2018-07-17
La torta miliardaria di fondi europei che in 30 mesi l’Italia non sa come finire
Il Paese è all'ultimo posto Ue per gli impegni di spesa. Colpa di amministratori regionali inesperti e della confusione tra enti.Sicilia primatista per i soldi nel cassetto. L'incapacità di utilizzare le risorse dovuta anche alle scelte dell'ex presidente Rosario Crocetta.Lo speciale contiene due articoliRiusciremo a completare i programmi europei entro il 2020? Nessuno lo sa. O meglio tutti sono scettici, molto scettici. Ci riferiamo ai Fondi europei, di cui si parla spesso in questi giorni a livello di governo, di regioni, strutture specializzate ed enti locali. Non è la prima volta che ce ne occupiamo. Il 23 giugno La Verità ha pubblicato un articolo di Andrea Del Monaco, un esperto di fondi europei. Ma in questi giorni la contesa nel governo gialloblù si è fatta più aspra, anche perché la posta in gioco è alta. Molto alta. Come è noto, la cifra stanziata, per il periodo 2014-2020, è di 44 miliardi di euro, cui vanno aggiunti 20 miliardi di cofinanziamento nazionale (di questi circa il 30 per cento sono a carico delle Regioni). A questa cifra lo Stato italiano, per integrare gli investimenti dei Fondi (Sie), affianca oltre 50 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Ma, a questa torta che attrae moltissimo, non ha finora corrisposto un adeguato impegno del governo e delle Regioni. Basti pensare che l'Italia è all'ultimo posto nella graduatoria dei 28 Paesi, mentre al primo posto si trova la piccola Finlandia e al secondo la negletta Grecia, che ha dato a tutta Europa l'esempio di come si possa riprendere la strada dello sviluppo, sobbarcandosi sacrifici forse mai visti dal dopoguerra ad oggi. Ai primi posti, tra i virtuosi, troviamo il Portogallo (5°), la Polonia (9°), la Germania (15°), la Francia (16°), il Regno Unito (23°), la Spagna (25°) e l'Olanda, al penultimo posto, prima dell'Italia. La cifra in palio è gigantesca ed è molto attrattiva per le Regioni, chiamate, in gran parte, a gestire i Fondi europei. Ma purtroppo sono poche quelle che riescono a rispettare gli impegni di spesa. Infatti, dopo una esperienza ultraventennale (con le diverse programmazioni) le Regioni non sono ancora riuscite a creare una efficiente rete di quadri, esperti, consulenti specializzati. Ovviamente, come vedremo, vi sono enti regionali virtuosi e quelli che stanno agli ultimi posti della graduatoria (quasi tutti del sud).Vediamo a che punto siamo. Su 73 miliardi e 600 milioni di euro, come si è detto, siamo gli ultimi in Europa, con poco più dell'8 per cento di spesa certificata (l'anno scorso eravamo all'1 per cento). Entro la fine dell'anno, dice Mauro Cappello, ingegnere docente a Roma Tre, esperto di fondi europei, «dovremo certificare le spese di 3,6 % alla Commissione europea. Se non dovessimo farcela la parte mancante sarebbe disimpegnata. E, comunque, con due anni e mezzo di tempo prima della scadenza, mi pare molto difficile che si possa raggiungere l'obiettivo del 100%». Gli ottimisti ripetono sempre: «Tanto ce la faremo, anche per il rotto della cuffia». Ma nella programmazione precedente (2007-2013) l'Italia - osserva Cappello - ha perso 160 milioni di euro. Non è arrivata al 100%, come diversi uomini di governo hanno trionfalmente sostenuto, ma al 92,59%. Non solo, ma della cifra che Bruxelles ci dovrebbe rimborsare vi sono ancora ben 734 milioni congelati a causa di inchieste giudiziarie in corso nei capitoli «ricerca e competitività».Ricordiamo, per i meno esperti di questa intricata materia, che il 76 per cento del bilancio dell'Unione europea è gestito con i governi nazionali e le Regioni (sono 263 le regioni europee), mediante cinque grandi Fondi: Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo (inclusione sociale e buon governo), Fondo di coesione (regioni meno