2020-09-28
La sinistra in Toscana paragonò l’infibulazione «soft» a un piercing
La battaglia della parlamentare leghista Carolina Lussana contro i circoli intellettuali e i medici che non volevano contrapporsi alla pratica: bisogna accogliere le tradizioni altrui nello spirito del multiculturalismo, dicevano. Chissà se le donne ricordano quando le parlamentari della sinistra intimarono alla collega della Lega Carolina Lussana di «chiudere il becco» perché aveva osato portare in Parlamento il caso scandaloso della infibulazione «soft» (così la chiamarono allora). Un caso scoppiato nella rossa Firenze, con le istituzioni diessine che si rimpallavano la questione evitando di prendere una decisione. Lussana era la parlamentare leghista che aveva promosso la legge contro le mutilazioni genitali femminili e che dovette lottare in Aula, tra molte resistenze, per farla approvare. Nel 2004 un ginecologo somalo, Omar Abdulkamir, propose una cerimonia alternativa all'escissione dei genitali femminili, cioè una puntura sul clitoride con fuoriuscita di sangue, una sorta di compromesso per permettere alle donne di origine africana che volessero fare la mutilazione alle loro figlie di essere in regola con la tradizione, evitando però di far male alle bambine. Tutto questo non avveniva in un remoto villaggio dell'Africa, ma in Italia, a Firenze, al Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili, coordinato appunto da quel medico somalo. E la sorpresa fu che una parte di intellettuali italiani, a sinistra, non disdegnò la proposta perché veniva incontro al principio multiculturale di accoglienza delle tradizioni altrui. Non solo. L'allora assessore regionale alla sanità, Enrico Rossi, anziché intervenire prontamente, preferì rivolgersi al Comitato di bioetica e all'Ordine dei medici. Ne nacque uno scontro politico con il centrodestra all'attacco. Il Comitato regionale di bioetica espresse un parere favorevole alla proposta del ginecologo somalo nonostante fosse arrivata una bocciatura dalle associazioni di donne immigrate in Toscana. La vicenda arrivò anche in Parlamento, dove si scatenò un aspro scontro tra maggioranza e centrosinistra. Il caso fu sollevato proprio dalla leghista Carolina Lussana, relatrice a Montecitorio della proposta di legge contro le mutilazioni sessuali. La parlamentare accusò l'assessorato alla salute della regione Toscana di «sostenere un progetto che permette di eludere le sanzioni penali previste dalla legge per chi si macchia di reati del genere». La risposta dell'allora assessore Rossi fu di mettere sullo stesso piano l'infibulazione soft e i piercing. Ecco quello che disse, come riportano le cronache del tempo: «I tecnici che hanno formulato la proposta affermano che non si tratta di una mutilazione e che sarebbe sostanzialmente indolore. Alcuni dicono che non può considerarsi una pratica sanitaria così come, d'altra parte, non lo sono i piercing o i tatuaggi a cui molti ragazzi, anche minorenni, si sottopongono con il consenso o addirittura accompagnati dai genitori. È più invasiva, mi sembra, la circoncisione rituale praticata negli ospedali, e non solo in Toscana, a carico del Servizio sanitario nazionale». La legge contro l'infibulazione e le altre mutilazioni genitali femminili si deve all'iniziativa della Lega. Nella votazione in cui maggioranza e opposizione, dopo un lungo dibattito e non senza esitazioni a sinistra, si trovarono alla fine riunite, gli unici astenuti furono i senatori di Rifondazione comunista e, a titolo personale, la parlamentare della Margherita Cinzia Dato. Questa disse che «prima di approvare una legge così repressiva, dovremmo mettere fuori legge il ricorso alle pratiche di chirurgia estetica per le minorenni. Anche in questo caso si tratta di imposizioni violente provenienti da vincoli culturali». La vicenda del ginecologo somalo, l'indecisione della sinistra nel bocciare la soft infibulazione e la battaglia di Lussana sono state ricordate anche da Oriana Fallaci che nel libro La forza della ragione descrive l'esitazione degli allora Ds. Il ginecologo, scrive la Fallaci, «chiese l'imprimatur al diessino presidente della regione Toscana che invece di negarglielo tout court lo passò al diessino assessore alla Salute che a sua volta lo passò al presidente dell'Ordine dei medici della Toscana nonché membro del Consiglio d'amministrazione dell'Agenzia regionale di sanità e del Centro studi per la salvaguardia e documentazione della Sanità fiorentina». L'elenco dello scaricabarile fatto dalla scrittrice sarebbe ancora lungo. Fallaci ricorda che cosa disse il «pluridecorato dal quale», aggiunge, «non mi farei curare nemmeno un'unghia incarnita: i problemi deontologici vanno messi da parte onde rispettare questo rito antichissimo. Personalmente sono favorevole a che il progetto del collega somalo vada in porto». Ma la Fallaci andò oltre e scrisse che quando «la leghista Lussana portò la faccenda alla Camera parlando di “barbara usanza" e sollecitò l'intero mondo politico a intervenire, le colleghe del centrosinistra la invitarono a chiudere il becco. E soltanto al momento in cui le proteste esplosero su scala nazionale, il soft bullismo venne bocciato». «La legge fu una vera rivoluzione anche perché puniva chi andava a farsi praticare l'infibulazione nel Paese di origine», ricorda ora Carolina Lussana. «Non fu facile farla approvare. Contro di noi si era schierata tutta l'intellighenzia del multiculturalismo. Peccato che ora nessuno se ne ricordi».
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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