi 10 giorni di marzo abbiamo avuto un crollo del 50 per cento. E dall'11 tutti a casa» ci racconta Scala. Il governo ha inserito la ristorazione tra i settori più colpiti dall'emergenza per cui scatta la sospensione fino al 31 maggio dei pagamenti di ritenute, contributi previdenziali e assistenziali e dell'Iva di marzo. «Ma io entro il 10 aprile dovrò versare gli stipendi dei miei 28 dipendenti, però se resto chiuso e non incasso come posso fare?», si chiede Scala. Che aggiunge: «Non abbiamo tesoretti da parte, perché abbiamo investito molti soldi per l'acquisizione della licenza del Gran Gotto. Leggo che negli altri Paesi stanno stanziando cifre enormi, da noi solo 25 miliardi. I politici litigano tra di loro e gli imprenditori come me rischiano di chiudere per sempre. Purtroppo andiamo bene solo per pagare».Palazzo Chigi ha congelato i licenziamenti, ma non ha spiegato a chi deve mandare avanti un'attività dove trovare le palanche. «Dicono che hanno bloccato i pagamenti dei mutui e degli affitti, ma a me non risulta. Io ho dovuto saldare i costi di locazione di marzo dei miei tre locali e potrò scalare il 60 per cento della somma solo sul prossimo F24». Stesso discorso per la rata del mutuo ottenuto per acquistare l'immobile adibito a foresteria per i dipendenti del ristorante.Per provare a resistere alla mareggiata del contagio Scala ha pensato di trasformare la sua proposta per palati fini in un delivery menù con in lista manicaretti come la pasta fatta in casa con sugo di gallinella e carciofi o l'impareggiabile cappon magro, una specialità ligure a base di pesce e crostacei. Peccato che anche questo tentativo di rialzarsi debba fare i conti con la cruda realtà. Scala ci spiega perché: «C'è l'obbligo di lavorare con mascherine e guanti, ma purtroppo le protezioni per il volto non si trovano. Abbiamo provato nei grandi magazzini e nelle farmacie, ma non ce ne sono. Così non è possibile reagire. Donald Trump propone “l'helicopter money", mentre noi qui non possiamo neanche rimboccarci le maniche perché siamo senza mascherine».Il presidente della Fepag (l'associazione ristoranti della Confcommercio, con più di 350 locali iscritti in provincia di Genova) Matteo Losio, titolare della storica trattoria del Bruxaboschi, la vede nera: «Chi tenta le consegne a domicilio lo fa per offrire un servizio e smaltire le scorte, ma incassa cifre ridicole. Il gioco non vale la candela, anche a causa delle problematiche legate al trasporto e alle consegne. Senza contare che molti dipendenti potrebbero rifiutarsi di andare in giro e denunciare i propri datori di lavoro. Infine c'è un grosso problema di approvvigionamento delle materie prime di qualità». Per esempio ha chiuso quasi subito la Selecta spa, azienda leader del settore, in attesa di tempi migliori. «Il crollo del ponte ci aveva già dato una bella botta, portando, nei primi mesi dopo la tragedia, a un calo medio del 30 per cento degli incassi. Adesso ci è arrivata addosso una cosa mai vista. Se riuscissimo a riaprire prima dell'estate potrebbe salvarsi l'80 per cento dei ristoranti, ma se dovessimo aspettare l'autunno, allora sarebbe un'ecatombe».