2025-09-02
L’Africa, il Cavaliere, gli sfottò: addio Emilio
Fede è morto ieri a 94 anni dopo aver attraversato decenni di giornalismo invecchiando in diretta tv. Fu tra i primi reporter a raccontare, come inviato della Rai, le guerre di decolonizzazione. Poi le luci del «Tg4». Aveva un «demone» per il gioco.«Berlusconi era meglio della Meloni. Ciao presidente, ti voglio bene». L’ultima apparizione pubblica era avvenuta un anno fa sul più scapigliato dei social, Tik Tok. Emilio Fede sorrideva occhieggiando sornione dal video; lui non ha mai avuto paura di stupire. Se n’è andato ieri a 94 anni, sazio di giorni, nel tardo pomeriggio come se volesse attendere l’orario del suo Tg4. Al suo capezzale nella Residenza San Felice di Segrate (Milano) - dov’era ricoverato e dove fino all’ultimo lo hanno chiamato «il Direttore» -, tutti i famigliari lo hanno circondato d’affetto fino all’istante supremo, dalle figlie Sveva e Simona ai nipoti Ottavia e Guelfo, ai quali il nonno era affezionatissimo. L’ultimo viaggio era stato anticipato da Sveva con parole tenere per tutti, anche per la categoria che appena poteva lo sbertucciava: «Purtroppo negli ultimi giorni si è aggravato ma era un guerriero e ha lottato come un leone. Però sapeva che voi giornalisti eravate con lui ed era contento».Ora i flash dei ricordi si moltiplicano e si affastellano passando serenamente dalla cronaca alla storia. Anche perché Emilio Fede ha attraversato 70 anni di epopea del giornalismo televisivo; si può dire che il suo volto sia invecchiato in diretta senza trucchi digitali, passando dal bianco e nero al colore, fino al pixel. Orgogliosamente siciliano (è nato a Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, nel 1931), si spostò a Roma con la famiglia alla fine della Seconda guerra Mondiale ed entrò alla Rai come collaboratore, poi come conduttore del programma Il circolo dei castori con Enza Sampò e Febo Conti. Preistoria. Passato all’informazione, nei primi anni da professionista ha avvertito la necessità di seguire (almeno dal punto di vista geografico) le orme del padre, maresciallo dei carabinieri che aveva operato in Etiopia durante le guerre coloniali. Ed ecco Emilio in Africa, ma come inviato speciale della Rai negli anni Sessanta. Fu uno dei primi reporter con sahariana, microfono e tascapane a raccontare le guerre della decolonizzazione, quei conflitti in Algeria, Congo, Biafra, con popoli poveri che comparivano improvvisamente fra stenti e fucili mitragliatori davanti agli italiani del miracolo economico. Fuoriclasse per il taglio moderno dei servizi, lo era anche per le mani bucate: per via delle note spese veniva definito «Sciupone l’Africano». Carriera folgorante, successi da numero uno, con il passaggio alla direzione del Tg1 (fu lui a gestire le 18 ore consecutive in diretta per la tragedia di Vermicino) e la collaborazione con Sergio Zavoli in TV 7, il primo storico rotocalco della tv italiana. Le esperienze si conclusero in sordina per via di una malattia e di quell’«ipnotico demone dominante», come lui chiamava il gioco d’azzardo che lo ha portato a conoscere da vicino i tavoli della roulette e del black jack di tutti i casinò d’Europa. «Mi mangiai cifre importanti», ha sempre riconosciuto. Leggendaria la storia della vincita di un miliardo al Casinò di Montecarlo, mai smentita per civetteria ma alla base di un’inchiesta fiscale. Via dalla Rai, la sua seconda vita (dalla fine degli anni Ottanta) è legata a doppio filo all’amicizia con Silvio Berlusconi, alla direzione di Videonews, Studio Aperto e del Tg di Retequattro, il più fedista di tutti. Quello delle bandierine blu (tante) e rosse (poche) per definire la conquista delle regioni e delle città italiane da parte di Forza Italia contro la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto. Gli pseudo-progressisti impazzivano quando lui semplicemente li definiva comunisti. È stato il primo anchor man ad annunciare l’inizio della Guerra del Golfo degli alleati occidentali contro l’Iraq di Saddam Hussein. Inconfondibile per 20 anni ininterrotti di conduzione, affabile ma con accessi d’ira omerici contro redattori e dipendenti, commentando la morte di Berlusconi aggiunse: «Spero nel miracolo». Resta famoso anche per alcune gag immortalate da Striscia, soprattutto quel «Che figura di m…» che ha attraversato le epoche per arrivare fino ai social.Costretto a lasciare Mediaset (2012) dopo il coinvolgimento nell’inchiesta Ruby, ha sempre rivendicato il suo incedere a testa alta («Sono caduto ma non ho mai smesso di essere Emilio Fede»), fortificato da una presenza speciale al suo fianco: quella della moglie Diana De Feo, giornalista e senatrice di Fi, cardine di un matrimonio durato 60 anni e deceduta nel 2021. Per un gesto gentile nei suoi confronti, nel giugno 2020 l’Emilio nazionale è stato vittima di uno degli episodi più imbarazzanti della giustizia italiana: fu arrestato a Napoli mentre era a cena con lei (lui 91 anni, lei 85, immaginatevi la scena), la sera del compleanno di Diana, per un vizio di forma nel rispetto degli arresti domiciliari. Da qualche tempo aveva diradato le interviste amarcord, ma in tutte ripeteva con dolcezza la solita frase: «Ho ancora un sogno da realizzare, raggiungere presto Diana». Ieri, quasi all’ora del tg, lo ha realizzato.
Era il più veloce di tutti gli altri aeroplani ma anche il più brutto. Il suo segreto? Che era esso stesso un segreto. E lo rimase fino agli anni Settanta