2018-11-29
La scuola cinese creata per crescere veri uomini
«Sono un uomo! Sono un vero uomo! Sono la spina dorsale del mio Paese». A proclamare a voce alta queste qualità, con schiena dritta, sguardo fermo e mano poggiata sul cuore, sono bambini dai 7 ai 12 anni iscritti al Club dei veri uomini, una scuola sperimentale cinese decisa a riconciliare i piccoli cinesi con il proprio genere maschile, smettendo di infondere loro insicurezze e complessi di inferiorità. Mentre scrivo, mi par di vedere i sorrisini di superiorità e compatimento che la cosa susciterà in molti europei illuminati, sempre pronti a rimproverare al resto del mondo di essere irrimediabilmente retrogrado. Però si sbagliano, perché mentre loro fanno sorrisini e coltivano i loro sensi di superiorità, la Cina è nel frattempo diventata la seconda potenza mondiale, sempre più vicina alla prima, gli Stati Uniti. E le trovate cinesi in campo educativo (come già quelle in campo economico, e tecnico) andrebbero forse osservate con più umiltà e attenzione. Come ha fatto perfino un grande quotidiano internazionale come il New York Times (non proprio il primo del mondo per umiltà ), piazzando il Club dei veri uomini in prima pagina. Che è anche, giornalisticamente, un modo come un altro per affrontare un argomento scottante e addirittura pericoloso in Occidente, con la scusa di raccontare cosa fanno quei burloni di cinesi. Il problema di far diventare uomini i maschi, evitando che crescano come ragazzine fragili e piene di paure (rischio che le bambine corrono molto meno, o per nulla) sono soprattutto gli occidentali. Che catalogando le antiche e ben note caratteristiche di genere come «pregiudizi sessisti» e «strategie discriminatorie», hanno fortemente indebolito le ultime due generazioni di maschi, con costi gravissimi per l'intera società. I cinesi, che ci guardano da lontano ma ci vedono con la loro millenaria lucidità, e soprattutto riconoscono la puzza delle chiacchiere lontana un miglio, non vogliono correre lo stesso rischio. E danno quindi spazio, attenzione e forse aiuti (non insormontabili ostacoli, come accadrebbe da noi) al fondatore del Club dei veri uomini, il signor Tang Hayan. Il quale, come appunto racconta il New York Times, ha un chiaro obiettivo in testa: preparare questi ragazzini a diventare uomini. Per perseguirlo, come si è visto, non teme gli slogan, ottimi per ficcare in testa una cosa, e del resto i ragazzini non chiedono altro. Le cose chiare li tranquillizzano, tanto quanto quelle confuse li innervosiscono e deprimono. Lo si può quindi vedere impegnato con gli allievi in botta e risposta tipo: «Chi è il migliore?». E loro in coro: «Io». «Chi è il più forte?». «Io sono il più forte!». «Chi sei tu?». «Io sono un vero uomo!». Un'idea, ma chiara. I manuali di piagnisteo che ha raccontato La Verità nell'inchiesta sui libri di testo in Italia l'avrebbero tirata in lungo per pagine e pagine.Fuor di battuta, la questione è molto seria. I cinesi ci sono arrivati quando si sono accorti che i maschi erano sempre meno idonei alla vita militare, e le mamme sempre meno disposte a lasciarli nuotare da soli. Per capire meglio cosa sarebbe successo hanno dato un'occhiata all'Occidente e hanno cominciato a correre ai ripari. Anche perché si sono accorti che i due terzi del maschi andavano male a scuola, rispetto al terzo di inconcludenti fra le femmine.C'era da ricostruire quasi completamente l'autostima maschile, annullata da metodi educativi iperprotettivi che sottraevano ai maschi il loro principale alimento: lo sprezzo del pericolo e la loro disponibilità e entusiasmo a sacrificarsi per gli altri. Senza questi elementi, come millenni di cultura maschile hanno sempre raccontato, la vita dell'uomo non ha interesse. Peng Xiaohui, professore di sessuologia all'Università centrale normale di Cina, ha chiarito: «Cancellare le caratteristiche di genere dell'uomo che non teme la morte e le avversità equivale al suicidio di una nazione».
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