2020-05-12
La Procura non indagherà sui soldi per liberare la Romano da Al Shabaab
A differenza dei sequestri a scopo d'estorsione, non ci sono norme in caso di finalità terroristiche. Fonti d'intelligence: la donna scambiata anche col rilascio di estremisti. Mentre su social arabi centinaia di utenti celebrano la conversione all'islam di Silvia Aisha Romano, nessuno indagherà sul pagamento del suo riscatto da parte del governo italiano ai terroristi islamici di Al Shabaab. Nemmeno questa volta. Lo annuncia alla Verità lo stesso pm Sergio Colaiocco che ha in mano il fascicolo sul rapimento della ventiquattrenne milanese liberata nella notte tra l'8 e il 9 maggio. Prosegue, come vedremo, una linea che ormai ha fatto giurisprudenza: la distinzione tra i sequestri a scopo di estorsione e quelli con fini di terrorismo. Negli anni passati lo Stato aveva scelto la linea dura contro i terroristi di casa nostra e le varie anonime sequestri, contestando il favoreggiamento a chi pagava.Ma di fronte ai ricatti degli estremisti islamici lo Stato ha cambiato orientamento. Si paga, ma non si dice. Gli articoli 17 e 18 della legge 124 del 2007 sui servizi segreti consentono agli 007 di porre «in essere condotte previste dalla legge come reato», salvo che non si mettano in pericolo la vita, la salute e la libertà delle persone. Il presidente del Consiglio dei ministri o l'autorità delegata devono «rilasciare l'autorizzazione, motivandola» e, ovviamente, le condotte devono essere «indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi».Ieri abbiamo chiesto in Procura se ci saranno indagini sul pagamento del riscatto e la risposta è stata «no». Colaiocco: «Noi non ci interessiamo dei fatti relativi alla liberazione. A differenza dei sequestri con finalità di estorsione, quelli che avvenivano in Italia a suo tempo, per cui c'è una legge specifica che prevede il blocco dei conti correnti, dei beni (della vittima e di familiari e affini, ndr) e il reato di favoreggiamento. Per i sequestri con finalità di terrorismo non c'è analoga legislazione e quindi qualora qualcuno decida di ottenere la scarcerazione con questo mezzo, quando i sequestri sono per terrorismo non c'è nessuna normativa specifica che disciplini la materia». Prosegue il pm: «Questo è certamente uno di quei sequestri compiuti da bande criminali che hanno finalità terroristiche, per questo, siccome non ci sono i limiti previsti per l'altro tipo di sequestri, non ci sarà un'attività diretta ad accertare come sia avvenuta la liberazione. Rientra nella libera discrezione dell'amministrazione dello Stato scegliere i mezzi che vuole per riportare a casa un italiano, quindi non c'è materia per un accertamento da parte nostra». Ci sarà, invece, «un accertamento finalizzato a individuare i responsabili»: «Il procedimento in corso in Kenya (dove la Romano è stata sequestrata, ndr) è frutto anche della collaborazione tra la Procura generale del Kenya e la Procura di Roma. Adesso vedremo se, dopo questa vicenda e l'attenzione internazionale che ha destato il caso, i somali decideranno di collaborare». Infatti sino a oggi gli scambi con Mogadiscio sarebbero andati a rilento. Colaiocco: «Nel corso dell'indagine abbiamo chiesto collaborazione alle autorità somale, con cui abbiamo difficoltà di rapporti da 30 anni». Come dimostrano le indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. «Purtroppo c'è grande lentezza», continua il pm. «Trattandosi di uno Stato che ha mille problemi, ovviamente la loro priorità non è rispondere alle rogatorie degli altri Paesi. Quando abbiamo avuto la ragionevole certezza che la Romano fosse in Somalia abbiamo chiesto collaborazione e supporto alle autorità somale, con scarsi risultati. Speriamo che alla luce di questi nuovi fatti si possa realizzare un'utile collaborazione». E proprio ieri il giudice federale della Corte suprema e procuratore generale della Somalia, Sulaymaan Maxamed Maxmuud, ha reso noto di stare «investigando sul caso della Romano e di essere interessato a ottenere il supporto dell'Italia nelle indagini e nello sviluppo dell'azione penale contro i sequestratori». Dalle carte della Procura federale potrebbero emergere aspetti che l'Italia non è intenzionata ad approfondire, come quelli legati al riscatto. Ieri una nostra fonte ci ha riferito che nel pacchetto pattuito per la consegna della Romano sarebbe entrato anche il rilascio di alcuni membri dell'unità di pirati addetti ai sequestri voluta da Al Shabaab. Un bandito sarebbe stato liberato in Etiopia su cauzione. Anche per la liberazione della Romano, come in molte altre occasioni, si è diffusa la voce di una contropartita di diversi milioni di dollari. Secondo fonti somale i rapitori avrebbero incassato 1,5 milioni, ma c'è chi riferisce di cifre superiori. Le informazioni potrebbero non essere in contraddizione e parte del riscatto potrebbe essersi frammentato nel passaggio da un mediatore all'altro. In passato la Procura di Roma aveva intercettato telefonate in cui si parlava di soldi, per esempio nel caso di Federico Motka, cooperante italosvizzero, ma le indagini non hanno permesso di accertare il pagamento. Forse perché i soldi utilizzati provengono da fondi riservati della presidenza del Consiglio e dell'Aise, il servizio segreto esterno. Poi il denaro arriva a destinazione attraverso passaggi che permettono di schermare pagatore e destinatario. In questo caso sarà ancora più difficile seguire la filiera dei soldi, come insegnava Giovanni Falcone, perché Al Shabaab usa un sistema arcaico di credito basato sulla parola detto hawala.Le polemiche sui riscatti hanno iniziato a essere particolarmente accese ai tempi del rapimento (era il 2004) di Simona Torretta e Simona Pari e in tempi più recenti si sono riaccese dopo il rilascio di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Per loro, nel 2015, il governo Renzi avrebbe sborsato ben 11 milioni di euro. Ieri il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Raffaele Volpi, ha chiesto di abbassare i toni: «Continui solleciti sui rapiti potrebbero compromettere i rilasci».Intanto Silvia Romano ieri è tornata a casa, nel suo appartamento di Milano, nel quale vive con la mamma. La cooperante nel pomeriggio si è affacciata per salutare i giornalisti e gli amici del quartiere. Capo coperto e abito tradizionale somalo, era vestita come al suo arrivo in Italia. Ha messo la mano sul cuore e ha chiesto di rispettare questo suo momento. E siccome la sua conversione all'islam è stata oggetto di critiche aspre e di insulti, tanto che si è discusso della possibilità di assegnarle una tutela per ragioni di sicurezza. Al momento, però, al tavolo tecnico della prefettura che si occupa della questione non è stato inserito un punto all'ordine del giorno che riguarda la protezione della ragazza.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)