2019-05-10
La sinistra ha trovato un nuovo eroe. Mario Scelba, il manganellatore di rossi
Alla fiera di Torino i militanti progressisti diffondono volantini inneggianti all'ex ministro Dc. Altri ancora esibiscono il marchio di antifascisti doc. E i piccoli censori festeggiano l'esclusione del nemico Altaforte.L'edizione del Salone del libro che ha preso via ieri verrà ricordata, nella migliore delle ipotesi, per due grandi risultati ottenuti dalla direzione. Il primo è quello di aver censurato un editore indipendente, cosa mai avvenuta da quando la kermesse letteraria si svolge. Il secondo è quello di aver individuato il nuovo punto di riferimento della sinistra italiana tutta: Mario Scelba. Sì, proprio lui, il ministro democristiano, indimenticato coreografo di caroselli della celere, manganellatore di operai e arcinemico del partito comunista. Il suo nome è stato evocato nei giorni scorsi da Sandro Veronesi, che sul Corriere della Sera ha celebrato la legge del 1952 che «sanziona col carcere da 18 mesi a quattro anni la ricostituzione del suddetto partito fascista nonché l'apologia del fascismo, la denigrazione dei valori della Resistenza e i metodi razzisti». Da lì in poi è stata una citazione continua. Tanto che ieri, all'interno del Salone, un gruppo di illustri intellettuali progressisti ha pensato bene di distribuire ai visitatori degli splendidi volantini con su stampata la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione sulla riorganizzazione del partito fascista. In realtà, l'intellighenzia democratica ha fatto più e meglio di Scelba. È riuscita nel suo intento: cacciare Altaforte dalla manifestazione. Un gruppuscolo di intellettuali rossi alla disperata ricerca di visibilità ha piagnucolato a lungo chiedendo che i fascisti fossero estromessi, e dopo alcuni giorni di frigne e dibattiti da cineforum anni Settanta è intervenuto il braccio armato politico. Il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino (Pd), e il sindaco di Torino, Chiara Appendino (M5S), hanno chiesto ufficialmente alla direzione del Salone di allontanare Altaforte, che ha accettato di buon grado. Nicola Lagioia, il direttore editoriale della fiera, appariva molto soddisfatto che qualcuno lo avesse levato dagli impicci: «Il presidente Chiamparino e la Appendino hanno preso una decisione politica. E per come si erano messe le cose è la decisione migliore», ha detto. Già, lui non ha avuto il fegato di mettere la mordacchia ai sovranisti, e ha approfittato del bavaglio altrui. Bavaglio approvato, con una faccia tosta che ha dell'incredibile, anche dal ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, che ieri ha inaugurato la rassegna libraria: «Sono assolutamente d'accordo con le scelte fatte insieme dalla sindaca Chiara Appendino e dal presidente della Regione Sergio Chiamparino», ha dichiarato, «perché quando si fa politica si tratta anche di scegliere. Sono state dette delle cose gravi, di cui non si può far finta di nulla. E bisogna prendere delle posizioni».Il banchetto della casa editrice vicina a Casapound è stato smantellato nella notte di mercoledì, i libri sono stati portati via dalla forza pubblica e poi recuperati ieri in mattinata dall'editore Francesco Polacchi. Il quale non è nemmeno potuto entrare al Salone. Intorno alle dieci di mattina ha incontrato i giornalisti in uno spazio dietro al Lingotto, e ha esposto le sue ragioni: «È stato un attacco a Matteo Salvini e a me, siamo stati censurati», ha spiegato. «Ci muoveremo legalmente contro il Salone del Libro (e decideremo con gli avvocati se muoverci anche contro Regione e Comune) per questa decisione. Comunque sabato mattina presenteremo a Torino il libro di Altaforte sul ministro dell'Interno. Evento a cui abbiamo invitato tutti coloro che ci hanno espresso solidarietà». Non solo: Polacchi ha deciso di lanciare una nuova collana dedicata proprio alla libertà di pensiero, che si intitolerà Il castello degli eretici e raccoglierà i libri di alcune celebrità della cultura italiana (anche di sinistra) contrarie alla censura. Anche Matteo Salvini, inizialmente un po' freddino sulla questione, ieri mattina da Pesaro si è espresso con decisione: «Siamo nel 2019 e alla censura dei libri in base alle idee: non ha mai portato fortuna in passato il rogo dei libri», ha dichiarato. «Alle idee si risponde con altre idee, alla faccia dei democratici che decidono chi può andare al Salone e chi invece dev'essere escluso». Al Salone del libro, tuttavia, di idee ne sono circolate davvero poche. All'esterno del Lingotto, nel primo pomeriggio, uno sparuto gruppetto di militanti di Potere al popolo si è posizionato a pochi passi dal banchetto dei testimoni di Geova per manifestare contro il fascismo e pure contro Appendino e Chiamparino, colpevoli di essere antifascisti solo per convenienza. A quanto pare costoro vorrebbero la censura e le denunce non bastano. All'interno dell'ex complesso industriale, invece, circolavano eroici attivisti pronti a tutto pur di testimoniare la propria fede antifascista in assenza di fascismo. Alcuni esibivano grotteschi cartelli scritti a mano («Meglio tardi che mai, via i fascisti») e vagavano tra le scolaresche in cerca di un po' di affetto. Sulle pareti degli stand di alcuni editori molto impegnati apparivano invece i simboli della giustizia: bollini più o meno grandi con la scritta «editore antifascista», appiccicati come marchi dop su una bresaola.Il più soddisfatto di tutti, però, era il commissario Christian Raimo, il censore piccolo piccolo che per primo - da collaboratore del Salone e del vecchio amico Lagioia - ha stilato la lista di proscrizione degli autori sgraditi. Tra cui, oltre al sottoscritto, anche Adriano Scianca, Alessandro Giuli e l'editore Francesco Giubilei (il cui stand, fortunatamente, è ancora aperto e visitabile). Epilogo curioso: Raimo ha dovuto dimettersi dall'incarico per via degli insulti gratuiti. Ma nessuno sembra ricordarsene più. Tanto che ieri il nostro eroico scrittore scelbiano si aggirava gongolante fra i corridoi del Salone, rilasciando interviste a ogni telecamera disponibile e congratulandosi da solo per aver «liberato» la fiera letteraria. Già, la democrazia ha vinto. Con i fasci di Casapound fuori dai piedi, ora i lettori sono finalmente liberi di visitare in tutta tranquillità i vari stand del Salone, tra cui quello della Repubblica popolare cinese e quello, da 500 metri quadri, di Sharjah, l'emirato arabo dove è meglio non pubblicare libri erotici o politici. Chissà quale sarà l'opinione dello sceicco Sultan III bin Muhammad Al Qasimi sulla censura di Altaforte. Magari qualche scrittore progressista ha voglia di chiederglielo.