sviluppate), Fondo europeo agricolo (Feasr), Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp). Poi vi sono altri fondi che vengono gestiti direttamente da Bruxelles (formazione, fornitura di servizi, beni e opere per attività produttive, ecc.). Vi è anche uno specifico e consistente finanziamento per la ricerca, che non viene mai ricordato: quello del programma Orizzonte 2020, che ha la dotazione, per il periodo 2014-2020, di 80 miliardi di euro. Sappiamo poco o nulla su come viene investita questa cifra astronomica nei 28 Paesi europei. La trasparenza è infatti una sorta di araba fenice dell'Ue, purtroppo in ogni settore dei Fondi europei. E non solo. Le regioni più sviluppate sono, ovviamente, quelle che riescono a utilizzare meglio i Fondi. Le ricordiamo: Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia, Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio. Ecco quelle meno sviluppate (3-5%): Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia. In transizione si trovano l'Abruzzo, il Molise e la Sardegna. «Il problema», sottolinea Cappello, «è che le regioni meglio attrezzate, quelle del nord, finiscono con accentuare gli squilibri con le regioni del sud. Insomma gli squilibri delle due Italie aumentano ancora di più». È vero, i fondi europei sono un test per la coesione del Paese. Anche l'assessore della Regione Emilia Romagna, l'economista Patrizio Bianchi, coordinatore dei Fondi strutturali europei, la pensa allo stesso modo. «La mia regione», osserva, fa parte di un triangolo virtuoso, insieme alla Lombardia e al Veneto. In queste regioni vi è una tradizione di buona amministrazione e quindi abbiamo esperienza e siamo quindi più preparati ad affrontare tutti i problemi legati ai fondi europei». E il Piemonte? «Secondo me, meno bene rispetto al passato. Le regioni del sud vanno invece sostenute molto. E forse in questo campo potrebbe intervenire più efficacemente l'Agenzia per la coesione». Ma sull'Agenzia i giudizi critici che abbiamo raccolto sono numerosi. Si tratta di una struttura che si sovrappone o si affianca, in modo competitivo ad altri organismi del ministero dello Sviluppo economico e della stessa presidenza del Consiglio. L'Agenzia per la coesione territoriale è stata costituita nel 2013 per «sostenere e accompagnare» i programmi e i progetti per lo sviluppo e la coesione economica. Ma per questi obiettivi vi sono anche altri due organismi (il Nuvap e il Nuvec), inseriti uno nella stessa Agenzia, l'altro nel ministero. Ma ora il controllo dell'Agenzia, diretta da Maria Ludovica Agrò, è passato alla presidenza del Consiglio (gli altri componenti della direzione sono Vincenzo Gazerro e Alberto Versace, dirigenti interni ; Vito Santarsiero, in rappresentanza delle Regioni e Micaela Fanelli, in rappresentanza degli enti locali). In questa struttura sono occupati oltre duecento dipendenti e un esercito di consulenti (almeno 180), che emettono fatture, che poi verranno scaricate nei rendiconti dei Fondi europei. Da ricordare poi che Palazzo Chigi ha un apposito Dipartimento per la coesione (con 70 dipendenti), che coordina anche il Nuvap (Nucleo di valutazione e analisi dei singoli interventi) e che costa quasi 4 milioni di euro l'anno. Sembra una fotocopia del Nuvec, il Nucleo di verifica e controllo, che si trova all'interno dell'Agenzia della Agrò (30 componenti, come il Nuvac). Come si vede, all'insegna della Coesione impera la confusione più fitta. Anche i sindacati (tutti) sono scontenti. Qualche tempo fa denunciarono, con un lettera al ministro dell'epoca, Claudio De Vincenti, le «situazioni confuse e contradditorie» per la gestione del personale e, in generale, «la situazione di stallo dell'Agenzia». L'Agenzia non «pesa» economicamente molto (circa 25 milioni l'anno). Nel suo bilancio però non figurano il costo del personale (quasi tutto dipendente della