2023-07-21
L’afa è un ricordo. Dopo il Veneto sotto la grandine oggi altre allerte
Tetti e alberi divelti, Luca Zaia estende lo stato d’emergenza. Allarme in Lombardia.L’agenzia che snobbò le cure domiciliari adesso esalta una ricerca sul molnupiravirLo speciale contiene due articoliHanno tanto parlato di siccità e invece è arrivata la tempesta. Sono all’incirca le otto di sera, il Veneto è nella morsa del caldo afoso, quello torbido, quello che fa mancare l’aria. La temperatura segna i 36°, quella percepita per l’umidità è di 38°. Qui lo sanno cosa vuol dire convivere con l’umidità che ti si incolla addosso, quando prendi i giornali la mattina e si bagnano. Lo sanno cosa vuol dire convivere con l’afa. È sempre stato così. L’afa quando è troppa, porta tempesta e grandine. È il buio e la luce. Mercoledì sera l’afa ha iniziato a diminuire. Lo senti quando diminuisce, si forma una brezza leggera che sembra dolce ma per chi vive qui, preannuncia l’Apocalisse. Bastano pochi minuti e il vento prende forza, 7 nodi che diventano 8, 9, 10. Durante la tempesta Vaia nel 2018, sempre qui, i venti soffiarono fino a 200 chilometri orari. L’altra sera di Vaia ce n’è stata quasi un’altra. La gente ha iniziato a chiudere tutto, le auto che erano per strada hanno cercato riparo, tutto dentro casa con le finestre aperte ha preso a volare, a sbatacchiare, a rovesciarsi. Le zaffate di vento erano così forti che parevano onde ciclopiche. E tutto intorno erano fulmini, lampi, tuoni. Qui l’8 luglio 2015, lungo la riviera del Brenta, nel veneziano, a dieci minuti da chi scrive ora, ci fu un tornado, un F4, con venti a 300 chilometri orari. La gente lo sa bene cosa vuol dire trovarsi la casa scoperchiata da un minuto all’altro. Fu l’apocalisse che spaccò in due il cielo. Dove il tornado passò non lasciò nient’altro che distruzione e disperazione.E mercoledì sera scorso, in alcune zone del Veneto, le tegole sono venute giù come carte da gioco mosse da un soffio, il vento aveva una tale furia che ha sradicato alberi, piegato pali della luce, alcuni parevano staccarsi da terra, stroncarsi, pareva l’inferno. I chicchi di grandine hanno iniziato a cadere come palle dal cielo. Erano grandi quanto quelle da tennis. Colpite in particolare le province di Treviso, Padova, Belluno e Vicenza.Gli alberi sono caduti in strada come tanti stuzzicadenti, le strade si sono riempite in un baleno di acqua e melma. Le lamiere delle case sono finite in mezzo alla strada. E nella zona di Cortina d’Ampezzo si sono registrate raffiche di vento superiori a 140 km/h. Nel padovano le palle di ghiaccio si sono scagliate sulle serre, sugli orti, sulle colture. Per la grandine ci sono stati 110 feriti. E il presidente della regione Veneto Luca Zaia ha esteso lo stato d’emergenza, che già aveva decretato martedì scorso per la tempesta in Cadore.«Sale a 110 il numero delle persone ferite con traumi determinati dalla grandine» , ha detto Zaia, «da cadute e da rotture di vetri. La grandine caduta è assolutamente fuori dal comune, con chicchi di ghiaccio che hanno raggiunto in alcuni casi diametri superiori ai 10 centimetri». Tempestiva la macchina dei soccorsi, oltre 350 le chiamate ai vigili del fuoco nella notte. Ma il maltempo è iniziato già martedì pomeriggio, dove una tromba d’aria è passata sopra i boschi del Cadore, del Comelico e dell’Ampezzano nel bellunese.E la tempesta si è abbattuta anche in Trentino Alto Adige. Un forte vento ha sfiorato i 100 chilometri orari e ha sradicato diversi alberi, spezzando i rami, scoperchiando edifici. A Tonadico di Primiero (Trento) è stato scoperchiato il tetto della centrale elettrica.Per oggi è prevista l’allerta arancione su Lombardia. Quella gialla invece su Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, province di Trento e Bolzano. Anche a Trento i chicchi di grandine parevano palle da tennis, noci, albicocche.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lafa-e-un-ricordo-dopo-il-veneto-sotto-la-grandine-oggi-altre-allerte-2662316303.