2019-01-13
La sinistra finge di fare autocritica per insultare meglio il popolo ribelle
Su Repubblica prima Alessandro Baricco dà ragione ai cittadini scontenti, poi l'ex direttore Ezio Mauro derubrica le proteste a «rancore» dettato da sentimenti irrazionali. Sul Foglio Sandro Veronesi definisce Matteo Salvini un animale.Niente da fare, il dibattito non si può aprire nemmeno se ci prova uno con le carte in regola, con i documenti timbrati e vidimati dall'Scpc (Supremo comando politicamente corretto). L'altro giorno su Repubblica aveva tentato lo scrittore Alessandro Baricco, un habitué della Leopolda, uno che si divide tra romanzi, storytelling e arti performative, uno di quelli che «incantano» l'Italia progressista, qualunque cosa faccia. Ma neppure queste benemerenze gli sono bastate per provare a sdoganare un paio di concetti che aveva coraggiosamente messo nero su bianco: le élite sbagliano ad arroccarsi, e anzi dovrebbero riconoscere che il popolo ha delle ragioni. Neanche 24 ore, e con l'aria severa del preside che deve rimettere ordine nella scuola, l'ex direttore di Repubblica Ezio Mauro ha chiuso la discussione. Un paio di pagine per processare e condannare il popolo: «L'assalto alle élite nasce da un'emozione, potremmo chiamarlo sentimento della confisca», è un «turbamento» per cui «intellettuali, professori, giornalisti, imprenditori, vescovi, artisti e infine scienziati» sono considerati come «portatori di un privilegio elitario». Anche Mauro, come Baricco, è un elegante signore torinese, dunque il linguaggio è controllatissimo, ma la sostanza è brutale: come si permettono questi zoticoni di elettori di non seguire le nostre indicazioni? «L'élite fissa ogni giorno il metro che misura il divenire della società, disegna una razionalità del percorso collettivo». Di più: «Piega alla sua lettura la storia, detta le mode, fissa le consuetudini, costruisce un paesaggio indicando libri, film, musica». Il che - va detto - è da sempre stata la pretesa di Repubblica, da Eugenio Scalfari in poi: spiegare ai lettori cosa debbano (o non debbano) pensare. Il fatto che adesso moltissimi provvedano da sé ha choccato l'ex direttore: «Il rancore autorizza a presentare a chiunque il saldo delle insoddisfazioni». Poche righe e si arriva all'apocalisse: «Il racconto (populista) rende infida la scienza, pericolosa la perizia, nociva la cognizione. Il sapere suscita diffidenza, viene dal demonio».Nostra libera sintesi: cari elettori, fate schifo. Peggio di voi, solo quelli che avete votato, contro cui Mauro scaglia un anatema tratto da Pier Paolo Pasolini: «I potenti che si muovono dentro il Palazzo agiscono come atroci, ridicoli, pupazzeschi idoli mortuari. Sono già morti e il loro vivere è un sussultare burattinesco». E la tragedia è che Mauro non sia stato nemmeno sfiorato dal dubbio che Pasolini si riferisse al potere costituito, all'establishment (sia pure di un tempo passato), insomma più a quelli come lui (Mauro) che non ai barbari odiatissimi da Repubblica. Siamo sempre lì, al feroce sarcasmo di Bertolt Brecht: «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo». Mauro entra di diritto in questa caricatura: la pretesa di giudicare i cittadini, anziché ascoltarli; di dar loro le pagelle, anziché provare a capirli. Ma ieri è stato anche il giorno di un altro scrittore, Sandro Veronesi. Riassunto delle puntate precedenti: quest'estate Veronesi aveva chiesto a Roberto Saviano di portare i loro corpi sui barconi delle Ong, come testimonianza contro i buzzurri che stanno al governo. Saviano, forse impegnato a twittare tutto il giorno contro Matteo Salvini, non si è presentato al molo. Veronesi, per ingannare l'attesa, ha fabbricato un pamphlet e ora gira vorticosamente a presentarlo. Ha trovato il tempo per consegnare al Foglio un inarrestabile flusso di coscienza, impietosamente trascritto dall'intervistatore. Ecco la denuncia del razzismo imperante: «Fa bene Giuliano Ferrara a usare la parola “negro", perché al fondo c'è la paura e l'ossessione per il negro con la donna bianca». E poi il paragone con «i sudisti in America: come gliele leviamo le nostre donne da quelle manacce nere?». Dopo questa raffinata analisi del consenso per Matteo Salvini («Un problema antropologico che la Lega sfrutta politicamente»), segue un imprevedibile rimpianto per Silvio Berlusconi («Firmerei con il sangue per far tornare Berlusconi al posto di Salvini»), un appassionato elogio per Mara Carfagna, e una filippica sul fatto che Salvini sia «più pericoloso di Berlusconi perché non ha conflitti d'interessi». Quindi, prendete nota: se il leader di centrodestra ha delle imprese, non va bene; se non ce le ha, non va bene lo stesso.Poi un passaggio feroce su Giulia Bongiorno «completamente dominata da Massimo Cacciari qualche sera fa». Avete letto bene: «Dominata». Ma come? Il sofisticato intellettuale progressista che parla così di una donna? Immaginate se una cosa del genere l'avesse detta un leghista…Quanto a Salvini, «se l'esercito gli obbedisse, non avrebbe problemi a trasformare l'Italia in un truce paesotto come la Bielorussia di Alexander Lukashenko». Gran finale con complottone, che di solito i «competenti» attribuiscono ai populisti: «C'è un format preciso. Non è che abbiamo questo Steve Bannon tra i coglioni per caso. Come non sono un caso questi troll pagati per rompere il cazzo su Twitter» (s'intuisce che dev'esserci del dissenso verso Veronesi sui social). Colpa di Salvini, forse: «Sento dire che è un animale politico, ma nel caso è un animale e basta, e ha zero a che fare con la politica». Così parlò Veronesi.