2019-12-27
La strage partigiana di Porzûs negata per anni dagli amici del Pci
Il 7 febbraio 1945 un commando dei Gap sterminò la Brigata Osoppo. Un massacro compiuto contro l'area anticomunista della Resistenza che mette in dubbio la fedeltà del partito di Togliatti al Paese e ai suoi confini.Il 7 febbraio 1945 un commando dei Gap comunisti di Udine guidato da Mario Toffanin, detto «Giacca», attaccava il comando delle formazioni Osoppo stanziato alle Malghe di Porzûs, ultimo avamposto delle formazioni partigiane italiane sul confine orientale. Una volta disarmati gli osovani, i gappisti fucilarono sul posto il comandante Francesco De Gregori («Bolla»), il commissario politico Gastone Valente («Enea»), il giovane Giovanni Comin, che si era appena presentato come volontario alle Malghe, ed Elda Turchetti, una ragazza accusata da Radio Londra di essere una spia dei tedeschi, ma che era stata giudicata innocente dagli uomini della «Osoppo». Aldo Bricco («Centina»), che era appena giunto a Porzûs per sostituire De Gregori, riuscì fortunosamente a scampare alla morte dandosi alla fuga, mentre il destino dei partigiani osovani superstiti si compì nei giorni successivi. Costretti a scendere a valle e caricati su dei camion, furono portati nella zona del Bosco Romagno (Cividale del Friuli), dove furono trucidati a piccoli gruppi. Solo due partigiani, che accettarono di passare nelle fila garibaldine, furono risparmiati. L'eccidio di Porzûs, come da quel momento in poi venne ricordata la strage, non rappresenta solo uno dei più gravi e sanguinosi scontri all'interno del movimento partigiano, ma è anche uno degli episodi più controversi della storia della Resistenza italiana. Ancora oggi si continua a discutere sui mandanti e sulle motivazioni di questa esecuzione. A chi andava attribuita la responsabilità dell'eccidio? Ai vertici delle formazioni garibaldine e del Pci? Alla federazione di Udine? Agli sloveni? Oppure a un'iniziativa personale di «Giacca»? Intorno a queste domande si è esercitato un aspro contenzioso politico e storiografico, pari forse solo a quello sull'attentato dei Gap di via Rasella, che determinò la terribile rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine. In entrambi i casi la vicenda ha avuto un seguito nelle aule dei tribunali, alimentando reciproche accuse di strumentalizzazione. Vi è però una grande differenza tra le due situazioni, a parte il fatto che mandanti ed esecutori di via Rasella furono subito chiari: l'eccidio di Porzûs fu preceduto e accompagnato da un pesante clima di intimidazioni e di violenza a livello locale, che allora e in seguito spinse al silenzio gli abitanti della zona. A differenza di altri casi, inoltre, gran parte della storiografia ha fin da subito sposato il punto di vista dei comunisti e degli sloveni, da subito molto determinati a difendere le proprie posizioni nei confronti degli osovani, sui quali sono riusciti a insinuare pesanti sospetti. [...]L'eccidio di Porzûs chiamava direttamente in causa il Pci e la sua politica sulla questione del confine orientale. Di chiunque fosse la colpa, erano stati dei partigiani garibaldini a eliminare degli altri partigiani. L'uccisione da parte di una formazione comunista di altri militanti antifascisti che si opponevano alle pretese annessioniste da parte della Jugoslavia comunista metteva in discussione due dei cardini fondamentali del «partito nuovo» di Togliatti: quello della politica di unità di azione con le altre forze antifasciste nella Resistenza e quello del carattere nazionale del partito. Per un primo verso, infatti, la ricostruzione del ruolo svolto dal Pci nell'eccidio evidenziava i limiti della politica di unità incondizionata con le altre forze dell'antifascismo. La vicenda di Porzûs, e soprattutto il quadro di accesa conflittualità che caratterizzava i rapporti tra i garibaldini e gli osovani in quel momento e che è la necessaria premessa all'azione dei Gap, esemplifica infatti la politica dei comunisti, che mentre da un lato affermavano di voler mettere da parte ogni pregiudiziale politica, dall'altra accusavano di attendismo o di collusione con il nemico tutte le formazioni che non si uniformavano alla loro strategia. Fu quello che accadde nei rapporti con i vertici della «Osoppo», che per non aver voluto aderire alla scelta filojugoslava del partito furono accusati del tutto ingiustamente di condurre una politica contraria a quella del movimento antifascista, additati come traditori e infine eliminati.In secondo luogo, l'eccidio si lega in modo inscindibile al tema dei rapporti tra i comunisti italiani e gli jugoslavi, e con quello della subordinazione dei primi nei confronti dei secondi. Un tema questo nel quale si ravvisa in modo più clamoroso il contrasto tra le dichiarazioni togliattiane di difesa dell'italianità e la politica effettivamente adottata, che mirava a trasferire ampie zone italiane alla Jugoslavia per soddisfare gli interessi dell'Unione sovietica. Questa circostanza trova ormai ampia conferma nella documentazione, che mostra come i comunisti italiani si siano resi complici dei disegni sloveni e croati volti all'occupazione delle terre di confine. Non sorprende quindi che il tema di Porzûs sia tanto delicato: esso infatti mette in discussione il carattere di partito nazionale del Partito comunista italiano. E non sorprende che, di conseguenza, il tentativo della storiografia più simpatetica nei confronti del Pci sia stato quello di minimizzare l'evento, o tentare ardite interpretazioni che, mettendo la sordina su un inoppugnabile dato documentario, salvaguardassero l'immagine del partito e di Togliatti. Se questa era la posta in gioco, si comprende perché per il Pci [...] il punto più delicato nei processi relativi all'eccidio non fu tanto l'accusa di omicidio, quanto quella di attentato all'integrità territoriale dello Stato, che avrebbe reso i caduti dei martiri e i comunisti dei traditori.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)