2023-06-15
Famiglia e politici, sportivi e volti tv. L’addio è un sorriso
La figlia Marina Berlusconi e la compagna Marta Fascina mano nella mano. La folla che manda baci. Cerimonia sobria, poi la cremazione.«C’è solo un presidente». E non è Sergio Mattarella assorto in prima fila. Poco prima che la cerimonia cominci, l’eco del coro sul sagrato si fa tuono e si infila dagli stipiti dei portali nel Duomo di Milano a scompigliare i pensieri dei 2.000 fedeli in abito scuro. L’invocazione da stadio ha come destinatario il Silvio Berlusconi della foto davanti al feretro, sorridente a braccia conserte, con l’espressione malandrina di chi sta consolando i vivi. È in questa atmosfera tra sacro e profano, cifra abituale per l’«uomo con il sole in tasca» (come gli piaceva definirsi ai tempi di Edilnord), che alle 15.25 comincia l’ultimo viaggio del quattro volte premier, dell’inventore del centrodestra, del fondatore di Forza Italia, del re della tv commerciale, del presidente del Milan più vincente della storia, dell’indagato speciale. In sintesi dell’unica figura politica di oggi già nei libri di Storia. Tutto dentro un solo doppiopetto Caraceni, tutto destinato all’eternità.La commistione con lo sport è un leit motiv indissolubile perché il feretro arriva scortato dalle staffette in moto con telecamera, come se lui fosse una maglia rosa in fuga al Giro d’Italia. E Milano gli fa da ala, applaude un altro gran lombardo dai marciapiedi, sventola fazzoletti umidi di lacrime. Non si fa il segno della croce ma gli manda «ciao» e baci, come accade con un amico che prima o poi si rivedrà. Anche chi assiepa (circa 15.000 persone, molte le bandiere del Milan) la piazza con il Vittorio Emanuele imbrattato lo accompagna con il giusto sentimento. È il suo popolo, è l’ordinary people al quale ha parlato per mezzo secolo mentre il resto dei potenti parlava alle élites del circolino. La bara entra scortata dai carabinieri in alta uniforme fin davanti all’altare maggiore. Quando i funerali di Stato cominciano con il Requiem, tutto quel mondo di gente comune è idealmente dentro la cattedrale, fa capolino da dietro le colonne, trattiene il respiro assistendo ai gesti della liturgia guidata dal sacerdote officiante, l’arcivescovo Mario Delpini.Davanti al feretro con il cofano di rose tricolori è schierata la famiglia nell’immagine più preziosa per il patriarca defunto. Tutti insieme i figli: Marina, Piersilvio, Barbara, Eleonora, Luigi. Marta Fascina piange, tenuta per mano dalla presidente di Mondadori. Poi il fratello Paolo, la ex moglie Veronica Lario, Francesca Pascale, la capogruppo di Forza Italia alla Camera Licia Ronzulli. E dietro, in seconda fila come per metafora obbligata di una vita, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, i due gran visir, ombrelli protettivi aperti dal primo giorno sul pianeta di famiglia. Sull’altro lato della navata, con il presidente Mattarella, ecco la premier Giorgia Meloni, i presidenti di Camera e Senato Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, il sindaco di Milano Beppe Sala con fascia tricolore, il governatore lombardo Attilio Fontana. Dietro seguono composti i volti conosciuti, il gotha della politica e dell’economia: Mario Draghi, Matteo Renzi, Antonio Tajani, Giancarlo Giorgetti, la rivale Elly Schlein accompagnata da Francesco Boccia, Paolo Gentiloni, Matteo Salvini, Pierferdinando Casini, Giulio Tremonti, Guido Crosetto, Mario Monti, Marco Tronchetti Provera, Urbano Cairo. Latita Giuseppe Conte. Ci sono ambasciatori degli Stati stranieri, c’è il premier ungherese Viktor Orbán, l’emiro del Qatar Al Thani, manca il rappresentante di Vladimir Putin (dicono dal Cremlino: «Non siamo stati invitati»). Ma nella società liquida i mondi si fondono e quello della politica si mischia con quelli dello spettacolo e dello sport. Anche questa è una testimonianza della duttilità di un uomo vincente. Spicca Maria De Filippi in bianco («Omaggio al suo colore preferito»), sono assorti Gerry Scotti ed Ezio Greggio, assistono Demetrio Albertini, Ariedo Braida, Zvonimir Boban, Beppe Marotta, Antonio Percassi. L’atmosfera è carica di emozione quando l’arcivescovo Delpini si accinge all’omelia. L’alto prelato è esperto, evita di tratteggiare lo statista, si concentra sull’uomo facendo lo slalom speciale fra le curve pericolose. Sembra che la sua massima preoccupazione sia quella di non essere «divisivo» nel ricordare il defunto. Oggi c’è un uomo che torna alla casa del Padre, per Delpini questo conta. Ma chi lo ascolta non può dimenticare che la parte politica più ostile, perfino sleale nei confronti di Berlusconi, è sempre stata rappresentata da quel cattolicesimo sociale che vedeva in lui il demonio. E che lui ricambiava con l’epiteto di «cattocomunisti». Davanti all’arcivescovo c’è una famiglia compatta in lutto, c’è una città, un’Italia, un mondo che saluta un amico. Delpini li accarezza soffermandosi sul desiderio di vita, di amore, di felicità di una persona «che non si è mai sottratta alle sfide, ai contrasti per continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare. A vivere». Con una sete di felicità che risuona negli insegnamenti di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Per concludere in modo solenne: «In questo momento di congedo e di preghiera che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. È un uomo che ora incontra Dio».Marina non riesce a trattenere le lacrime, il silenzio è totale; i funerali di Stato inutilmente criticati non potrebbero essere più sobri e solenni. Quando tutto si conclude, dalle navate del Duomo di Milano si diffondono le note del Silenzio d’Ordinanza suonato da un trombettiere dell’Aeronautica militare. Parte un lungo applauso, poi due corazzieri precedono il feretro sul sagrato. Qui i figli del Cavaliere ringraziano chi ha partecipato, ancora una volta tenendosi per mano. Poi la limousine si dirige verso Villa San Martino, dove le ceneri (dopo la cremazione) riposeranno nel mausoleo di famiglia accanto a papà Luigi e mamma Rosa. Una voce roca si fa largo su una carrozzina: «Era diverso da come veniva descritto. I suoi principi erano il bello, il buono e il giusto». È Umberto Bossi, vecchio amico delle tre campagne d’Italia. Lui lo conosceva bene e sembra che a distanza di anni riesca ancora a decrittarne i desideri. Un mese fa Berlusconi aveva detto alla figlia Marina che, sulla lapide, avrebbe voluto essere ricordato come «un uomo forte, giusto e generoso». Concetti che la piazza commossa non coglie. Troppo ufficiali. Preferisce scandire ancora una volta «C’è solo un presidente» mentre il patriarca si allontana, passando davanti al tribunale dell’inquisizione, verso l’eternità.
Marta Cartabia (Imagoeconomica)