2023-01-24
La Rai obbedisce e piazza Zelensky all’Ariston
Amadeus. Nel riquadro, Volodymyr Zelensky (Ansa)
Viale Mazzini mette i cannoni tra i fiori di Sanremo e concede al presidente ucraino il collegamento col Festival, trasformato in pulpito per l’ennesima richiesta di armamenti che allontanerà la fine del conflitto. La richiesta fatta dall’ex attore a Bruno Vespa.«Mettete dei fiori nei vostri cannoni», cantavano i Giganti al Festival di Sanremo del 1967. Cinquantasei anni dopo, la Rai capovolge completamente il messaggio e sul palco pieno di fiori parcheggia i carri armati e i cannoni di Volodymyr Zelensky. Il presidente dell’Ucraina parteciperà in collegamento al festival canoro nell’ultima serata, quella di sabato 11 febbraio, e si lancerà in un prevedibile spot bellicista, con annessa richiesta di armi con le quali continuare la guerra con la Russia. Dal suo punto di vista, nulla di incomprensibile. Anche se l’orrore della guerra e dei corpi martoriati dai missili e dalle granate stona leggermente con lustrini e canzonette. Inconcepibile, invece, il comportamento della Rai, disposta a farsi palco di Zelensky proprio nella fase più buia e sporca del conflitto, quella dove ogni finestra di dialogo per la pace si è chiusa e ogni giorno si rischia una folle escalation. L’annuncio della partecipazione di Zelensky è stato dato da Bruno Vespa a Domenica In. Che ci fosse una trattativa lo sapeva anche Amadeus, conduttore e direttore artistico del Festival, che ha raccontato tutta la genesi: «Mi ero sentito con Bruno Vespa la settimana scorsa perché lui ha ricevuto una richiesta proprio da Zelensky per essere presente al Festival. Io l’ho chiamato due giorni fa, lui era in viaggio, era in Polonia, e mi ha detto: “Sto andando da Zelensky per l’intervista. Che risposta mi dai e cosa devo dirgli?”». Amadeus ha risposto: «Sono felice di averlo in un collegamento, secondo me è giusto che accada nella serata finale del Festival di Sanremo». Insomma, se le cose sono andate così, e non c’è da dubitarne, la brillante idea è stata del presidente ucraino. In fondo c’è poco da stupirsi perché ha dimostrato fin qui di essere un consumato uomo di spettacolo, che ama vestirsi da soldato e mettere in mostra i bicipiti appena possibile. Con la moglie Olena si è concesso anche un servizio di moda sulle patinatissime pagine di Vogue, ma si trova a suo agio anche nel ruolo di capocomico, quando deve ridicolizzare Vladimir Putin e i capi dell’armata russa. Adesso c’è almeno da sperare che a Sanremo non si metta a cantare (in playback) e si limiti al suo prevedibile comizio. Nessuno pretende che Sanremo sia una manifestazione sganciata dalla realtà, anche se non sarebbe male che rappresentasse un’oasi di tranquillità e di pace, di gioco, di musica e di spensieratezza. A Sanremo si dovrebbe parlare di canzoni e, se proprio si vuole, di look e vestiti. Ma visto che la diretta televisiva unisce ogni anno milioni di telespettatori, perché non sfruttarla sotto altri aspetti? E allora ecco un’infornata mai vista di pubblicità, che per carità fa bene alle casse bisognose della Rai, ed ecco il lancio di iniziative benefiche e qualche testimonianza di un qualche valore civile. Ecco, con il massimo rispetto, Zelensky in mimetica non è né un maestro di strada né il fratello di una vittima di mafia, non è un sopravvissuto ai campi di concentramento e neppure un santone alla Adriano Celentano. Zelensky, come Vladimir Putin, è la guerra. La guerra che va avanti. Una guerra con migliaia di morti, militari e civili, cadaveri ammassati, corpi polverizzati. Una guerra sempre più sporca, anche sotto il profilo degli armamenti. Una guerra che semina dolore e merita rispetto e poco ha a che fare con le paillette di Sanremo. Per tutti questi motivi, anche di fronte al suo popolo che soffre per il conflitto, di fronte alle famiglie che piangono i loro morti, forse Zelensky dovrebbe evitare di fare il piazzista in una manifestazione canora. Tuttavia, se lo fa, è perché ha deciso che «serve alla causa» e in qualche modo può essere compreso.Altro è il discorso visto dalla prospettiva Rai. Zelensky non è un Nobel per la pace (almeno, non ancora) da invitare a Sanremo e alla prima della Scala. Zelensky è il capo di uno Stato in guerra, che noi appoggiamo in vario modo. Con l’ospitata del presidente ucraino, la Rai fa almeno tre operazioni particolari, una più discutibile dell’altra. La prima è che il verbo di Zelensky diventerà, senza contradditorio, il «pensiero giusto» sulla guerra. Per carità, la sua nazione è stata invasa e noi lo abbiamo aiutato com’era giusto che fosse, ma anche gli Stati Uniti chiedono da mesi un maggior impegno per la pace e Zelensky non sembra che si stia dando molto da fare, nonostante, senza la Nato, sarebbe forse durato due mesi. La seconda operazione è collegata alla mancata ricerca della pace e riguarda il riarmo dell’Ucraina: da Sanremo il presidente di Kiev chiederà probabilmente sempre più armamenti agli alleati occidentali, ma così la guerra non finirà mai e salirà di livello. Infine, portare la guerra ucraina al Festival, con uno dei suoi massimi protagonisti, sancisce la spettacolarizzazione della stessa. La guerra che diventa un pezzo dello spettacolo, tra uno spot e un duetto, è l’ultimo oltraggio ai caduti e alla pietà umana. Dalla carne da macello alla carne da share.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)