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-studio-inutile-condotto-dallaifa-sullantivirale-che-piaceva-a-bassetti" data-post-id="2662316303" data-published-at="1689886777" data-use-pagination="False"> Lo studio (inutile) condotto dall’Aifa sull’antivirale che piaceva a Bassetti Nell’apprendere del nuovo studio sugli antivirali condotto dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e appena pubblicato su Lancet Regional Health, ci tengono compagnia più i dubbi che le certezze sull’utilità delle ricerche «selettive» effettuate dalla nostra agenzia regolatoria. Lo studio analizza i dati del monitoraggio condotto da Aifa sui medicinali antivirali orali per il trattamento del Covid. Presentata con enfasi dal presidente Giorgio Palù, l’analisi ha confrontato la mortalità nei pazienti Covid trattati con molnupiravir (prodotto dall’azienda farmaceutica tedesca Msd-Merck, costo 610 dollari a dose) o con nirmatrelvir più ritonavir. Osserviamo bene le date: lo studio è stato realizzato tra l’8 febbraio e il 30 aprile 2022, in piena variante Omicron (la prevalenza era già al 95,8% il 17 gennaio), quando cioè il Covid si era già trasformato in un raffreddore. Il molnupiravir, fortemente sponsorizzato dall’infettivologo Matteo Bassetti (a sua volta sovvenzionato dall’azienda produttrice Msd con 17.562 euro per consulenze effettuate nel 2021), era appena sbarcato in Italia. Negli stessi giorni in Italia scattava l’obbligo vaccinale per gli over 50 e il cosiddetto «super green pass». È in quelle settimane che Aifa avvia la valutazione dei nuovi antivirali immessi sul mercato, un’analisi imponente e accurata: «Questo importante studio», ha spiegato ieri Palù, «evidenzia come Aifa svolga non solo funzioni regolatorie, ma sia in grado di dare un sostanziale contributo alla comunità scientifica. Si tratta di un lavoro molto significativo non solo perché è stato pubblicato su una rivista altamente qualificata e prestigiosa, ma soprattutto perché unisce il lavoro dell’Agenzia e del mondo accademico ed assistenziale del Ssn. Si è ̀potuto quindi valutare come nirmatrelvir associato a ritonavir e molnupiravir abbiano un effetto differenziato». Dai risultati dello studio l’effetto, per inciso, non è così significativo, come del resto avevano già dimostrato altri studi sul molnupiravir, non ultimo quello della stessa Merck, che qualche mese fa ha comunicato che «l’obiettivo principale dello studio non è stato raggiunto», senza dimenticare quello pubblicato su Lancet a gennaio 2023 che ha dimostrato che il molnupiravir riduceva soltanto del 30% le ospedalizzazioni e i decessi tra gli adulti vaccinati ad alto rischio. Ma ciò che balza agli occhi è lo zelo con cui l’agenzia regolatoria italiana si è buttata a capofitto - e fuori tempo limite, due anni dopo lo scoppio della pandemia - nell’analisi di un nuovo prodotto farmaceutico per curare i sintomi di una malattia ormai poco aggressiva, sottraendosi invece a qualsiasi approfondimento su quei protocolli di cure domiciliari (con farmaci già disponibili sul mercato) che erano stati diffusi già dal 2020. Subito dopo l’estate del primo anno pandemico, infatti, furono proprio Matteo Bassetti, il nefrologo Giuseppe Remuzzi e il virologo della Emory University Guido Silvestri a prendere in esame alcuni protocolli che, «se applicati nei primissimi giorni di malattia» (come gli antivirali) avrebbero potuto evitare l’ospedalizzazione a molti malati. Quei protocolli circolarono informalmente tra ottobre e novembre 2020, per qualche settimana: Bassetti ne rivendicò la paternità, per poi rimetterli frettolosamente nel cassetto dopo la nomina istituzionale in Agenas. Remuzzi addirittura ne parlò con Bruno Vespa a Porta a Porta il 24 novembre 2020: «Usando il nostro protocollo con antinfiammatori si potrebbe evitare anche il ricovero. Il vero problema è quando arrivano in rianimazione pazienti che sono stati a casa 15 giorni ad aspettare tampone e medico (la famosa “vigile attesa”) facendo la Tachipirina: lì si rischia». Un mese dopo sarebbero arrivati i vaccini e misteriosamente nessuno, a cominciare da Aifa, studierà più quei protocolli. Molto più facile profondere, con due anni di ritardo, energie e competenze per analizzare la cura di una malattia ormai inoffensiva con un farmaco che «funzionicchia».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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