pubblica amministrazione) ma solo le indennità accessorie. I consulenti, come si è detto, sono in gran parte inseriti nei costi dei Fondi europei.Forse, come sostiene anche Cappello, è necessario azzerare i troppi enti e strutture simili e concorrenti. Non solo perché determinano conflitti di competenze degli organismi, ma li rendono farraginosi e costosi, allungando i tempi dei Fondi. «Sulla base della mia esperienza», dice Cappello, «penso sia necessario azzerare tutto e dar vita a una nuova Agenzia, con una struttura snella, centralizzata, con costi molto ridotti, rispetto a quelli attuali. Una struttura, cioè, fortemente professionalizzata, in grado di intervenire tempestivamente, anche commissariando le strutture delle regioni deboli che non sono attrezzate adeguatamente per i Fondi europei. E con un minore numero di consulenti». E quelli lottizzati, per aree politiche e per lobby, dove li mettiamo? «Su questo non rispondo, non me lo posso permettere». In ogni caso, un intervento appare necessario anche perché, nella nuova programmazione europea 2021-2027, di cui si parla molto a Bruxelles (ma non nel mondo politico italiano e soprattutto tra i partiti di governo), è previsto non un ridimensionamento delle risorse destinate all'Italia, come si è sempre temuto, ma un incremento del 6%. In particolare, i Fondi di sviluppo (Fesr) cresceranno da 199 a 226 miliardi e il Fondo per l'occupazione (Fse), dovrebbe passare da 83 a 101 miliardi. Non c'è ancora l'approvazione definitiva di Bruxelles, ma nelle regioni prevale nettamente l'ottimismo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-torta-miliardaria-di-fondi-europei-che-in-30-mesi-litalia-non-sa-come-finire-2587336721.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sicilia-primatista-per-i-soldi-nel-cassetto" data-post-id="2587336721" data-published-at="1757918815" data-use-pagination="False"> Sicilia primatista per i soldi nel cassetto Tutte le statistiche la segnavano, alla voce Fondi europei, con uno zero. In realtà, la Sicilia è ancora all'ultimo posto della graduatoria delle regioni, ma non con quella cifra. Un giornalista palermitano, Lelio Cusimano, esperto in fondi europei, ci dice: «Certo la situazione è disastrosa per molte ragioni. È vero, siamo all'ultimo posto come l'Italia in Europa, ma non è l'apocalisse. Nelle ultime settimane si è registrata una insperata ripresa di iniziativa. Sono stati indetti bandi per almeno la metà della spesa prevista per il Fondo di sviluppo regionale. Entro quest'anno tutti i bandi saranno pubblicati». Una corsa contro il tempo, anche per evitare che l'Europa disimpegni le somme stanziate. Ma vi sono anche altri problemi? «Ad esempio, il personale tecnico della regione si è indebolito, nel senso che è stato mandato in gran parte, anticipatamente, in pensione. E non è facile rimpolpare i quadri tecnici, specializzati tecnicamente per i Fondi. C'è anche da tenere conto che i controlli dei funzionari di Bruxelles sono molto accurati e scrupolosi e non sempre i nostri esperti sono in grado di rispettare tutte le regole. Il precedente presidente della Regione, il dem Rosario Crocetta, ha ridotto sensibilmente il numero dei consulenti e dei tecnici interni addetti a questo delicato settore. È stato un ridimensionamento deleterio perché il costo di questi professionisti è a carico di Bruxelles. Ma ora i segnali di cambiamento si vanno avvertendo, anche se ci vorrà ancora del tempo». Fra i tanti mali della Sicilia, aggiungiamo, vi sono anche quello della incapacità di utilizzare risorse, che sono vitali per lo sviluppo dell'isola. «Basta ricordare», aggiunge Cusimano, «che tra le 263 regioni europee, la Sicilia è la terz'ultima. Soltanto la Guyana francese e la regione bulgara di Severozapaden vanno peggio. C'è di che riflettere».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)