2019-09-19
La renzata non piace a molti porporati. Il motivo è semplice: «Pecca di superbia»
La Cei nutre dubbi sulla scissione dal Pd. Aver mandato a casa Matteo Salvini non basta: l'ex premier è ritenuto troppo spregiudicato. «È superbo». Accompagnato dall'ombra nera di uno dei sette peccati capitali, Matteo Renzi percorre la sua strada politica senza la benedizione della Chiesa. Almeno per ora. La scissione ha sorpreso tutti anche Oltretevere, dove l'ex premier non è mai stato amato. Ma rispettato sì, anche per quel suo destino di vedersi contrapposto all'altro Matteo, Salvini, che alti prelati e porpore percepiscono come il vero anticristo (da una copertina di Famiglia Cristiana in poi). «Il nemico del mio nemico era mio amico», spiega un vescovo che accanto al breviario tiene un manuale di realpolitik. Ma nulla più. Lo strappo di Renzi è visto come un indebolimento del partito di riferimento delle alte sfere vaticane, quel Pd ritenuto affidabile perché portatore - in leader come Dario Franceschini e Paolo Gentiloni - di quei valori cattolici (pacifismo, solidarietà, accoglienza) che derivano dalla lunga onda della democristianità prodiana. E che sul pianeta di Papa Jorge Bergoglio hanno sostituito i principi non negoziabili. Sembrerà strano e un po' fuori dal tempo, ma in politica il punto di riferimento principale delle tonache rimane Romano Prodi, non a caso l'ultimo a riconoscere la leadership di Renzi e il primo a salire sul carro di Giuseppe Conte.Il posizionamento della Chiesa in queste settimane di terremoti è semplice e al tempo stesso articolato. Semplice nell'individuare i nemici: Salvini e il sovranismo euroscettico, contro i quali padre Antonio Spadaro (il gesuita che sussurra al pontefice) ha combattuto una battaglia ideologica da Santa Inquisizione. Semplice nel battezzare gli amici: tutti coloro che, coalizzandosi, hanno contribuito a realizzare il ribaltone. Articolato perché le anime della Chiesa sono molteplici e anche ai vertici della Cei è noto un dato di fatto: sono numerosi i fedeli che, una volta usciti da messa, entrano nell'urna e votano Lega. Una divaricazione importante che nelle sacrestie ha il suo peso e che induce alla prudenza.In ogni caso Renzi non porta con sé il consenso a prescindere della Santa Sede, che si fida incondizionatamente del capo dello Stato, Sergio Mattarella (il suo rapporto personale con Papa Francesco fa la differenza) e che durante la crisi di agosto ha parteggiato per il Conte bis. Il più convinto alleato del premier è il segretario di Stato, Pietro Parolin. La temperanza e la capacità di manovra (i laici la chiamano più prosaicamente ipocrisia) di Conte piacciono, a tal punto che in caso di elezioni il suo profilo sarebbe stato perfetto per guidare il partito del Papa, la Cosa Bianca eternamente in embrione, l'Arca di Noè pronta a imbarcare quel mondo che va da Pierferdinando Casini a Lorenzo Cesa passando per Gianfranco Rotondi. Centrismo puro nel quale gli alti prelati avrebbero visto bene liberal come Carlo Calenda, radicali ammansiti come Emma Bonino e la parte più moderata del Popolo della famiglia. Renzi non c'era e difficilmente ci sarà in futuro. «Troppo superbo, troppo autoreferenziale, antepone sé stesso al bene comune ed è incline alle capriole». Il giudizio è secco, in fondo nessun politico di punta con il nome dell'evangelista riesce a fare proseliti in Vaticano. Il turboriformista di Italia viva induce alla diffidenza non solo per qualche tratto personale, ma perché alcuni passaggi chiave del suo governo furono definiti «troppo laici, troppo provocatori» dalla maggioranza della Conferenza episcopale. Non certo in documenti ufficiali, mai sbilanciarsi. Ma certamente nelle anticamere che contano. Il divorzio breve, la legge Cirinnà e la prepotenza con cui fu imposta al Parlamento non depongono a favore di un giudizio positivo. E la battaglia sul testamento biologico rimane come un peccato originale nel retropensiero di troppi prelati. Quando al posto di Renzi arrivò a Palazzo Chigi il più malleabile Gentiloni - benvoluto Oltretevere dai tempi del Giubileo del 2000 organizzato con l'allora sindaco di Roma Francesco Rutelli - furono in molti a brindare. C'è stato un momento a fine luglio nel quale si era pensato (fra i cattolici militanti questi dettagli contano) che la Chiesa avesse ricucito con l'ex premier: l'intervista più dura di Renzi contro Salvini, quella dell'ennesimo «allarme democratico» fu ospitata da Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Un altro dettaglio non sembrava ininfluente: il commentatore politico più frontale di Civiltà Cattolica, Francesco Occhetta, aveva partecipato alla scuola politica di Renzi. Fuochi d'artificio estivi, il leader «superbo» è stato funzionale per un mese, ma è molto difficile che la Chiesa lo segua sulla strada della scissione. I tempi sono cambiati. Migranti, accoglienza diffusa, interessi di Caritas e Coop cattoliche sono preminenti rispetto alla dottrina. E il Pd del cattolicesimo sociale li difende a spada tratta. Anche la frase più inquietante di Renzi in uscita impressiona poco le tonache: «Se devono cantare Bandiera rossa, allora è meglio che tornino Speranza e D'Alema. Non so se sono più intonati di me, sicuramente sono più adatti». Al tempo di Papa Francesco una Chiesa più rossa non è certo un pericolo, piuttosto un obiettivo.
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