2019-05-05
Gli sciacalli della sicurezza
La scena del crimine nel capoluogo partenopeo / Ansa
La bimba ferita dai camorristi a Napoli è grave: da Roberto Fico a Matteo Renzi tutti accusano il ministro dell'Interno. Ma il caos parte da loro.Negoziante di Viterbo ammazzato a sprangate. Fermato un immigrato. È un americano di 22 anni, incastrato dalle telecamere del centro storico. Matteo Salvini si congratula per la cattura lampo: «Niente polemiche, parlo coi fatti».Ricorsi in massa per affossare il dl Salvini. L'Anm nega l'evidenza, ma la sentenza di Bologna spalanca la strada ai profughi per iscriversi in anagrafe.Lo speciale comprende tre articoli. È bastato un tiepido sentore di primavera, ed ecco che gli sciacalli sono sgusciati fuori dalle loro tane. Sciacalli di una specie molto particolare, che al buio della notte preferisce la luce bollente dei riflettori. Si tratta degli sciacalli della sicurezza, predatori disposti a tutto pur di procacciarsi un lauto pasto mediatico. Nelle ultime ore si sono lanciati in branco contro Matteo Salvini, imputandogli ben due orrendi fatti di sangue: la sparatoria camorristica di Napoli che ha ridotto in fin di vita la piccola Noemi, 4 anni, e il brutale omicidio di Norveo Fedeli, commerciante di 74 anni, trucidato a sprangate nel suo negozio di Viterbo. «A Napoli si spara in piazza, a Viterbo viene ucciso un commerciante in negozio», ha scritto sui social Matteo Renzi. «Io mi chiedo: ma oggi c'è un ministro dell'interno in questo Paese? E se c'è cosa sta facendo oltre ai selfie e alle storie su Instagram?». A Laura Boldrini non è parso vero di potersi gettare nella mischia: «Invece di occuparti di me», ha scritto su Twitter rivolta al vicepremier leghista, «pensa alla sicurezza delle persone visto che a Napoli si spara per strada e a Viterbo un commerciante è stato ucciso a sprangate. Ti ricordo che sei il ministro dell'Interno e in queste ore dovresti fare riunioni di lavoro, non comizi in piazza». Nicola Morra, presidente a 5 stelle della Commissione parlamentare antimafia, ha cinguettato: «Piuttosto che terrorizzare sui migranti o visitare muri il titolare del Viminale si occupasse di contrasto alla mafia». Sulla sparatoria di Napoli è intervenuto pure Roberto Fico: «Mi aspetto che il ministro dell'Interno attenzioni Napoli ai massimi livelli», ha detto il presidente della Camera. «Io ho parlato e portato la questione all'attenzione di polizia e dirigenti. Dobbiamo debellare questo fenomeno. Bisogna agire». Un bel coretto di ululati, dunque. Che sorprende per la veemenza dei toni ma anche per alcuni altri non trascurabili dettagli. Dopo aver accusato per mesi e mesi Salvini di essere un «imprenditore della paura» e di aver speculato sull'emergenza sicurezza, ora il mononeuronico fronte progressista si mette a blaterare di aggressioni e omicidi imputandoli al responsabile del Viminale. Ci vuole una notevole faccia tosta: se questo Paese è più insicuro, la maggiore responsabilità politica ricade sulla sinistra. A Viterbo, per il massacro del negoziante, è stato fermato uno straniero residente in un paesino della zona. Ora, tanto per rendere l'idea: nei primi sei mesi del 2018 (con il centrosinistra al potere) la percentuale di stranieri denunciati nel nostro Paese è stata del 31,9%, contro il 27,4% del 2017 (dati ministeriali). Un aumento del 4,5%. Che gli immigrati (specie irregolari) delinquano più degli italiani è cosa nota. E se oggi siamo imbottiti di clandestini, la colpa di chi è? Di Salvini che in un soffio dovrebbe espellerli tutti? O dei professionisti dell'accoglienza che per anni hanno tifato invasione e adesso chiedono strade sicure? E sorvoliamo sui giudici che si mettono d'impegno a smontare le leggi per favorire i poveri richiedenti asilo... Forse Renzi, la Boldrini e gli altri dovrebbero chiarirsi un poco le idee. Se Salvini chiede norme più restrittive, vuole fermare gli ingressi, insiste sulla legittima difesa e utilizza risorse per controllare maggiormente il territorio, i progressisti compatti gli dicono che è un fascista, un razzista e un pericoloso reazionario. Poi, però, sfruttano un fatto di sangue per scagliarsi contro il capo leghista. Per altro, l'azione delle