Preoccupante discorso di Ursula Von der Leyen all’Europarlamento. Lo schema è sempre lo stesso: si crea l’allarme e quindi le soluzioni sono emergenziali. Il precedente con Pfizer non è certo incoraggiante. E poi: può senz’altro esser necessario irrobustire la Difesa. Ma chi decide la filiera? Chi le zone di influenza? Insomma: chi comanda?
Preoccupante discorso di Ursula Von der Leyen all’Europarlamento. Lo schema è sempre lo stesso: si crea l’allarme e quindi le soluzioni sono emergenziali. Il precedente con Pfizer non è certo incoraggiante. E poi: può senz’altro esser necessario irrobustire la Difesa. Ma chi decide la filiera? Chi le zone di influenza? Insomma: chi comanda?Comprare le armi come i vaccini. E sfruttando lo stesso arsenale retorico: emergenza, allarme, minaccia esistenziale. Prima quella del virus, oggi quella di Vladimir Putin. Speriamo almeno che Ursula von der Leyen non negozi via sms anche l’acquisto di artiglieria, tank e munizioni, come fece con i farmaci di Pfizer.Ieri, la presidente della Commissione europea, parlando alla plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo, ha spiegato che la strategia Ue sulla Difesa dovrebbe basarsi su «un semplice principio: l’Europa deve spendere di più, spendere meglio, spendere in modo europeo. Nelle prossime settimane», ha aggiunto, «presenteremo alcune proposte con la prima strategia industriale europea per la Difesa. Uno degli obiettivi centrali sarà quello di dare priorità agli appalti congiunti nel settore della Difesa. Proprio come abbiamo fatto con i vaccini o con il gas naturale». Sì: quello che occorreva procurarsi per scongiurare il tonfo della Germania, la più esposta verso Mosca; quello che è finito per costarci tre volte il prezzo che pagavamo alla Russia; quello che, comunque, abbiamo consumato meno per effetto di razionamenti e incipiente deindustrializzazione. Quanto al paragone con l’era Covid, gli strascichi delle trattative con Big pharma per le dosi non sono un precedente incoraggiante. La vicenda dei messaggi scambiati dalla Von der Leyen con l’ad di Pfizer, Albert Bourla, e poi scomparsi, non solo è finita all’attenzione dell’organismo d’inchiesta dell’Europarlamento, nonché sul tavolo del difensore civico Ue; è stata addirittura oggetto di una denuncia del New York Times contro la Commissione. E non è stata mai chiarita. Peraltro, nonostante l’alone di segretezza che avvolge i contratti con i fornitori, è palese che essi prevedessero condizioni capestro, avendo vincolato Bruxelles e gli Stati membri a consegne sovrabbondanti di fiale, anche dei preparati divenuti inefficaci sulle varianti e sottovarianti di Omicron. E anche se i singoli Paesi avevano i frigoriferi pieni.L’opacità e l’approssimazione mostrate durante la pandemia non sono un bel biglietto da visita. È una questione di metodo: ciò che, secondo l’Ue, rappresenta un successo storico, ovvero l’acquisto congiunto dei vaccini, per molti aspetti è un capitolo controverso. E ai dubbi sull’opportunità di replicare quella procedura ambigua, si somma la preoccupazione per gli argomenti che dovrebbero giustificarla. «La minaccia di guerra», ha detto ieri la Von der Leyen, «potrebbe non essere imminente, ma non è impossibile. I rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma dovrebbero essere preparati. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri». In sé, è un discorso condivisibile: il riarmo non è uno scandalo, specie alla luce del disimpegno americano nel Vecchio continente, che un’eventuale vittoria elettorale di Donald Trump accelererebbe. Inoltre, quello della Difesa è un settore ad alto valore aggiunto, capace di muovere enormi capitali e di offrire impiego a migliaia di lavoratori. Il problema non è la capziosa dicotomia grillina: spendi per scuole e sanità anziché per i missili. Il problema è la fonte da cui proviene il richiamo.La presidente della Commissione Ue è la stessa dei moniti sull’«era delle pandemie». È la stessa che additava la triade dell’apocalisse: patogeni emergenti, antibiotico-resistenza e un potenziale conflitto chimico o nucleare. Adesso, è sufficiente includere nel menù le mire espansionistiche dello zar e la pietanza bellica è servita. È la filosofia della «permacrisi», come la chiama l’Oms: viviamo in uno stato d’emergenza perenne, che impone un approccio muscolare (se non autoritario), progressive cessioni di sovranità agli organismi sovranazionali (Europa e agenzie Onu, foraggiate dai trust privati) e un’agenda serrata. Le decisioni non sono l’esito di una deliberazione politica, bensì il risultato caotico e concitato di un clima da giorno del giudizio. Ad alimentarlo, ha contribuito la pubblicazione, sul Financial Times, di alcuni piani russi sull’impiego di armi nucleari tattiche. Documenti dai quali emergerebbe che la soglia per motivarne l’utilizzo «è inferiore a quella che la Russia ha ammesso pubblicamente». In realtà, i criteri per un’azione militare che preveda il ricorso a quegli ordigni appaiono stringenti: la distruzione del 20% dei sottomarini atomici, lo sbarco di un contingente ostile, la capitolazione delle truppe schierate a presidio dei confini e, in generale, una situazione per cui la sicurezza nazionale russa sia compromessa. I programmi rivelati risalgono a un periodo compreso tra il 2008 e il 2014 e riguardano l’ipotesi di un’invasione da parte cinese, non uno scontro con la Nato. Piuttosto, ci sarebbe da riflettere su questo dettaglio: fino a una decina d’anni fa, l’avversario strategico di Mosca era lo stesso dell’Occidente. È davvero strano che una nazione dotata di ordigni nucleari elabori scenari sul loro dispiegamento? Certo, impressiona quello che ha comunicato la Tass: la Russia avrebbe creato una bomba che riproduce gli effetti di quella caduta su Hiroshima, con lo scopo di addestrare i militari a operare mentre sono bersagliati da armi atomiche tattiche. Per il momento, gli esperti sembrano concordare sull’ipotesi del «can che abbaia non morde»: evocare il nucleare serve a Putin per ribadire le linee rosse che l’Alleanza atlantica non deve superare in Ucraina. Per la Von der Leyen con siringa ed elmetto rimarrebbe un interrogativo: quale catena di comando gestirà gli armamenti che Bruxelles intende acquisire? Spesso, infatti, l’Europa non è altro che il paravento per gli interessi del più forte. Francia? Germania? Entrambe?La guerra, scriveva Carl von Clausewitz, è la continuazione della politica con altri mezzi. Ecco perché la questione, qui, non è tanto chi preme il grilletto, ma chi decide quale sia il bersaglio e ordina di fare fuoco.
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