
Senza fornire alcun dato, la Regione stabilisce che l'intolleranza contro i gay è un allarme sociale. E in un ddl inserisce interventi su famiglie, insegnanti e giornali. Previste anche corsie preferenziali per i lavoratori Lgbt.Sembra paradossale, ma la prima regione italiana ad aver eletto un governatore di orientamento omosessuale, considerata meta gay friendly internazionale, ora scopre di essere minacciata da un'omofobia montante che va fermata a ogni costo. Sono molte infatti le perplessità che suscita negli schieramenti politici il ddl in materia di «discriminazioni e violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere», promosso dalla Regione Puglia.Il testo che porta la firma del presidente, Michele Emiliano, rischia infatti di spaccare la stessa maggioranza di centro-sinistra e si è arenato più volte nei passaggi in commissione. Il 20 settembre si è avuta comunque una nuova accelerazione, con le commissioni congiunte che hanno espresso il parere finanziario positivo. Passaggio obbligato, visto che tra le misure previste c'è anche lo stanziamento di 50.000 euro per l'attuazione delle leggi, ovvero per gli interventi di naturale socioassistenziale e sociosanitaria in favore delle persone Lgbt.Il disegno di legge regionale doveva quindi ottenere l'ok definivo dell'aula la scorsa settimana, ma è stato di nuovo rinviato al consiglio di martedì 30 ottobre, anche se i capigruppo devono ancora confermarlo tra gli ordini del giorno. Nel frattempo sono sempre più vibranti le proteste dell'opposizione e delle sigle pro family pugliesi che denunciano le derive ideologiche, liberticide e discriminatorie del ddl. Mentre i gruppi Lgbt tengono alta la pressione sui consiglieri di maggioranza affinché il provvedimento non finisca di nuovo su un binario morto, alcune sigle di questa galassia hanno perfino invitato tutti i consiglieri regionali a un cena che si terrà mercoledì sera per spiegare le ragioni del ddl. Fatto sta che il testo risultata indigesto anche in ambienti progressisti. Le opposizioni, dal canto loro, sostengono che la legge istituirà un nuovo super cittadino detentore di maggiori diritti e tutele e vedono in essa profili di incostituzionalità. Sfogliando le 13 pagine del testo si nota che l'intervento dell'amministrazione parte dal presupposto che «nonostante una vasta normativa internazionale ed europea», nonché alcuni interventi a livello nazionale, «soprattutto in materia di politiche del lavoro e inserimento professionale, la situazione sociale risulta particolarmente preoccupante a livello internazionale, nazionale, regionale e locale». «Episodi di violenza fisica, incitamento all'odio (spesso tramite la Rete), dichiarazioni di intolleranza», si legge ancora nel ddl, «rappresentano segnali inequivocabilmente allarmanti sulla diffusione delle discriminazioni determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere».Questo clima di intolleranza viene tratteggiato senza fornire un solo dato sui reati di discriminazione commessi in Puglia. Eppure basta consultare i numeri offerti dall'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) del gruppo interforze della polizia e dei carabinieri, per scoprire che non solo i reati di matrice discriminatoria in ambito dell'orientamento sessuale in Italia sono appena poche decine di unità ogni anno, ma che sono anche in netto calo rispetto agli anni precedenti. Più numerose le discriminazioni per credo religioso e per razza o etnia.Tuttavia a provocare una vera alzata di scudi sono i passaggi del ddl che intervengono direttamente sulla scuola, sul primato educativo dei genitori e la libertà di stampa. In particolare l'articolo 3 prevede che «la Regione promuova attività di formazione e aggiornamento per gli insegnanti e per tutto il personale scolastico, nonché per i genitori, in materia di contrasto degli stereotipi di genere e di prevenzione del bullismo motivato dall'orientamento sessuale». Cosa si intenda per stereotipi è tutto da chiarire, in un'epoca in cui a salire sul banco degli imputati sono gli stessi classici delle letteratura e la definizione di famiglia.L'articolo 8 disciplina invece «le funzioni del Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni), prevedendo che tale organismo di garanzia effettui la rilevazione sui contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari». Inoltre, «il Corecom è chiamato a garantire adeguati spazi di informazione e di espressione in ordine alla trattazione delle tematiche di cui alla presente proposta di legge». Perplessità sono poi espresse anche in merito all'articolo 2 che promuove «specifiche politiche del lavoro, di formazione e riqualificazione professionale» per le persone Lgbt.La presidente della commissione Pari opportunità della Regione Puglia, Patrizia Del Giudice, ha definito il provvedimento «obsoleto ed eccessivo», provocando le proteste del mondo arcobaleno pugliese. «Stiamo facendo passare i pugliesi per omofobi», ha detto ancora Del Giudice, spostando poi l'attenzione sull'aumento «dei casi di violenza sulle donne e sui “ragazzi che espatriano per cercare lavoro». Sulla stessa linea il consigliere regionale della Lega, Andrea Caroppo: «Non c'è nessuna emergenza omofobia, per ragioni elettorali si vuole dedicare un provvedimento ad hoc per gli Lgbt, i pugliesi hanno bisogno di altro».Ferma anche l'opposizione di Enzo Congedo (Fdi): «la Puglia è meta prediletta del turismo gay e l'università di Bari ha condotto una ricerca nelle scuole rilevando che non esiste alcun pericolo omofobia».Preoccupazione è stata espressa dal presidente del Family day, Massimo Gandolfini, e dalla coordinatrice pugliese di Generazione famiglia, Manuela Antonacci, che ha guidato diversi flash mob davanti alla Regione e una conferenza stampa con tutti gli esponenti dell'opposizione. Resta il fatto che una legge che ufficialmente si propone di fermare le discriminazioni, avrà forse come unico risultato quello di limitare la libertà di parola di chi sostiene certe posizioni in maniera argomentata nel pieno della legalità e del rispetto.
Francesco Zambon (Getty Images)
Audito dalla commissione Covid Zambon, ex funzionario dell’agenzia Onu. Dalle email prodotte emerge come il suo rapporto, critico sulle misure italiane, sia stato censurato per volontà politica, onde evitare di perdere fondi per la sede veneziana dell’Organizzazione.
Riavvolgere il nastro e rivedere il film della pandemia a ritroso può essere molto doloroso. Soprattutto se si passano al setaccio i documenti esplosivi portati ieri in commissione Covid da Francesco Zambon, oggi dirigente medico e, ai tempi tragici della pandemia, ufficiale tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Di tutte le clamorose notizie diffusamente documentate in audizione, ne balzano agli occhi due: la prima è che, mentre gli italiani morivano in casa con il paracetamolo o negli ospedali nonostante i ventilatori, il governo dell’epoca guidato da Giuseppe Conte (M5s) e il ministro della salute Roberto Speranza (Pd) trovavano il tempo di preoccuparsi che la reputazione del governo, messa in cattiva luce da un rapporto redatto da Zambon, non venisse offuscata, al punto che ne ottennero il ritiro. La seconda terribile evidenza è che la priorità dell’Oms in pandemia sembrava proprio quella di garantirsi i finanziamenti.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.










