2022-04-12
La riforma del Fisco di Draghi si è vista soltanto nei suoi discorsi
Mario Draghi (Imagoeconomica)
Insediandosi a Palazzo Chigi aveva fatto promesse e acceso la speranza di giungere a misure concrete. Poi però si sono visti solo qualche provvedimento di facciata e delle briciole: qui servono 30 miliardi.Sono trent’anni almeno che si parla della necessità di una riforma fiscale e sono trent’anni che non si fa. Detto, non fatto. E sono trent’anni che il ceto medio-basso paga le tasse per tutti. Un’ingiustizia totale e un sistema fiscale certamente incostituzionale, infatti ognuno dovrebbe pagare in relazione a quello che può e non a quello che deve. Chi ha di più dovrebbe pagare di più e chi ha di meno dovrebbe pagare di meno. E invece chi ha di più non sempre paga di più e chi ha di meno paga sempre di più di chi ha di più. Sono due principi costituzionali contenuti nell’articolo 53 della Costituzione, che si chiamano principio di capacità contributiva e principio di progressività del sistema. Sarebbe già un passo in avanti enorme, più di quello dell’uomo sulla Luna, se si ideasse e poi si facesse una riforma fiscale tenendo semplicemente conto di questi due principi. Sarebbe già ampiamente sufficiente perché si eviterebbe, da una parte, di far pagare ai ceti medio-bassi un carico fiscale talmente oneroso da toglier loro i quattrini necessari a soddisfare le esigenze essenziali. Dall’altra si distribuirebbe in modo più equo il carico fiscale a seconda delle possibilità di ognuno, in modo che ogni contribuente (famiglia o impresa che sia) sarebbe tenuto a pagare le tasse nella misura giusta, cioè non tale da opprimerlo fino a rendere la vita impossibile e porlo davanti al bivio sempre più frequente: o pagare le tasse o andare avanti. Mario Draghi, presidente del Consiglio, nel discorso inaugurale del suo mandato col quale chiese la fiducia al Parlamento, almeno a parole, sembrò partire col piede giusto. Sostenne infatti che in Italia, in campo fiscale, non era più il tempo di fare interventi tappabuchi, ma di adottare dei provvedimenti fiscali e una riforma tributaria complessiva sull’esempio di quella del ‘51 di Ezio Vanoni e quella di inizio anni Settanta di Bruno Visentin. Sostenne poi che il governo avrebbe adottato il metodo scandinavo, non nel senso che avrebbe fatto le riforme su di una slitta trainata dalle renne, ma nel senso di ascoltare le associazioni, i sindacati e tutte le categorie produttive e rappresentative di interessi per poter avere un quadro chiaro delle necessità e poi fare una riforma adeguata e in risposta alle richieste fondamentali della società italiana. Per la verità non occorreva rifarsi al modello scandinavo, bastava rifarsi al modello Vanoni del 1951, che il professore valtellinese fece dopo un massacrante giro di Italia nel quale propose, discusse, recepì istanze, si rese sconto dei bisogni e solo successivamente mise per iscritto una riforma totalmente a favore del ceto medio-basso. Di tutto questo né Mario né Draghi hanno fatto una beata mazza. Si sono ascoltati fra di loro e tanto gli è bastato. E se il buongiorno si vede dal mattino la loro idea di riduzione del carico fiscale è emersa con chiarezza, per qualità e quantità, nella manovra votata a fine dello scorso anno e che vale nell’anno in corso. Non hanno ascoltato il Paese come fece Vanoni, hanno ascoltato i partiti e hanno dato un pezzettino a uno e un pezzettino all’altro. Ma questo non è il metodo scandinavo, questo è il metodo dello spezzatino con le patate che è tutt’altra cosa. Sono riusciti, alla fine, a concepire e a mettere in atto una riforma che sgrava in media lo stipendio di coloro che guadagnano tra 15.000 e 50.000 euro lordi, circa 30 euro. Come la chiamereste? A noi pare un’offesa soprattutto dopo due anni di Covid e con il morso di una crisi energetica che si faceva sentire già da settembre scorso. Potevano non farlo, sarebbe stato più onorevole e dignitoso. Con questo spirito ci accingiamo a capire cosa sarà fatto con la delega fiscale votata dal Parlamento il 29 ottobre del 2021 e che pone quattro obiettivi fondamentali. Il primo riguarda la riduzione della tassazione sui redditi da lavoro. Se la linea è quella seguita nei provvedimenti adottati per quest’anno, o non ci hanno capito niente o non sanno come fare, o si sono incartati con alcuni degli inutili obiettivi del Pnrr, o stanno per fare come hanno fatto con i sostegni, con i ristori e con i provvedimenti contro il caro bollette: hanno distribuito le briciole. Ma con le briciole non ci si toglie la fame, ci si incazza e basta. Il secondo obiettivo riguarda la semplificazione del sistema. Mah, staremo a vedere. Il terzo obiettivo riguarda la salvaguardia del principio costituzionale della progressività del sistema tributario. Se fanno come hanno fatto a dicembre non solo non lo salvaguardano ma peggiorano la situazione. C’è poi il quarto obiettivo che è un obiettivo eterno: riguarda la riduzione dell’elusione e dell’evasione fiscale. E anche qui vedremo. Quello che è certo è che l’obiettivo fondamentale e irrinunciabile sarebbe quello di ridurre le tasse sul ceto medio-basso e che una riforma minimamente incisiva non può essere inferiore ai 30 miliardi. Al di sotto, trattasi di ventagli usati a mezzogiorno col sole a picco bel mezzo del Sahara.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)