2024-04-12
La Lagarde tiene l’Ue nell’incertezza dei tassi
Nessun taglio nella riunione della Bce, ma la decisione non è stata presa all’unanimità: probabile una riduzione del costo del denaro a giugno legata però a dati che non sono citati. Berlino frena. Il presidente finge di ignorare i rischi di un disallineamento con la Fed.Come previsto, ieri il Consiglio direttivo della Bce ha lasciato i tassi d’interesse invariati mandando segnali di un taglio a giugno (probabilmente di 25 punti base). Il tasso sui rifinanziamenti principali resta quindi fermo al 4,5%, quello sui depositi al 4%, e quello sui prestiti marginali al 4,75%. Si tratta della quinta pausa dopo i dieci rialzi consecutivi cominciati a luglio 2022. In conferenza stampa, la presidente Christine Lagarde ha detto – senza fare nomi - che «alcuni membri del consiglio ritenevano che vi fossero già sufficienti dati a disposizione già in aprile per agire sui tassi ma poi hanno convenuto con la maggioranza ad attendere i dati che saranno disponibili a giugno» quando saranno disponibili maggiori informazioni sull’andamento dei salari e inflazione. Prevale, dunque, la cautela. Per la prima volta dall’inizio del ciclo di politica restrittiva nel suo comunicato post riunione del consiglio i vertici di Francoforte hanno introdotto un riferimento esplicito a una riduzione nel suo comunicato ma non si sa ancora quale sarà il ritmo dei tagli successivi. Lagarde ha ribadito che la Bce seguirà un «approccio dipendente dai dati, da riunione a riunione» e poi, incalzata dalle domande dei giornalisti sulle mosse della banca centrale Usa, ha sottolineato: «Noi dipendiamo dai dati macroeconomici, non dalla Federal Reserve». Partiamo dal mantra dell’approccio «data driven». Guidato dai dati. Ma quali? Il primo è chiaramente quello dell’inflazione che - scrive la Bce -ha continuato a ridursi, soprattutto per effetto dell’andamento più contenuto degli alimentari e dei beni. Tuttavia, le pressioni interne sui prezzi sono forti e mantengono elevata l’inflazione dei servizi. Certo, la Bce non attenderà che tutto sia tornato al 2% prima di intervenire sui tassi, ma le riduzioni dei tassi sono legate anche al rallentamento degli stipendi nell’Eurozona. Fra i criteri principali cui la Bce guarderà attentamente nel decidere sui tassi figurano gli utili: «vogliamo essere sicuri che gli utili aziendali assorbano gli aumenti salariali che inevitabilmente ci saranno», ha dichiarato la presidente. Gli altri criteri riguardano l’andamento dei salari e la produttività. La frammentazione tra i diversi Paesi è sempre più evidente e la si vede anche dalla decisione di ieri presa a maggioranza e non all’unanimità. Ci sarà sempre uno Stato che rimarrà più scontento di un altro. Ieri Milano Finanza faceva notare che la frenata è più difficile a causa dei dati in Germania. I salari tedeschi stanno crescendo più della media soprattutto per i rialzi nel settore pubblico. Così anche i dati sugli stipendi negoziati nell’Eurozona potrebbero aumentare e le politiche salariali di Berlino rischiano di provocare decisioni più restrittive. I falchi, in primis quelli tedeschi, potrebbero infatti rilanciare i timori sull’aumento dei salari in vista delle mosse successive di Francoforte, anche in seguito al rinvio sempre più probabile del taglio da parte della Fed. La recente e forte crescita dei posti di lavoro e l’inflazione costante Usa rendono improbabile un taglio prima di settembre. Questo aumenta la possibilità che Francoforte riduca i tassi prima della banca centrale americana. L’ultima volta che Bce e Fed si sono mosse in direzioni diverse è stato nel marzo 2016, quando l’Europa ha visto ridurre i tassi mentre negli Usa iniziavano a salire.Sollecitata a più riprese su questo tema, ieri Lagarde ha ribadito che l’economia dell'Eurozona è diversa da quella degli Stati Uniti, così come le dinamiche dietro all’andamento dell’inflazione. L’equilibrio è comunque sempre più precario anche perché i probabili effetti di tali tagli sono l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro e l’aumento dei prezzi del petrolio (valutato in dollari) che impatterebbe sull’inflazione. E le divergenze rispetto alla politica monetaria americana aumentano. Già l’anno scorso il capo della Fed, Jerome Powell, non ha seguito Lagarde sull’ossessione green e ha assicurato che «non siamo né saremo un policymaker del clima». E poi c’è il tema delle relazioni con la Cina. In vista delle elezioni presidenziali, alla Casa Bianca cercano un punto di incontro economico con Pechino per evitare ripercussioni inflazionistiche e il rischio che un surplus cinese travolga gli Usa. Il problema è che questa mossa stringe all’angolo l’Europa: più Stati Uniti e Cina si mettono d’accordo e più rischia di farne le spese il Vecchio Continente.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)