Chi ha buona memoria non farà fatica a ricordare il coro di commenti che puntavano a minimizzare la tassa sui sacchetti del supermercato. A introdurre l'imposta fu una leggina varata nel 2017, mentre gli italiani erano distratti dalle vacanze di agosto. Un piccolo blitz compiuto da uno sconosciuto senatore del Pd, tal Massimo Caleo di La Spezia. Il quale, mentre si discuteva di tutt'altro, cioè delle misure per aiutare il Mezzogiorno, infilò l'emendamento che introduceva l'obbligo delle buste biodegradabili. Che cosa c'azzeccassero i sacchetti per imbustare zucchine e pesche con la crescita del Meridione non è dato sapere, perché manco il senatore che tenne a battesimo la leggina ha saputo spiegarla. Tuttavia, nella disattenzione generale, la norma proseguì il proprio iter e una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il decreto con involucro smaltibile allegato divenne legge. Visto che ad agosto anche la miriade di associazioni che pretende di difenderli era in vacanza, i consumatori si resero conto del nuovo obbligo a carico della famiglie solo quando il provvedimento entrò in vigore e cioè a gennaio di quest'anno. Un regalo portato da una Befana un po' speciale, travestita da governo Gentiloni con annessa maggioranza di sinistra. La quale ovviamente giustificò la misura con la necessità di salvaguardare l'ambiente e di adeguarsi alle normative europee. Basta con le buste di plastica che avvelenano il mare, via libera a quelle fatte con gli scarti vegetali, che pure se si rompono appena le guardi dopo si smaltiscono e non inquinano. In sé l'ide poteva apparire anche buona, se non per una piccola controindicazione, e cioè che a pagare la novità avrebbero dovuto essere i clienti. Insomma, il sacchetto bio ed ecologicamente responsabile sarebbe stato a carico del consumatore, che avrebbe dovuto pagarlo a parte. La scoperta spiacevole, ovviamente, non ha riempito di entusiasmo gli italiani, che a forza di sborsare si ritrovano le tasche vuote. Dunque, in breve, contro la novità si diffuse il malcontento, di cui ci facemmo interpreti proprio noi della Verità.Invece di spiegare perché si fosse deciso in tutta fretta di recepire una direttiva che altrove in Europa nessuno aveva stabilito di recepire, dalla maggioranza partì la campagna a sostegno del decreto, tendente a minimizzare l'impatto sul portafogli degli italiani. La tesi più o meno era la seguente: ma cosa volete che sia un centesimo per un sacchetto dove mettere i piselli in cambio del salvataggio del pianeta? In fondo si tratta di pochi spicci, forse qualche euro in un anno e nulla di più. Insomma, ai brontoloni che lamentavano l'ingiustificato aggravio fu appiccicata l'etichetta di insensibilità all'ecosistema mondiale. Si dà per il caso che, mentre c'era chi suonava la grancassa a favore della novità, questo giornale ricostruì l'iter del decreto biodegradabile, scoprendo che a produrre i miracolosi sacchetti salva mondo era una particolare azienda, ovvero una società guidata da una signora che era così renziana da aver partecipato alla Leopolda. La Novamont, questo il nome dell'azienda, era titolare di un brevetto unico al mondo e la stessa impresa, senza uno sviluppo del mercato che consentisse di mettere a reddito la scoperta, aveva un conto economico un po' sofferente. Non è tutto: in campagna elettorale il treno di Matteo Renzi si era fermato proprio nella città dell'azienda e il segretario del Pd, impegnato com'era in comizi per recuperare voti, invece di attardarsi con i militanti si era rinchiuso con i dirigenti della società nella sede dell'azienda, ripartendosene poi alla chetichella.Al sospetto che in qualche modo Renzi ci avesse messo lo zampino, l'ex presidente del Consiglio replicò dicendo che trattavasi di fake news, con lo stesso tono con cui sentenziò che l'acquisto da parte sua di una villa da 1,3 milioni era una balla.Fin qui la cronaca dei mesi scorsi, così da poter inquadrare il problema. E ora veniamo alla notizia del giorno. Ieri La Stampa, non proprio un giornale anti renziano, segnalava la corsa dei rincari sulle buste bio. Titolo: «Ci costano fino a 90 euro l'anno».Cinquanta sono addebitabili al sacchettino super ecologico per imbustare le fave, gli altri 40 sono invece dovuti alle buste per mettere il resto. Gli involucri per frutta e verdura che dovevano costare 1 centesimo si è scoperto così, grazie al servizio del giornale sabaudo, che al supermercato vengono fatti pagare anche cinque volte di più, con relativo effetto sulla spesa delle famiglie.Risultato: i sacchetti ecologici si sono trasformati in una tassa occulta di circa 90 euro l'anno, con massima gioia di chi produce la materia di cui sono fatti. Volete sapere chi sia? Beh, scoprirlo non è difficile. La principale produttrice resta l'azienda dove Renzi si è fermato. Miracoli dell'ecologia.
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».
Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.
Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.
Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.




