2020-09-28
Cartabellotta: «Covid, nuova ondata in atto
. Ma non sarà come a marzo»
Nino Cartabellotta (Ansa)
Il presidente della Fondazione Gimbe: «I positivi restano alti per gli arrivi dall'estero, il tempo passato in ambienti chiusi e il freddo. Ma non subiremo più l'effetto sorpresa».Se della pandemia in corso si vuole capire qualcosa in più al di là dei dati ufficiali, bisogna bussare alla porta della Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), un centro di ricerca e informazione sulla situazione della sanità in Italia attivo dal 1996. Il presidente Nino Cartabellotta, 55 anni, palermitano, medico specializzato in gastroenterologia e medicina interna, è tra gli esperti più autorevoli di sanità e ricerca.Che evoluzione sta avendo il Covid in base al vostro monitoraggio?«Siamo nella fase di circolazione endemica del virus, in cui l'aumento dei focolai determina la progressiva crescita dei nuovi casi settimanali. Da 8 settimane consecutive i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e l'incremento dei casi “attualmente positivi". Dai 1.408 nuovi casi della settimana 15-21 luglio siamo passati ai 10.907 di quella 16-22 settembre, con il progressivo aumento dei casi attualmente positivi che da fine luglio sono quasi quadruplicati, da 12.482 a 47.718 il 25 settembre. Questo si riflette gradualmente sui pazienti ricoverati con sintomi (da 732 a 2.737) e in terapia intensiva (da 40 a 244)».La crescita dei contagi si può configurare già ora come una «seconda ondata»?«Per chi teme di rivedere le scene drammatiche di marzo-aprile, la risposta è sicuramente no; se invece intendiamo un progressivo incremento dei contagi che si riflette gradualmente sui ricoveri e sulle terapie intensive, la seconda ondata di fatto è già in atto. Tuttavia, non potrà esserci alcun effetto sorpresa per la sanità e per la società civile, allora totalmente impreparate di fronte al violento tsunami, di cui non abbiamo mai conosciuto i prodromi. Oggi la sorveglianza epidemiologica monitora continuamente la risalita della curva, i posti letto ospedalieri e di terapia intensiva sono stati potenziati, le strutture sanitarie dispongono di percorsi Covid e abbiamo ampia disponibilità di mascherine e dispositivi di protezione individuale».L'aumento dei positivi è dovuto al maggior numero di tamponi effettuati o ci sono anche altre ragioni?«Da un lato consegue a un generale incremento dei casi testati, dall'altro all'aumento del rapporto tra positivi e casi testati: dallo 0,8% della settimana 15-21 luglio siamo passati al 2,8% di quella 16-22 settembre. Ovvero, cerchiamo di più il virus, ma la sua circolazione è aumentata».Dove avvengono i contagi? Nei luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto, nelle scuole, nelle case?«Per oltre il 75% in ambito familiare, come dimostrato indirettamente dal progressivo aumento dei ricoveri nelle ultime settimane e dalle dinamiche dell'età mediana dei contagiati. Questa infatti si è ridotta da oltre 60 anni nei primi mesi dell'epidemia sino a sotto i 30 nelle settimane centrali di agosto. Quindi, nelle ultime settimane è risalita a circa 45 anni, dimostrando che i giovani asintomatici in ambito familiare contagiano persone anziane e fragili che sviluppano sintomi e possono necessitare di ricovero ospedaliero, o addirittura in terapia intensiva». La diffusione è tutta colpa dei vacanzieri o dei giovani che hanno affollato le discoteche?«Dopo la riapertura del 3 giugno è montata un'onda di ingiustificato ottimismo, complici la bella stagione, la voglia di libertà, la stabilizzazione del numero dei nuovi casi (che riflettevano ancora il parziale lockdown), oltre che a causa di alcuni messaggi fuorvianti del mondo medico-scientifico che hanno portato ad abbassare troppo la guardia. E con il via libera alla movida e alla riapertura delle discoteche abbiamo dato una notevole mano al coronavirus. Inevitabilmente l'apertura della mobilità interregionale ha contribuito a una diffusione del virus che nelle regioni del Sud, grazie al lockdown, aveva circolato pochissimo. Infatti, meno dell'1% della popolazione aveva sviluppato anticorpi».È cambiato il virus in questi mesi?«Assolutamente no: semplicemente oggi esploriamo la parte sommersa dell'iceberg, mentre in primavera, in assenza di attività di screening per scovare gli asintomatici, potevamo intravederne solo la punta, ovvero i soggetti più gravi e ospedalizzati. Il virus è sempre lo stesso, stiamo solo vivendo una fase diversa dell'epidemia perché dal 3 giugno, con ripresa della mobilità interregionale e riapertura dei confini, siamo di fatto “ripartiti dal via", come al gioco dell'oca». Dovremmo aumentare il numero di tamponi come chiede il professor Andrea Crisanti?