
La commissione Bilancio della Camera resterebbe guidata dal Carroccio. Un «filtro» ostile sulle tappe della manovra.Dovesse sorgere, il governo Pd-M5s-Leu potrebbe sbattere contro un problema quasi insormontabile. Per capirlo, bisogna seguire un percorso che parte da un dato banale: per molti attuali inquilini del Parlamento, il voto a ottobre rappresenta un pericolo letale. In primis il discorso vale per le truppe del Movimento 5 stelle che, stando alle ultime rilevazioni, si ridurrebbero alla sola Camera di almeno il 60%, passando da 216 a meno di 90 deputati. Pur di non andare al voto, darebbero la fiducia a un governo qualunque. Discorso analogo per i renziani. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha infatti inizialmente aperto al voto con la ragionevole certezza di ottenere due piccioni con una fava: un risultato alle urne più rotondo e il non trascurabile beneficio di poter scegliere un buon numero di zingarettiani che andrebbero a sostituirsi ai renziani. Ce n'è abbastanza insomma per tentare la formazione di un governo di «disperati» con l'appoggio di grillini, piddini e altri peones assortiti.Quella che sembra una via obbligata presenta però anche un rischio altissimo: tale governo, se nascesse, potrebbe portare a un suicidio politico le cui conseguenze sarebbero soprattutto a carico di Zingaretti, dal momento che Renzi pare deciso a lasciare il Pd, per dare vita all'ennesima formazione centrista di cui nessuno - tranne lui - sembra avvertire l'esigenza.Dall'altra parte, in queste ore il leader leghista, Matteo Salvini, paga un prezzo politico in termini di libertà di manovra, visto che ha dovuto far filtrare da subito la necessità da parte del Carroccio di un'alleanza con Fratelli d'Italia e soprattutto con Forza Italia, i cui deputati e senatori potrebbero - senza determinate garanzie dai possibili alleati - rinfoltire ulteriormente l'esercito dei «disperati» pronto ad appoggiare un ipotetico governo grillopiddino. Un esecutivo che nascerebbe (come ha ipotizzato la Verità) con la bizzarra pretesa di assicurare la sostenibilità dei conti pubblici, promettendo però un deficit del 2,9% rispetto al Pil. Ovvero una cifra più alta rispetto al 2-2,4% a cui si chiuderà il 2019. Per quanto Renzi ieri si sia appellato alla sicurezza dei conti pubblici, neppure la sostenibilità del nostro debito è a rischio: oggi un Btp a 10 anni paga grosso modo l'1,7%. Cioè meno del dicembre 2016, quando eravamo tutti appassionati dalla battaglia referendaria sulla riforma costituzionale. Rimane l'ultima scusa apparentemente valida. Questo governo dei «disperati», a loro dire, consentirebbe l'approvazione di una legge di bilancio nei termini temporali dovuti scongiurando - in caso di mancata approvazione - il tanto temuto esercizio provvisorio. Come noto, in tal caso nel 2020 lo Stato sarebbe autorizzato a spendere ogni mese soltanto un dodicesimo di quanto speso in tutto il 2019. Un navigare a vista che impallerebbe il funzionamento della macchina amministrativa della Stato fino all'approvazione di una nuova legge di stabilità. Questo giornale ha già ricordato che, ad esempio, Mario Monti si è insediato nel novembre del 2011 riuscendo a far approvare in fretta i disastri che hanno portato il Paese in recessione. E che l'ultima legge di stabilità è stata varata negli ultimi dieci giorni di dicembre 2018. Insomma, un governo sorto da elezioni in autunno avrebbe tutto il tempo per approvare quanto necessario a scongiurare l'ormai proverbiale aumento dell'Iva o il tanto temuto esercizio provvisorio.Ma, ed eccoci al dunque, quello che molti dimenticano è la circostanza che sarebbe proprio un eventuale «inciucio» di Palazzo a poter aprire seriamente la strada all'esercizio provvisorio. Il motivo? Le presidenze delle Commissioni parlamentari di bilancio sono attualmente in mano alla Lega (nel caso della Camera) ed al Movimento 5 stelle (nel caso del Senato). Questi organi sono cruciali, dal momento che svolgono una funzione di rappresentanza fatta di missioni che spesso ne rallentano i lavori, visto che il presidente deve muoversi da un posto all'altro. Ma svolgono anche una funzione importante nell'indirizzo delle attività legislative, nella predisposizione del calendario, nella preventiva acquisizione dei dossier del governo e nell'emettere pareri cosiddetti «costituzionalizzati» di cui il Quirinale può e deve tener conto prima di promulgare una legge approvata dal Parlamento. Un incarico essenziale e delicato, perché da lì passano in anteprima i provvedimenti più importanti tra i quali il Documento di economia e finanza con la relativa Nota di aggiornamento, unitamente a tutti i decreti di spesa prodotti dalle altre commissioni.La Commissione cioè deve lavorare spalla a spalla con la maggioranza, ed eventuali interpretazioni più o meno rigide dei regolamenti da parte delle presidenze finirebbero per rallentare i lavori del governo. Qui viene il dettaglio cruciale, cui non si è prestato fin qui necessaria attenzione: le presidenze di Commissione non decadono con la fiducia a un nuovo governo, e potrebbero di fatto essere rinnovate soltanto a gennaio 2021 (durano un biennio e possono essere rinnovate). Un governo che nasca senza avere il pieno controllo delle presidenze di Commissione è come una macchina che parte per una Mille miglia col serbatoio mezzo vuoto. Immaginatevi una riunione della nuova maggioranza targata Pd-M5s sulla legge di bilancio: istituzionalmente dovrebbe partecipare il presidente leghista. Il tema sarebbe già stato attentamente vagliato dal Quirinale, che apparentemente avrebbe minimizzato, pur considerando l'ostacolo. Insomma, il governo dei «disperati» potrebbe avere i numeri ma rischia di non avere le gambe.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.