forze dell'ordine, nella vicenda di Viterbo, è stata decisamente rapida: lo Stato ha fatto sentire la sua presenza. Quanto a Napoli, i paradossi sono ancora più evidenti. Nei giorni scorsi, quando dal Viminale partì la direttiva sulle «zone rosse» (utile a fornire più poteri ai prefetti per proteggere alcune zone particolarmente sensibili delle città) i «sindaci democratici» di tutta Italia si rivoltarono come un solo uomo. Tra i più accesi contestatori del documento c'era proprio il primo cittadino partenopeo, Luigi De Magistris. Delle due l'una: o si vuole più sicurezza, e allora si sostengono i provvedimenti necessari, oppure non la si vuole, e allora però, quando accade un fatto di sangue, ciascuno si prende la sua dose di colpe. Dal Viminale fanno sapere che «a Napoli, nell'ultimo anno sono arrivati 137 poliziotti in più e il piano di riorganizzazione prevede una super questura: passerà dagli attuali 3.740 agenti a 4.332 con un incremento di 592 unità». Inoltre, «i militari impegnati per Strade sicure sono 690 [...]. Con i fondi del decreto Sicurezza, Napoli ha avuto 1,4 milioni. Il Comune ha assunto 53 agenti della polizia municipale grazie ai fondi della sicurezza urbana (altri 6,7 milioni di euro)». Sostenere che il ministero non abbia fatto la sua parte è un po' difficile, no?Per gli sciacalli della sicurezza, tuttavia, ogni contorsione è possibile. Osteggiano il decreto Sicurezza, poi versano lacrime per la violenza. Tifano frontiere aperte, ma danno la colpa al governo se circolano criminali d'importazione. Chissà, magari il ventiduenne sudamericano fermato per l'omicidio del povero Fedeli sarebbe un ottimo testimonial per la campagna sullo ius soli. Certo, è ovvio che la protezione del territorio e del popolo italiano dipenda dal Viminale. Ma bisogna dare atto a questo governo di aver messo in campo notevoli provvedimenti in proposito: norme più stringenti, maggiori risorse, una revisione del sistema d'accoglienza (per quanto lunga e difficile si stia rivelando). Che proprio da sinistra (e addirittura dall'ala guevarista dei 5 stelle) arrivino rimbrotti e frecciate è semplicemente grottesco. Gli sciacalli della sicurezza, per altro, stanno speculando su due vicende terribili, intrise di morte e di sofferenza. Il che è troppo persino per chi ci ha abituato al peggio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-sinistra-ritorce-contro-i-leghisti-lallarme-sicurezza-che-ha-creato-lei-2636294273.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="negoziante-di-viterbo-ammazzato-a-sprangate-fermato-un-immigrato" data-post-id="2636294273" data-published-at="1758077227" data-use-pagination="False"> Negoziante di Viterbo ammazzato a sprangate. Fermato un immigrato Ha una identità il presunto boia di Viterbo accusato di aver ucciso con spietata freddezza un negoziante del centro città, forse per non saldare un conto lasciato in sospeso. È un giovane di 22 anni nato in Corea del Sud ma di nazionalità statunitense, che si trovava in Italia da qualche mese per motivi ancora da chiarire. Il fermo - necessario per evitare il pericolo di fuga - è stato messo in atto ieri alle ore 12, dopo che tra le forze dell'ordine erano state diffuse le immagini del sospettato. La vittima è Norveo Fedeli, 74 anni, barbaramente ucciso a sprangate e calci in testa all'interno del suo negozio di abbigliamento nel centro di Viterbo, due giorni fa. A inchiodare il presunto assassino le riprese delle telecamere di videosorveglianza che lo hanno inquadrato mentre usciva dal negozio e si incamminava su via San Luca, tra le più frequentate del centro. Il soggetto è stato individuato a Capodimonte, dopo una fuga durata meno di 24 ore. Secondo le prime ricostruzioni l'uomo, già cliente del negozio di Fedeli, una jeanseria molto nota in città, sarebbe entrato intorno all'ora di chiusura, venerdì, forse per il ritiro di alcuni capi. Per motivi ancora da chiarire tra i due sarebbe nata una discussione. Lo straniero avrebbe prima colpito Fedeli alla testa, più volte, con un pesante oggetto - forse uno sgabello di legno presente in negozio - e poi lo avrebbe finito con un calcio verso il basso che gli avrebbe schiacciato il cranio, sferrato senza