2025-08-20
La Ronzulli chiede: «Parlino gli esperti». Ma è lei che mette il bavaglio ai medici
La forzista giustifica l’epurazione di due scienziati in nome della «scienza». E non riesce a cogliere la contraddizione.Ha perfettamente ragione la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli quando dice alla Stampa che «l’obiettivo di una commissione come il Nitag deve essere quello di operare con rigore scientifico e indipendenza. La scienza», teorizza Ronzulli, «è basata sulle evidenze e non sulle opinioni. La sicurezza e l’efficacia delle campagne vaccinali devono poggiare su basi scientifiche solide, riconosciute e condivise dalla comunità medico-scientifica internazionale». Ciò che l’illustre esponente di Forza Italia finge di non sapere è che finora tutti coloro che hanno gestito le campagne vaccinali hanno scientemente ignorato le evidenze scientifiche, i dati, gli studi e persino il buonsenso. Motivo per cui non è solamente opportuno, ma pure necessario che in qualsiasi organismo sanitario pubblico vi siano persone dotate si senso critico e lucidità, come sono Paolo Bellavite e Eugenio Serravalle. I quali però - come noto - sono stati banditi dal Nitag, sciolto proprio per non consentire ai due medici di esprimersi.Dice ancora, a ragione, Licia Ronzulli che «viviamo in un periodo in cui la disinformazione è molto diffusa e pericolosa. Era giusto e doveroso, dunque, sgombrare il campo da ogni ambiguità, per non minare la fiducia collettiva nel sistema sanitario. Credo sia fondamentale che chi siede in organismi così delicati abbia una storia di coerenza con i dati scientifici». Di nuovo tutto vero, solo che la disinformazione l’hanno fatta quelli per cui la politica azzurra simpatizza. Nella discussione sui vaccini il campo avrebbe dovuto essere sgomberato da ambiguità, conflitti di interessi e segrete aspirazioni politiche molti anni fa, e ovviamente non è stato fatto. In compenso, si continua a insistere con l’ideologia, con i luoghi comuni graditi a Pfizer secondo cui il vaccino ha salvato milioni di vite, ignorando i fatti emersi con prepotenza ormai da fin troppo tempo.Sembra che per una buona fetta di politici, in primis il ministro della Salute Orazio Schillaci, il tempo non sia mai trascorso. Di sicuro non è trascorso per Matteo Bassetti, che tra un servizio di gossip e l’altro ha denunciato di aver ricevuto minacce di morte da presunti nazisti no vax, i quali gli avrebbero scritto: «Siamo nazifascisti di destra vera. Ti uccideremo presto perché sei un vaccinatore infame». Posto che qualsiasi minaccia è ingiustificabile e va condannata, l’interpretazione che ne offre Bassetti è irricevibile: «Sembra di essere tornati indietro di 4 anni», dice. «Perché? Quando la politica e i giornali infiammano il dibattito scientifico invadendo il campo altrui, questi sono i risultati. A farne le spese siamo noi medici e scienziati - che difendiamo i vaccini dagli attacchi arroganti e incompetenti della politica e dei vari guru e sciamani di turno». Il nodo è che il «campo altrui» è in verità il campo di tutti, dato che le politiche sanitarie impattano sulla vita di ciascuno e chiunque ha diritto a formarsi una idea in merito. Affermare, come si fa da troppo tempo, che esprimere una visione diversa da quella (politica e ideologica) dominante fomenti la violenza è falso, e serve soltanto a impedire un dibattito serio e sereno su temi centrali per la vita di ciascuno. Su un punto, in ogni caso, Bassetti ha ragione: si fanno ancora gli stessi discorsi di quattro anni fa, con l’unica differenza che oggi non c’è nemmeno la scusa dell’incertezza dovuta alla pandemia in corso.«Quando si parla di salute pubblica e di vaccini bisogna affidarsi solo alla scienza e a chi ha competenze riconosciute», dice ancora Licia Ronzulli. «Non potranno esserci esponenti portatori di visioni che mettono in dubbio uno degli strumenti più efficaci di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Il Nitag non deve essere visto come un tavolo di confronto fra diverse opinioni, né come espressione di varie posizioni politiche individuali dei partiti, ma come uno strumento tecnico di lavoro». E a proposito della composizione del futuro comitato, la Ronzulli aggiunge: «Deve nascere con serenità, perché il suo compito è troppo delicato per essere messo in discussione da logiche di scontro. Parliamo di un organismo tecnico, che deve basarsi su competenze qualificate, indipendenza e credibilità scientifica. È questo che garantisce autorevolezza alle decisioni e genera fiducia nei cittadini. [...] Non penso che nella coalizione ci sia qualcuno che voglia difendere posizioni antiscientifiche. Su temi delicati come salute e vaccinazioni credo che tutti abbiano ben chiaro quanto sia fondamentale affidarsi alla competenza e all’autorevolezza degli esperti, senza che vengano legittimate posizioni che non trovano riscontro nella comunità scientifica internazionale».Viene da chiedersi per prima cosa sulla base di quale autorevolezza scientifica Forza Italia si permetta di chiedere la testa di questo o quel medico e di mettere dei paletti per escludere una posizione o l’altra. Dall’alto di quali titoli è successi in campo medico gli azzurri parlano ancora? Vogliono che sui vaccini si esprimano solo gli esperti? Bene, inizino allora a tacere.Il fatto è che ormai non si tratta nemmeno più di garantire il pluralismo e di accettare visioni diverse in una commissione pubblica. Si tratta semmai di affermare certezze sui vaccini Covid che sono note e comprovate (effetti avversi compresi) e che troppi politici e professionisti ancora insistono a negare. Ad avere screditato la scienza, in questi anni, sono stati proprio tutti coloro che hanno affermato di avere la verità in tasca, quando in realtà hanno semplicemente provocato un disastro dietro l’altro, con un pizzico di discriminazione in aggiunta tanto per gradire. Invece di bandire i Bellavite e i Serravalle dai comitati, bisognerebbe semmai impedire l’accesso a tutti coloro che dal 2020 a oggi hanno proferito una assurdità dopo l’altra, rendendosi complici di una inaudita forma di razzismo scientifico e sociale. Invece gli stessi che hanno prodotto danni enormi, talvolta in cattiva fede, hanno ancora la faccia tosta di parlare e di attaccare chi non agisce come loro. Sono questi i veri nemici della scienza: questi politici e scienziati il cui unico obiettivo è censurare gli altri per coprire l’enormità di errori commessi fino a qui, e per proteggere il proprio fondoschiena.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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