2020-08-23
La vendemmia rischia il fallimento. Manca chi raccoglie e l’uva marcisce
Una mano alle cantine l'ha data Donald Trump che non ha messo dazi. Annata ottima, ma la sanatoria Bellanova non ha portato un operaio agricolo in più in campagna. Dalla chiusura di bar e ristoranti -40% di fatturato.I vignaioli italiani dovrebbero ringraziare Donald Trump, è il solo che ha dato una mano alle nostre cantine che cominciano la vendemmia 2020 con un gravoso carico d'incertezze. Gli Usa hanno rinnovato i dazi contro i prodotti europei: hanno picchiato duro sui vini francesi, che hanno perso circa 800 milioni di fatturato americano, salvando i nostri. Per noi quello è il primo mercato estero: vendiamo bottiglie per quasi 1,5 miliardi su circa 6 miliari di export. Tutto il resto del mercato internazionale è crollato: la Germania vuole comprare sottocosto, in Gran Bretagna dove vanno pazzi per le nostre bollicine facciamo un meno 15% e in Cina vendite crollate del 40%, neppure 460 milioni. Fortuna che quando governava Matteo Renzi e ministro dell'agricoltura era Maurizio Martina (Pd) la Cina doveva essere il nostro bengodi. La vendemmia 2020 sarebbe anche quasi un'ottima annata, se il meteo non si mette a fare i capricci nelle prossime tre-quattro settimane. In Franciacorta, dove già si sta raccogliendo lo Chardonnay, ci sono cali produttivi (attorno al 10%) ma le uve sono di buona qualità, in Sicilia - dove la vendemmia dei bianchi è già avanzata - la qualità è alta. Le stime dicono che faremo al massimo 45 milioni di ettolitri di vino con un calo del 5%. Fa sorridere che molti si strappino le vesti perché perderemo il primato mondiale di produzione. E meno male, visto che le cantine italiane hanno 42 milioni di ettolitri di giacenze (più 5% ed è quasi tutto vino di alta qualità invenduto causa Covid).Il virus cinese pesa come un macigno. Pare che la Francia farà sui 46 milioni di ettolitri e la Spagna si dovrebbe avvicinare ai 43 milioni, ma sono dati che dicono quasi nulla. Tranne che guardando all'emisfero australe dove si è raccolto meno, ma di ottima qualità e ora dall'Australia al Cile dal Sudafrica alla Nuova Zelanda (hanno fatto tutti insieme 56 milioni di ettolitri, meno 15%) stanno scatenando un dumping energico sul mercato mondiale.I problemi più gravi sono quattro: la caduta di redditività delle cantine con un mercato inchiodato e i ristoranti che non vendono e non pagano; le inefficaci misure del governo; i prezzi delle uve (ma anche del vino) in caduta e la mancanza di operai agricoli. Chi continua a raccontare la favola bella del vino italiano non dice la verità. Oddio poi ci sono le comiche come quella del presidente degli enologi, Riccardo Cotarella, che fa il vino a chi ha un nome ma soprattutto quattrini da spendere - da Sting a Bruno Vespa passando per Massimo D'Alema - che se ne è uscito, lui che è un grande tecnico e si ritiene un ottimo comunicatore, con questa battuta: «Un consumo moderato di vino, legato al bere responsabile può contribuire a una migliore igienizzazione del cavo orale e della faringe: area, quest'ultima, dove si annidano i virus nel corso delle infezioni». Tradotto: bevi vino che il Covid si spaventa. Lo hanno spernacchiato perfino dall'Oms e di certo non è stato un buon servizio. Ma neppure lo sono le misure prese dal ministro agricolo Teresa Bellanova. La lacrimosa sanatoria dei migranti non ha portato un operaio in più in campagna e la vendemmia rischia di saltare perché non sono arrivati gli stagionali confinati dal Covid in Romania e Bulgaria. In Toscana mancano 5.000 operai, in Veneto 4.000, tra Cuneo e Alessandria almeno 2.000 e la Coldidretti ha stimato che c'è bisogno subito di 25.000 operai agricoli per la raccolta in vigna. Chiedono i voucher per studenti, pensionati, disoccupati, ma il governo non ci sente. La Cia ha aggiunto: «Prima un operaio agricolo lo assumevamo in un'ora, con lo smartworking dell'Agenzia delle entrate per una pratica ora ci vogliono 15 giorni». L'uva rischia di marcire in pianta e così avverrà per pere e mele. Se questo è un tasto dolente i problemi economici sono acutissimi. Le aziende che producono i vini di maggiore qualità (la produzione italiana è per circa il 70% costituita da Doc, Docg e Igt) hanno avuto dalla chiusura di ristoranti, enoteche, bar un colpo durissimo: perso circa il 40% del fatturato compensato in parte dall'aumento delle vendite on line (più 150%) e dall'incremento nella grande distribuzione che però ha interessato solo i vini di minor prezzo. Le misure del governo non sono servite a molto. La distillazione di soccorso (per produrre anche i disinfettanti che serviranno alle scuole ammesso che riaprano) aveva un prezzo non remunerativo: meno di 28 centesimi al litro di vino ed è di fatto fallita. I sostegni per chi ha fatto diradamenti e potatura a verde (sfoltire le uve destinate a vini a denominazione) hanno una dotazione finanziaria esigua (100 milioni) e un iter burocratico così complesso che le cantine si sono trovate a iniziare la vendemmia a corto di liquidità. In questo quadro si stima una caduta del prezzo delle uve che va dal 15 al 35%. Alcune denominazioni come il Prosecco Doc hanno addirittura deciso di congelare la vendemmia 2020. Potrà essere spumantizzata solo dal primo gennaio prossimo: prima bisogna finire le scorte. Così si va a vendemmiare - dicono le previsioni - un'annata buona, ottima per alcuni territori (Langa e Monferrato, Toscana , Umbria e Marche, Sicilia), contrastata in Veneto, discreta in Lombardia, scarsa eppure di alta qualità in Friuli, ma che forse non basta a consolidare il primo comparto per fatturato (15 miliardi) occupati (1,2 milioni) ed export (6 miliardi) della nostra agricoltura. All'insaputa del ministro Teresa Bellanova che abbraccia i non braccianti e piange come una vite tagliata.