pietà mentre l'anziano rantolava e cercava, ancora cosciente, di dirigersi verso il bancone per chiedere aiuto. Sul cuoio capelluto di Fedeli sono state trovate tracce di fango. E il presunto assassino sarebbe uscito dal negozio - si vede nei video - con una scarpa infilata in una busta di plastica, forse proprio per evitare di lasciare impronte per la strada con il sangue dell'anziano ancora fresco addosso. Che l'esercente non fosse morto sul colpo gli inquirenti lo hanno ipotizzato osservando la scia di sangue lasciata sul pavimento del negozio. L'uomo era riverso a terra dietro al bancone però le tracce ematiche non erano solo sotto al corpo, bensì anche in altre zone della stanza. Come se avesse strisciato oppure come se il suo corpo fosse stato trascinato da qualcuno. A trovarlo è stata una conoscente: la parrucchiera il cui salone si trova a pochi metri dal negozio di Fedeli. Uscita per la pausa pranzo, la donna aveva notato le saracinesche della jeanseria ancora alzate, fatto molto insolito per Fedeli, il quale a detta di chi lo conosceva era un uomo «buono, meticoloso e abitudinario». Ogni giorno chiudeva il negozio alle 13 in punto e si recava a casa per il pranzo, avviandosi a piedi per quella strada - percorsa migliaia di volte - e in pochi minuti raggiungeva la sua abitazione che si trova a pochi metri dalla storica bottega. Per questo la parrucchiera vedendo ancora aperto alle 13.40, si è avvicinata. Capendo subito che qualcosa di strano doveva essere successo, ha chiesto ad alcuni operai di un cantiere vicino di accompagnarla dentro: appena affacciatasi alla porta ha visto la quantità di sangue a terra e ha cominciato a urlare. Le grida hanno richiamato l'attenzione della moglie della vittima, Maria Chiara Fedeli, che era in casa e che già da qualche decina di minuti stava cercando di contattare il marito al telefono, senza ricevere risposta. Accorsa sul posto, la donna ha accusato un malore ed è stata soccorsa. Le forze dell'ordine, appena entrate, hanno ritrovato il negozio completamente sottosopra, ma pur ipotizzando una rapina finita male non sono riusciti a individuare subito e chiaramente che cosa in effetti mancasse, se non appunto il cellulare della vittima, ritrovato alcune ore dopo in mezzo all'erba a 200 metri di distanza dal negozio, gettato a terra dall'assalitore forse nel tentativo di liberarsi di un oggetto su cui aveva lasciato le proprie impronte digitali. Secondo le prime informazioni, il presunto assassino era arrivato in Italia lo scorso febbraio attraverso un viaggio aereo proveniente da una nazione della Comunità europea, aveva già frequentato il negozio di Fedeli e a Capodimonte aveva dei conoscenti. A tradirlo sono state appunto le immagini della videosorveglianza installate nella zona centrale della città e anche un'impronta di scarpa lasciata - con il sangue della vittima - sul luogo del delitto. È stato bloccato per strada dai carabinieri di Capodimone, si trova ora in carcere e la sua abitazione è stata perquisita. La jeanseria Fedeli Vouge è stata una delle prime che ad aprire i battenti a Viterbo, circa 40 anni fa. «Norveo era una persona per bene, stimato in città e anche nella provincia», racconta chi lo conosceva. Sulla salma, portata all'istituto di medicina legale, sarà effettuata l'autopsia. Intanto il sindaco di Viterbo, Giovanni Maria Arena, ha proclamato una giornata di lutto cittadino per domani, con bandiere a mezz'asta sugli edifici comunali e un minuto di silenzio alle 12 negli uffici pubblici. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-sinistra-ritorce-contro-i-leghisti-lallarme-sicurezza-che-ha-creato-lei-2636294273.