«Assolutamente sì. Il potenziamento del sistema di “testing & tracing" è una strategia indispensabile per contenere la seconda ondata ed evitare il sovraccarico dei servizi sanitari, prima territoriali e poi ospedalieri». C'è da attendersi un peggioramento con l'arrivo dell'autunno?«Molte variabili non lasciano ipotizzare alcuna flessione della curva dei contagi: dalla riapertura delle scuole all'aumento della circolazione dei virus respiratori nella stagione invernale; dal continuo incremento dei casi in Paesi senza restrizioni di ingresso in Italia, alla convivenza tra coronavirus e influenza stagionale; dalla vita in ambienti chiusi e su mezzi pubblici più affollati, alla ventilata riapertura degli stadi».Perché in rapporto ai Paesi confinanti l'Italia registra meno casi?«Perché in Italia, rispetto ad altri Paesi europei, abbiamo attuato un lockdown tempestivo, rigoroso e prolungato, oltre a riaperture più graduali. Questo ci ha conferito un grande vantaggio e ha facilitato il tracciamento dopo le riaperture, visto il numero limitato di nuovi casi e lo svuotamento degli ospedali. Sui comportamenti individuali, narrative a parte, non ci sono evidenze scientifiche». Dovremmo dimezzare la quarantena come hanno fatto in Francia?«Se accettiamo di “rilasciare" un numero - non definibile con precisione - di contagiati sì, ma sicuramente non è il momento più opportuno visto che siamo in fase di risalita della curva epidemica». Come mai la Lombardia è sempre la prima regione italiana per numero di casi anche se i tragici focolai di Alzano e Nembro sono spenti?«Perché ci vivono 10 milioni di persone. Parametrando i contagi a 100.000 abitanti la Lombardia, al 25 settembre, è al settimo posto per casi attualmente positivi».E quali sono le regioni che oggi presentano il maggior numero di contagi in rapporto alla popolazione?«Nell'ordine Liguria, Lazio, Sardegna, Emilia Romagna e le Province autonome di Trento e Bolzano».Il Servizio sanitario nazionale è in grado di reggere l'urto di una recrudescenza dei contagi? Che cosa bisognerebbe fare per migliorare la capacità del Ssn di affrontare il perdurare della pandemia?«La gestione della prima fase della pandemia, al di là della violenza con cui si è abbattuta nei vari territori, ha risentito inevitabilmente del modello organizzativo dei differenti servizi sanitari regionali: è evidente che la chiave del successo, al di là dell'incremento dei posti letto in terapia intensiva, è il potenziamento del territorio. La tempestività nell'identificazione dei contagi, nel tracciamento dei loro contatti e nell'isolamento domiciliare è cruciale per tenere sotto controllo la risalita della curva epidemica. Se il sistema di tracciamento va in tilt, gli ospedali si riempiranno rapidamente».Avete un monitoraggio delle misure adottate dalle regioni? Sono aumentati i posti nelle terapie intensive e si è realizzata una maggiore presenza sul territorio?«Gli indicatori del decreto ministeriale 30 aprile 2020 sul monitoraggio della fase 2 non sono pubblici, quindi non è possibile effettuare alcuna analisi indipendente sulla quasi totalità dei 21 indicatori previsti, la maggior parte dei quali documentano proprio gli aspetti relativi alla governance dei processi sanitari».Ci sono già segnali di sovraccarichi ospedalieri? Le Regioni hanno imparato la lezione della prima ondata? «I numeri sono ancora bassi e al momento non risultano segnali di sovraccarico dei servizi ospedalieri, ma il trend in costante aumento impone di mantenere la guardia molto alta, soprattutto in alcune Regioni. In particolare al 25 settembre, i tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale (4,9) sono in Liguria (10,4), Lazio (10,2), Sardegna (8), Campania (7), Puglia (5,4) e Sicilia (5)».Si parla di test rapidi da fare nelle scuole e nei luoghi di lavoro: perché in Italia non si fanno?«Nel variegato panorama degli innumerevoli kit diagnostici, solo i tamponi rapidi rappresentano al momento l'unica alternativa. Tutti gli altri test hanno percentuali troppo elevate di falsi negativi, o non sono point-of-care, ovvero fattibili “sul posto" perché richiedono un laboratorio di riferimento».Le persone più a rischio o che muoiono in maggior numero sono sempre anziani già debilitati da altre patologie?«Nel bollettino dell'Istituto superiore di sanità vengono riportati i decessi cumulativi da inizio epidemia con data di nascita, sesso e numero di patologie concomitanti. Ma non vengono differenziati per periodi temporali, per cui è impossibile identificare quelli più recenti».Il professor Pierluigi Lopalco diventerà assessore in Puglia mentre il professor Crisanti si è detto vicino al Pd. Che ne pensa dei virologi che si buttano in politica?«Non amo mettere in moto i neuroni per occuparmi dei fatti altrui».