
L'epidemia ha colpito durissimo: già 96 istituti in tutta Italia non riapriranno. Gli aiuti del governo sono briciole.«Questa scuola chiude. Gli oneri per lo Stato aumentano». Così l'8 agosto, sul sito Noisiamoinvisibili.it, l'istituto per l'infanzia Maria Santissima Pellegrina, nella frazione salernitana di Varco Notare Ercole, annunciava di aver rinunciato alla didattica perché non ci sono più soldi né insegnanti. Per oltre cinquant'anni ha svolto «un ruolo di fondamentale importanza per la comunità», scrivono i genitori in una petizione per la riapertura, educando i bimbi ma anche supportando le mamme e i papà con «orari flessibili, sostegno per le famiglie meno abbienti e inserimento di bambini problematici». Zac, un taglio e via. La battaglia feroce contro le scuole non statali ha lasciato sul campo anche questo asilo, prezioso per la piccola comunità campana. Il 6 giugno hanno chiuso il liceo classico e il liceo scientifico Don Bosco, presenti a Messina da quasi cento anni; dal 21 dello stesso mese non accoglie più bambini la scuola dell'infanzia Antonio Rosmini a Torino, sebbene convenzionata con il Comune dal 1986: non ce la fa più. Due giorni dopo serrava i battenti il liceo classico Eugenia Ravasca a Pescara, oggi chiude definitivamente la scuola materna San Giacomo a Milano perché «mancano i fondi necessari per pagare le spese» ha lamentato il parroco, don Alessandro Giannattasio. Eppure offriva «un'altissima qualità educativa e didattica», con tre maestre per 35 bambini. famiglie in difficoltàSono 96 le paritarie che non apriranno tra pochi giorni, messe in ginocchio dal lockdown durante il quale molte famiglie hanno smesso di pagare le rette, ma già finanziariamente in difficoltà perché si sono indebitate per mantenere costi bassi e perché i fondi stanziati dal governo si sono concentrati sulle statali. Un emendamento al decreto Rilancio, approvato in Commissione bilancio della Camera lo scorso luglio, ha finalmente incrementato le risorse, passando dai 65 milioni di euro iniziali a 150 milioni per poi arrivare a 300 milioni di euro destinati alle scuole primarie e secondarie paritarie. «Il successo vero sta nell'essere riusciti a isolare il M5s», commenta il senatore Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega e vice presidente della Commissione cultura a palazzo Madama. «Ci avevamo provato anche sui docenti precari nella fase emendativa del decreto Scuola, ma alla vigilia del voto, in commissione sia il Pd, sia Iv e Leu si sono spaventati e hanno fatto marcia indietro, venendo così coperti di insulti dagli insegnanti interessati che sono tanti. Anche questo può aver influito sulla decisione, stavolta, di andare fino in fondo cominciando a stanziare risorse per salvare le paritarie ed evitare ulteriori problemi alla scuola statale». È solo un inizio, la strada è ancora lunga. In Italia, infatti, ancora non viene garantito il diritto dei genitori di scegliere, al di fuori della scuola statale, il tipo di istruzione adatto ai propri figli secondo convinzioni personali, pedagogiche o religiose. La libertà di scelta, sottoscritta dal nostro Paese in accordi internazionali e Ue, di fatto è impedita perché le condizioni economiche, gli aiuti governativi, non sono uguali. I servizi delle scuole di natura privata, ma che svolgono un servizio pubblico e sono inserite nel sistema nazionale di istruzione, rimangono discriminati rispetto a quelli statali che ottengono contributi anche dieci volte più elevati.sempre più discriminate La scuola parificata riceve una media di 752 euro l'anno per l'alunno, la statale una media di 6.000 euro, perciò gli istituti che non applicano rette elevate sono costretti a chiudere e quelle famiglie, non in grado di permettersi i costi delle scuole a gestione privata «per ricchi», risultano discriminate. Sono obbligate a mandare bambini o ragazzi alle statali, gratuite. Il pluralismo delle attività formative, così pure un'effettiva parità scolastica potrebbero essere assicurati, come da tempo si richiede, attraverso l'individuazione del costo ottimale per l'istruzione di ogni alunno e quindi la definizione di una quota capitaria, ossia di una determinata somma per ogni alunno che frequenta la scuola. Costo standard di sostenibilità, viene anche chiamato, cioè quello che lo Stato è disposto a investire per garantire il diritto assoluto, inviolabile, all'istruzione. In questo modo, tutte le istituzioni scolastiche potrebbero avere reale autonomia e verrebbe assicurata pluralità di offerta formativa, senza costringere le famiglie a scegliere la statale perché la paritaria, a gestione privata, ha rette troppo elevate. Oggi, invece, con la chiusura di molti di questi istituti che «rappresentano quasi il 25% del sistema di istruzione integrato» italiano, come sostiene Virginia Kaladich, presidente nazionale Fidae, la Federazione delle scuole cattoliche primarie e secondarie, 866.805 studenti delle paritarie sono a rischio. Per loro non c'è posto nelle scuole statali, già in apnea aule anti Covid-19, e i costi si moltiplicherebbero enormemente per il governo giallorosso. Secondo le stime effettuate dall'Istituto Bruno Leoni (Ibl), se solo un 30% di ragazzi lasciassero le paritarie sarebbero necessari 2,4 miliardi di euro in più di aiuti statali. È un costo elevatissimo per i contribuenti. Senza dimenticare che molte paritarie, numerose al Nord ma presenti in molte regioni del Sud, rappresentano in diverse situazioni l'unica offerta didattica sul territorio. Chiuderle significa togliere il diritto di studio a migliaia di ragazzi che nemmeno possono contare sulla didattica a distanza, comunque non sostitutiva perché gli studenti devono tornare a scuola in presenza.
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