2020-02-10
La riforma della giustizia s’è ridotta a un emendamento
Finirà nel Milleproroghe il compromesso sulla prescrizione. Il Bullo annuncia una sua legge, ma è pronto a rientrare nei ranghi.A meno di sorprese, sulla prescrizione non ci sarà un decreto legge ad hoc. Dev'essere sembrato troppo pure ai giallorossi: o forse l'ipotesi si è arenata quando si è trattato di trovare qualcuno che fosse in grado di telefonare al Quirinale per chiedere la firma necessaria all'emanazione di un simile decreto, di fatto coinvolgendo il Colle nel pasticcio, con tanto di impronte digitali.Dunque, la maggioranza pare decisa a ripiegare su un emendamento (basato sulla proposta del deputato di Leu Federico Conte) al Milleproroghe, che questa settimana arriverà in Aula alla Camera, e sarà poi blindato dal voto di fiducia. E in cosa consiste la cosiddetta «mediazione»? Uno strano meccanismo a tappe e a casi: se sei assolto in primo grado, l'orologio della prescrizione cammina; se invece sei condannato in primo grado, si ferma; se sei condannato anche in secondo grado, si blocca del tutto; se infine sei assolto in secondo grado dopo una condanna in primo, dovresti avere una sorta di recupero (torneremo alla fine su questo aspetto). Restano tuttavia quattro pesanti perplessità. Primo. È saggio che un intervento così penetrante sui meccanismi del processo penale avvenga attraverso un emendamento nascosto nelle pieghe del Milleproroghe? Secondo. Resta un enorme sospetto di incostituzionalità della soluzione prospettata. L'articolo 27 comma 2 della Costituzione recita infatti che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». La Costituzione stabilisce cioè che la presunzione di innocenza valga fino al compimento del terzo grado: l'idea di sminuzzare questa presunzione di innocenza, di tagliuzzarla, a seconda delle assoluzioni o delle condanne ricevute in primo o in secondo grado, appare una fortissima lesione del principio sancito dalla Carta. E, secondo molti esperti, non si vede come l'emendamento possa resistere a uno scrutinio di costituzionalità davanti alla Consulta. Il terzo punto è tutto politico, e riguarda Matteo Renzi, che ieri non ha fatto una figura brillante. Aveva promesso fuoco e fiamme, una battaglia di principio, uno scontro campale. E invece? Ha già fatto capire che i suoi la fiducia la voteranno, e che lui presenterà un suo successivo disegno di legge. I renziani di stretta osservanza dicono che la sfida finale è solo rinviata al Senato, dove effettivamente l'eventuale venir meno della pattuglia renziana creerebbe grattacapi alla maggioranza (cosa che numericamente non avverrebbe a Montecitorio). E in questo senso va una dura dichiarazione di Ettore Rosato, che ha negato qualunque retromarcia. Ma i più scettici sull'attitudine di Renzi a muoversi sulla base dei princìpi vedono già un riallineamento alla maggioranza. Renzi voleva tirare la corda per connotare in senso garantista la sua Italia viva, ma non al punto di spezzarla, mettendo a rischio la durata della legislatura: le elezioni fanno paura all'ex premier. E - elezioni a parte - gli fa ancora più paura l'ipotesi di essere tagliato fuori dalla torta delle 400 nomine che i partiti di maggioranza si spartiranno. Guai se la sua quota venisse - per così dire - «prescritta», a causa di un dissidio politico non ricomposto. Il quarto punto ha a che fare con il caso che evocavamo all'inizio. Poniamo che il signor Rossi sia stato condannato in primo grado e che poi, con pesante ritardo, abbia subìto un processo d'appello (con relative ansie, spese, famiglia rovinata, impresa in ginocchio, e così via), al termine del quale venga finalmente assolto. Il lodo Conte implica che abbia diritto a un qualche recupero della prescrizione. Ma, di grazia, di che recupero si tratta? Una possibilità di «recupero» sui tempi ci sarebbe soltanto nel caso in cui l'accusa si accanisse su di lui e facesse ulteriore ricorso. In mancanza di questo, si tratterebbe solo di un'altra beffa nei confronti di un innocente infilato nel tritacarne della giustizia.