2020-11-26
La «salute» è soltanto una trappola per rubarci lo spirito
Giorgio Agamben (Getty images)
In un nuovo libro il filosofo Giorgio Agamben torna a parlare dell'emergenza Covid. Svelandone con forza il lato autoritario.A che punto siamo? L'epidemia come politica (Quodlibet) - un pamphlet che ha fatto incrociare le spade a molt - il filosofo torna a fronteggiare il coronavirus. Lo fa con un tono diverso: poetico, a tratti; profetico, per lo più. La casa - cioè l'Italia, l'Europa, l'Occidente - sta bruciando, constata Agamben, ma il catastrofismo in stile ecologista (vedi il bestseller di Greta Thunberg) non c'entra nulla. Siamo piuttosto dalle parti di Ezra Pound che osservava «il naufragio d'Europa». Una catastrofe che la situazione emergenziale rende ancora più evidente. «La cecità è tanto più disperata, perché i naufraghi pretendono di governare il proprio naufragio, giurano che tutto può essere tenuto tecnicamente sotto controllo, che non c'è bisogno né di un nuovo dio né di un nuovo cielo - soltanto di divieti, di esperti e di medici. Panico e furfanteria». Ecco dove siamo precipitati: nell'autoritarismo sanitario, malattia senile di quello che dovrebbe essere il mondo libero. «Una cultura che si sente alla fine, senza più vita, cerca di governare come può la sua rovina attraverso uno stato di eccezione permanente», scrive il filosofo. «La mobilitazione totale nella quale Jünger vedeva il carattere essenziale del nostro tempo va vista in questa prospettiva. Gli uomini devono essere mobilitati, devono sentirsi ogni istante in una condizione di emergenza, regolata nei minimi particolari da chi ha il potere di deciderla. Ma mentre la mobilitazione aveva in passato lo scopo di avvicinare gli uomini, ora mira a isolarli e a distanziarli gli uni dagli altri». Nello stato di emergenza non siamo soltanto distanti e isolati: non siamo più uomini, o comunque non lo siamo del tutto. Siamo ridotti a macchine, ci viene detto che dobbiamo preservare l'esistenza biologica, cioè il mero funzionamento, costi quel che costi. «È come se il potere cercasse di afferrare a ogni costo la nuda vita che ha prodotto e, tuttavia, per quanto si sforzi di appropriarsene e controllarla con ogni possibile dispositivo, non più soltanto poliziesco, ma anche medico e tecnologico, essa non potrà che sfuggirgli, perché è per definizione inafferrabile», dice Agamben. «Governare la nuda vita è la follia del nostro tempo. Uomini ridotti alla loro pura esistenza biologica non sono più umani, governo degli uomini e governo delle cose coincidono». L'evaporazione dell'umanità si intuisce subito, basta guardarsi in faccia. «Il volto è la cosa più umana, l'uomo ha un volto e non semplicemente un muso o una faccia, perché dimora nell'aperto, perché nel suo volto si espone e comunica. Per questo il volto è il luogo della politica. Il nostro tempo impolitico non vuole vedere il proprio volto, lo tiene a distanza, lo maschera e copre. Non devono esserci più volti, ma solo numeri e cifre. Anche il tiranno è senza volto». Già: l'oppressione si avverte, ma il manovratore si nasconde fra le foreste d'acciaio della burocrazia, le responsabilità si disperdono in mille rivoli fra questo e quel commissario, fra lo Stato e le Regioni, fra chiunque possa farsi carico di una fetta di colpa. Dunque ci ritroviamo soli, schiacciati, privi di una vita vera e piena. E anche chi dovrebbe guidarci o almeno fornirci una prospettiva differente, vacilla. «La Chiesa era in realtà solidale non della salvezza, ma della storia della salvezza e poiché cercava la salvezza attraverso la storia, non poteva che finire nella salute. E quando il momento è venuto, non ha esitato a sacrificare alla salute la salvezza», nota amaramente Agamben. Nelle parole del filosofo «l'emergenza Covid» diviene una sorta di punto terminale di un processo iniziato ormai decenni fa. L'ossessione per la sicurezza, per la conservazione del corpo, la fede cieca nella tecnica che ci porta a credere di poter misurare anche ciò che non è misurabile... Tutto questo ci sta appunto conducendo al più spaventoso dei naufragi, alla più inaudita delle perdite. Yukio Mishima, lo scrittore giapponese sacrificatosi con il seppuku mezzo secolo fa (come ha ricordato Marcello Veneziani, l'anniversario cadeva ieri), pose ai soldati riuniti ad ascoltarlo, poco prima di morire, una domanda fatale: «Avete tanto cara la vita da sacrificarle l'esistenza dello spirito?». Che è come dire: volete rinunciare allo spirito in nome della «nuda vita», di un'esistenza da cose e non da uomini? Davvero siete disposti a cedere la vostra anima in nome di una esistenza «sicura» (che poi è un'illusione, una finzione)? Ecco che cosa stiamo perdendo. Non, banalmente, la «libertà», ma lo spirito. Dice Agamben, mistico: «Che l'anima e il corpo siano indissolubilmente congiunti - questo è spirituale. Lo spirito non è un terzo fra l'anima e il corpo: è soltanto la loro inerme, meravigliosa coincidenza. La vita biologica è un'astrazione ed è questa astrazione che si pretende di governare e curare». Siamo corpo e spirito insieme, e nessuno ci può chiedere di rinunciare a una delle due componenti.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)