
La denuncia al «Times» di 5 ex dipendenti della clinica inglese per baby trans: «Bisogna fermare gli esperimenti sui bambini».Un «esperimento sui bambini». Così il Times, con un titolone in prima pagina, definiva ieri le terapie per il blocco della pubertà e la transessualità infantile, somministrate da una clinica londinese, Gender identity development service (Gids). Un ente che fa parte del servizio sanitario nazionale e che, dunque, «cura» la disforia di genere dei minori con i medicinali che interrompono lo sviluppo ormonale, a spese dei contribuenti inglesi. Il quotidiano della capitale britannica ha dato voce alla rivolta di cinque ex membri dello staff del Gids che si sono dimessi dai loro incarichi (negli ultimi tre anni, in 18 hanno lasciato la clinica). Una dottoressa ha denunciato che questo «trattamento sperimentale» viene somministrato «non solo a dei bambini, ma a dei bambini estremamente vulnerabili, che hanno sofferto di problemi mentali, hanno subito abusi, traumi in famiglia», o hanno ricevuto insulti omofobi a scuola, convincendosi che la soluzione ai loro problemi sia il cambio di sesso.Il personale medico, anziché analizzare prudentemente ciascun caso, liquida i pazienti con «sedute di circa tre ore», al termine delle quali spesso raccomanda di incominciare la somministrazione di farmaci che bloccano la pubertà. Il più piccolo di questi pazienti aveva tre anni. È inconcepibile anche solo valutare l'ipotesi di far cambiare sesso a un bimbo di tre anni...Per i clinici interpellati dal Times, questo «esperimento dal vivo» viene condotto sotto la pressione delle famiglie, che magari confidano in una soluzione prêt-à-porter per i problemi dei loro piccoli, ma soprattutto delle associazioni Lgbt. Tre sigle, in particolare: Mermaids, Gendered intelligence e Gender identity research and education society. Un ex dipendente del Gids ha spiegato al giornale britannico che «tutte e tre sono in grado di mettersi in contatto con i dirigenti della clinica e di influenzarli». Tra l'altro, la clinica per la transessualità infantile non si preoccupa neppure di esplorare l'ipotesi che questi giovani siano semplicemente in preda alla confusione: a volte, al Gids si sono presentate ragazzine che ammettevano di essersi innamorate della loro migliore amica e che poi, navigando su Internet, avevano «apito di non essere omosessuali, ma trans». In altre occasioni, i minorenni volevano cambiare sesso per evitare di essere bullizzati a scuola in quanto gay. Al punto che una delle dottoresse sentite dal Times ha dichiarato: «Credo che in futuro ci saranno decine di adulti che vorranno invertire la transizione di genere, che sentiranno che i loro corpi sono stati mutilati e che ci chiederanno: “Perché mi avete lasciato fare tutto questo?"». Una «atrocità», l'ha definita l'ex dipendente del Gids, aggravata dalle scarsissime evidenze scientifiche sull'affidabilità di tali trattamenti.È un concetto sul quale, dalle colonne del giornale britannico, è tornato a insistere il professor Carl Heneghan, autore di una ricerca pubblicata sul British medical journal, nella quale veniva evidenziato che le terapie farmacologiche per l'interruzione della pubertà sono tutt'altro che sicure. Al contrario, secondo il docente di medicina basata sull'evidenza all'Università di Oxford, rimane «un gran numero di domande senza risposta che includono l'età, la reversibilità, eventi avversi, effetti a lungo termine sulla salute mentale, la qualità della vita, la densità minerale ossea, l'osteoporosi in età avanzata». Sul Times di ieri, Heneghan ha espresso giudizi durissimi. «Le prove» sull'affidabilità dei trattamenti clinici somministrati dal Gids «derivano da studi limitati, sono retrospettive anziché orientate ai potenziali effetti futuri. Quegli studi, inoltre, hanno perso per strada un considerevole numero di bambini, mancano di gruppi di controllo e non includono studi clinici randomizzati controllati. Ciò, insieme alla presenza di risultati soggettivi e alla carenza di mezzi per rendere le ricerche imparziali, concorre a rendere le prove raccolte insufficienti a sostenere una decisione adeguatamente informata». Cristallino: la scienza, quella invocata dai competenti come grimaldello per screditare i populisti e i «medievali», non fornisce alcuna assicurazione che le modernissime medicine per la transessualità infantile non avranno effetti a lungo termine non solo sulla salute fisica, ma pure su quella mentale dei pazienti. E in assenza di evidenze, non ci può essere alcun consenso informato: lo aveva già denunciato David Bell, un ex dirigente del Gids. Peraltro, come ha spiegato il professor Heneghan, nelle terapie per il blocco della pubertà si usano spesso farmaci off label, cioè al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti ai controlli. I bambini, in pratica, non solamente vengono avviati ai trattamenti dopo brevi colloqui, senza che venga messa in discussione l'appropriatezza della loro scelta di avviare il percorso verso la transessualità (percorso che resta reversibile fino a 16 anni, quando possono cominciare anche gli interventi chirurgici definitivi); non solamente non vengono messi nelle condizioni di esprimere un consenso adeguatamente informato, viste le pressioni delle famiglie e la propaganda degli attivisti; ma vengono letteralmente usati come cavie. «A mio avviso», ha commentato Heneghan, «si tratta di un esperimento dal vivo sui bambini non regolato. Quel che mi sorprende è che abbiamo affidato la responsabilità di compiere scelte che cambiano la vita a un'unica clinica, a un pugno di dottori, senza linee guida a livello nazionale». E dietro questo tremendo business, che da 50 pazienti nel 2010 è arrivato a coinvolgerne ben 2.519 nel 2018, dietro «la corsa ad accettare e celebrare ogni nuova identità transgender», affiora addirittura l'ombra inquietante della violenza sui minori. Una delle ex dottoresse del Gids, infatti, ha rivelato al Times: «Una volta, a premere per la somministrazione dei bloccanti della pubertà era un padre. A ripensarci oggi, temo che quel padre fosse pedofilo e il figlio fosse la vittima dei suoi abusi». Un'atrocità. Un abominio.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.