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ricorsi-in-massa-per-affossare-il-dl-salvini" data-post-id="2636294273" data-published-at="1758077227" data-use-pagination="False"> Ricorsi in massa per affossare il dl Salvini A cosa serve che un legittimo Parlamento discuta per mesi su una legge e che l'approvi per due volte, prima al Senato e poi alla Camera, se alla fine i giudici non la applicano? Eppure in questo strano Paese funziona così. A Bologna e a Firenze due sentenze hanno obbligato le anagrafi comunali a registrare tre richiedenti asilo, contraddicendo lettera e volontà del decreto 113 dell'ottobre 2018, una legge che porta la firma del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e che il 27 novembre è stata varata definitivamente dalla Camera con 336 sì contro 249 no. La legge, che nella sua parte sull'immigrazione ha l'obiettivo dichiarato di arginare gli ingressi dei falsi richiedenti asilo, stabilisce alcune regole chiare: l'Italia non concede più «permessi di soggiorno per motivi umanitari», il mezzo ambiguo che per anni ha garantito l'ingresso a decine di migliaia d'immigrati economici o provenienti da Paesi privi dei concreti requisiti per il vero asilo politico, come dittature, conflitti, guerre civili. La legge stabilisce anche che il permesso di soggiorno per chi ha fatto una richiesta d'asilo non possa più essere utilizzato per richiedere l'iscrizione anagrafica. Proprio questo divieto «anagrafico» del decreto è stato, da subito, il più osteggiato dalla sinistra e dalle organizzazioni dell'accoglienza. E questo anche se la legge stabilisce che i richiedenti asilo abbiano comunque diritto ai servizi pubblici fondamentali. Sono le stesse centrali umanitarie a certificarlo. Sul sito online della Cild, Coalizione italiana libertà e diritti civili, che proclama di «lavorare per difendere e promuovere i diritti e le libertà di tutti con campagne pubbliche e azioni legali», si legge infatti che il pur detestabile decreto Salvini «garantisce espressamente ai richiedenti asilo l'accesso a tutti i servizi erogati dalla pubblica amministrazione (come, per esempio, l'iscrizione al servizio sanitario nazionale e ai centri per l'impiego) e a quelli «comunque erogati sul territorio» sulla base del domicilio dichiarato al momento della formalizzazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale». Ma allora, se i diritti fondamentali sono garantiti, dove sta il problema? Sta nella negazione di una serie di altri vantaggi, quelli più controversi e meno giustificati secondo l'ottica leghista (e secondo la maggioranza dei nostri parlamentari), ma invece inviolabili secondo la sinistra. Perché l'iscrizione anagrafica è alla base del rilascio del certificato di residenza e dei documenti d'identità, e la Cild spiega che quelle carte servono per «l'accesso all'edilizia pubblica e per la concessione di sussidi o agevolazioni». È per questo se la Cild da mesi invita gli stranieri a fare ricorso contro il no delle anagrafi, sperando che un tribunale possa bloccare il decreto Salvini «sollevando una questione di legittimità costituzionale». Finora questo non è accaduto: il tiro a segno dei tribunali non è ancora arrivato a quel punto. Da gennaio, però, il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, e il suo collega di Palermo, Leoluca Orlando, guidano il sabotaggio del decreto con direttive che (illegittimamente) impongono alle rispettive anagrafi di disapplicare il divieto di registrazione. Ora la palla è passata ai giudici: quella che a Bologna ha «affondato» la legge è di Magistratura democratica, la corrente delle toghe di sinistra. Ieri il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Pasquale Grasso, ha negato che le sentenze anti decreto siano politiche: «Noi giudici svolgiamo solo attività d'interpretazione», ha detto, «e le toghe rosse non esistono». Sarà. Intanto sul sito di Md campeggia una vignetta di Vauro dove un giudice, per l'appunto, si toglie la toga e (come San Martino) l'appoggia sulle spalle di un immigrato. Non è la prima volta che, in Italia, i tribunali sabotano leggi votate dal Parlamento. Sempre in materia d'immigrazione è stato così per la legge Bossi-Fini. È toccato all'ottima legge Pecorella, che evitava il giudizio d'appello contro chi fosse stato assolto in primo grado: i tribunali ne fecero strame. Ora tocca al decreto Salvini. L'associazione Avvocati di strada, la onlus molto democratica che ha assistito i due immigrati di Bologna, è pronta a scatenare l'inferno, peggio di Massimo Decio Meridio nel film Il Gladiatore. Antonio Mumolo, il presidente, annuncia che «se Salvini ci costringe, faremo ricorsi in tutte le 54 città italiane dove siamo presenti». Insomma: la maggioranza si scordi di poter governare.