2018-11-15
La trasparenza? I dirigenti pubblici se ne fregano: multarli è impossibile
L'ultimo caso: la società di raccolta dei rifiuti di Padova ha aggirato gli obblighi. Ma di sanzioni neanche l'ombra: manca chi le incassi. È il risultato di tre leggi diverse di Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. Ora ne serve una quarta.Pensate se succedesse al semaforo: passi con il rosso, il vigile ti ferma, ti fa la multa ma poi te la straccia davanti agli occhi. Non devi pagare. E perché? Perché non si sa chi, quella multa, la debba incassare. Vi sembra assurdo? In effetti lo è. Ma è esattamente quello che accade nella nostra pubblica amministrazione, dopo gli interventi in combinata degli ultimi governi, con il tocco finale del genio di Marianna Madia: le società pubbliche, infatti, sono obbligate a rispettare le norme della trasparenza (dunque non dovrebbero passare con il rosso). Ma in realtà possono farlo tranquillamente perché, anche se meritano la multa, non la prenderanno mai. Il motivo? Semplice: non si sa chi la deve incassare. Il pasticcio nasce, come sempre in Italia, dalla complicazione normativa. Altresì detto: bordello giuridico. Cioè il diritto che diventa un rovescio. Tutto comincia con la legge sulla trasparenza, la celebre 190 del 2012 (governo Monti), poi modificata con il decreto legislativo 33 del 2013 (governo Letta) e infine dal decreto legislativo 90 del 2014 (governo Renzi), con il sigillo finale per l'appunto dell'indimenticata Peppa Pig Madia. Ora queste norme, intrecciate ovviamente con il resto del corpus legislativo, tenuto conto dell'articolo 7 comma 1 della legge 689 del 1981 e dell'articolo 11 del decreto 150 del 2009, con il dovuto riferimento all'articolo 117 comma 2 lettera r della Costituzione, tutta questa sapienza giuridica, insomma, produce un effetto assai più semplice della semplificazione che non c'è mai stata: chi sbaglia non paga. Ribadisco: NON paga. Per il banale motivo che non sa a chi dovrebbe pagare. A evidenziare questa assurdità che cova sotto le scrivanie della nostra burocrazia è un gruppo di cittadini di buona volontà di Este, in provincia di Padova. I quali, da mesi ormai, stanno battendosi contro una società di rifiuti che ha realizzato un impianto di biogas troppo vicino, a loro giudizio, alle case e un'oasi naturalistica. I cittadini lamentano anche «odori nauseabondi» e sversamenti nei terreni di idrocarburi e compost, che non li rendono del tutto tranquilli. Una delle tante battaglie attorno ai rifiuti, un business che come sapete è diventato di stretta attualità nel Nord Est, anche per le molte irregolarità che si nascondono dietro di esso. L'esigenza di trasparenza, dunque, in questo settore è particolarmente sentita. Fra l'altro la società che gestisce i rifiuti ad Este è la Sesa Spa, al 51 per cento di proprietà pubblica e dunque tenuta agli obblighi di trasparenza. Chi sono i suoi soci? Chi sono i suoi amministratori? Quali sono i loro compensi? Perché questa società vince appalti regolarmente anche al Sud? È vero che ci sono stati tra i suoi soci persone piuttosto chiacchierate? Bisognerebbe sapere. Bisognerebbe essere limpidi come l'acqua di montagna. E invece, per diversi anni, la società non adempie l'obbligo previsto dalla legge. Altro che acqua di montagna: sembra una palude.I cittadini, allora, si rivolgono all'Anac, l'Autorità anti corruzione. Le truppe del magistrato Raffaele Cantone intervengono e impongono alla Sesa di adeguarsi. E quella ovviamente lo fa. Ma poi l'Anac dovrebbe imporre anche una sanzione per il lungo periodo di opacità insistita e pericolosa. E qui, però, la macchina dello Stato si inceppa. «Perché non li avete multati?», chiedono i cittadini durante un colloquio con i funzionari dell'Autorità anti corruzione. E quelli, piuttosto imbarazzati, borbottano: «Abbiamo un problema...». Il problema è che non sanno chi deve incassare quelle somme. Non sanno se tocca a loro oppure allo Stato. Sotto il muro di gomma dell'ordinaria follia italiana spuntano così faldoni di lettere, contro lettere, richieste, appelli, approfondimenti giuridici che dimostrano che il problema è noto a tutti. Ma nessuno sa come risolverlo. Anche se all'Anac, per la verità, un'idea ce l'hanno. Non ridete, ora va la diciamo, citando testualmente i loro documenti: «Si ritiene opportuno un intervento del legislatore che chiarisca il tipo di disciplina applicabile ai vertici politici dei ministeri». Un'altra legge? Ancora? La quarta? Sullo stesso tema? Per dire chi deve incassare una multa? Possibile?
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson