2019-11-19
La vergogna di un omicidio negato dai «compagni» inaugurò gli anni di piombo
Il 19 novembre di 50 anni fa, a Milano, un agente di 22 anni fu ucciso da un tubo d'acciaio usato come lancia. Ma la sinistra sostiene ancora che fu un incidente.L'autunno del nostro scontento, che avrebbe portato al lungo inverno della Repubblica, non inizia con la data-simbolo (celebrata da Panorama Mese già in edicola) del 12 dicembre 1969, la strage di piazza Fontana, una ferita così devastante da segnare uno spartiacque, ma un mesetto prima. Il 19 novembre un agente originario di Monteforte Irpino, Antonio Annarumma, 22 anni, fu infatti ucciso in centro a Milano da «un colpo di lancia», lo definì così il professor Vittorio Staudacher, mago della chirurgia d'urgenza del Policlinico, che gli era penetrato fino a metà nel cranio.Annarumma, nato in un paese dell'avellinese in cui i giovani erano destinati a diventare braccianti, oppure emigranti al Nord - per entrare o in fabbrica con la tuta da operaio o in caserma con la divisa da poliziotto - non perì dunque in un incidente stradale, come sostenuto per anni da una certa propaganda di sinistra. L'autopsia confermò: «L'oggetto contundente l'ha colpito brutalmente alla regione parietale destra, poco sopra l'occhio, procurandogli una vasta ferita con fuoruscita di materia cerebrale». Oggetto con una sezione circolare di cinque centimetri, la stessa dei 400 tubi sequestrati negli scontri di via Larga, ricavati da un cantiere edile nei pressi. Eppure già un anno dopo, nel pamphlet La strage di Stato, si narrava di un filmato di una troupe tv francese, visionato in una proiezione privata da pochi altissimi dirigenti della Rai, in cui si sarebbe visto Annarumma che - per togliersi il berretto che gli era improvvisamente calato sugli occhi - avrebbe perso il controllo del mezzo andando a sbattere con un'altra jeep e urtando con violenza il montante d'acciaio del parabrezza con il capo. Prove dell'esistenza del video? Zero.È vero invece che per quel giorno i sindacati avevano proclamato uno sciopero generale convocando gli operai al teatro Lirico. I quali, dopo aver «ascoltato - e fischiato - i comizi dei segretari Cgil e Uil» (così Aldo Cazzullo ne I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, documentato viaggio nella storia di Lotta continua), sciamarono all'esterno incrociando un corteo di extraparlamentari già in rotta di collisione con le forze dell'ordine. La battaglia si chiuderà dopo ore con il seguente bilancio: oltre al morto, settanta feriti, di cui 62 tra le forze dell'ordine: «Vittime di sessantadue errate manovre di guida?», si chiederà provocatoriamente il giornalista Michele Brambilla nel suo libro Eskimo in redazione - Quando le Brigate Rosse erano «sedicenti». Questo spiega perché la sera, mentre gli estremisti occuperanno l'Università, i colleghi di Annarumma, spaventati e rabbiosi, tireranno i vassoi della mensa ai dirigenti, spintonandoli: vorrebbero passare alle vie di fatto. Succederà venerdì 21, giorno dei funerali dell'agente, tra «rossi» e «neri». In una foto del Corriere della Sera, si vede il leader del Movimento Studentesco Mario Capanna, presentatosi alle esequie, sottratto al linciaggio da un funzionario in impermeabile beige: il commissario Luigi Calabresi, ucciso da un commando di Lc nel maggio 1972. Nel 1971, al processo senza imputati per l'omicidio - solo 5 degli 11 alla sbarra saranno condannati, e solo per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale - l'allora deputato socialista Eugenio Scalfari, futuro fondatore-direttore di Repubblica, come teste invocherà la seguente attenuante: «Bisogna considerare la reazione psicologica della folla che, uscendo dal teatro, non poteva sapere che la polizia si trovava lì per scortare un corteo» di estrema sinistra. Così, tra deflusso dal teatro e marcia dei «gruppettari», due jeep si ritrovarono imbottigliate e manovrarono per disimpegnarsi, colpendo - forse - un paio di persone. a folla (peraltro, aggiunge Scalfari, «avvisata da alcuni funzionari di polizia che la colonna di automezzi stava andandosene") ondeggiò e a quel punto, «senza squilli di tromba, ci siamo visti piovere addosso una carica». Anche fossero questi i fatti ex ante, sarebbero tali da confutare ex post l'evidenza accertata dell'omicidio di Annarumma? Ovviamente no.Ma invece sì, per la controinformazione scatenata però fin da subito non a rivendicarlo ma a negarlo. E questo nonostante il quotidiano Lotta continua fin dal primo numero, 18 giorni prima, sentenziasse: «Si è ormai innescato un processo rivoluzionario», quindi è inevitabile, per l'avvento del comunismo, «uno scontro diretto e generale tra borghesia e proletariato». Invece sì, nonostante la foto pubblicata dal Corriere nel 1971, in cui la testa di Annarumma sporge dal finestrino, sulla fronte una larga chiazza di sangue, prima dell'urto con un altro mezzo, e non dopo. Invece sì, nonostante le testimonianze dei poliziotti che videro il tubo colpire il collega, e quelle dei cittadini spettatori del lancio di spranghe e cubetti di porfido.Intendiamoci: anche i «neri» hanno ammazzato servitori dello Stato (per rimanere alla Polizia, ricordiamo Antonio Marino, colpito al petto da una bomba a mano scagliata da estremisti neofascisti ai margini di una manifestazione del Msi, nel '73 a Milano: in quel caso, i responsabili furono invece individuati, processati e condannati). Ma la pervicacia con cui si è sempre cercato attenuanti per i «compagni che sbagliano» è testimoniato da un ultimo particolare. Ancora nel 1975, infatti, il Corriere d'informazione rilancerà la tesi «complottista»: «Resta il mistero sulla fine di Annarumma» (si noti: «fine», non assassinio). E come no. Del resto, come dimenticare che ancora oggi c'è chi è convinto che l'editore Giangiacomo Feltrinelli nel '72 mica sia saltato in aria mentre maneggiava dinamite sotto un traliccio, macché: è stato fatto fuori dalla Cia, o dal Mossad... Non solo: il giornale avalla - bontà sua - l'ipotesi che l'agente sia stato colpito ma solo «secondo la ricostruzione della magistratura», che aveva così offerto alla destra il pretesto «per creare un clima di tensione e intimidazione in tutta la città». Lapalissiano, no?I familiari di Antonio - come la sorella Carmelina Annarumma - negli anni di quell'omicidio non si sono fatti una ragione. Mentre la quasi totalità dei protagonisti degli anni di piombo, i rossi come i neri, gode della libertà, sono i parenti delle vittime ad avere scritto nel loro certificato esistenziale «fine pena mai», un ergastolo che non indigna nessuno. Valgano allora qui come epitaffio per Annarumma - cui è intestata la caserma del III reparto mobile di Milano, ma che ha avuto la medaglia d'oro alla memoria solo nel 2009 - le parole di Pier Paolo Pasolini dopo gli scontri di Valle Giulia nel 1968 a Roma, nella poesia Il Pci ai giovani (figli di papà): «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!». Con buona pace dell'esegesi di Giovanni De Luna, che sulla Stampa commentò: «Ma Pasolini non stava con i poliziotti», confondendo l'avversione all'istituzione, quando essa veniva usata in funzione repressiva, e la solidarietà umana del poeta a quei ragazzi. Perché «figli di poveri».