
Oggi si festeggia la ricostituzione di uno Stato che per 123 anni era stato spartito tra Austria, Russia e Prussia. Il ritorno all'indipendenza fu guadagnato dal valore di 2 milioni di soldati durante la Prima guerra mondiale. Nella storia gli Stati nascono e muoiono. Pochissimi, una volta scomparsi, risorgono. La Polonia è rinata dalle sue ceneri esattamente un secolo fa, dopo 123 anni in cui era scomparsa anche dalle cartine geografiche, nonostante i 1.000 anni di storia e il glorioso passato di potenza estesa dal Mar Baltico al Mar Nero. Se l'Europa non si è dovuta sottomettere all'islam sotto la spinta militare ottomana, lo deve assai probabilmente al re polacco Giovanni III Sobieski, che con il suo esercito dall'invitta cavalleria pesante degli «ussari alati», quando tutto sembrava perduto nel 1683, aveva spezzato l'assedio di Vienna e sconfitto a Kahlenberg i turchi, definitivamente. Ma poiché la riconoscenza è il sentimento del giorno prima, pezzo dopo pezzo nel 1772, 1793 e 1795 Austria, Prussia e Russia si sarebbero spartite un Paese, che aveva fatto in tempo a elaborare il 3 maggio 1791 la prima costituzione dell'Europa moderna e la seconda al mondo dopo quella americana. Talmente avanzata da rappresentare un pericolo «rivoluzionario» per le confinanti monarchie assolute. Dal 1795 i polacchi, non avendo più uno Stato, avevano dovuto difendere la loro identità nazionale, più volte oggetto di tentativi di sradicamento, attraverso la lingua, la cultura e la fede cattolica. Tutti i tentativi rivoluzionari dell'Ottocento erano stati repressi nel sangue, con le forche e con la diaspora degli intellettuali, soprattutto da parte della Russia zarista. Lo scoppio della Prima guerra mondiale avrebbe visto combattere quasi 2 milioni di polacchi con uniformi russe, tedesche, austroungariche, ma anche francesi, italiane, canadesi, americane: con gli oppressori, dai quali ci si aspettava riconoscenza o aiuto, e contro gli oppressori, per guadagnarsi il diritto all'indipendenza. Al prezzo di 450.000 caduti e con un avventuroso quanto complesso disegno politico, la Polonia risorgeva nel 1918 e oggi celebra l'11 novembre come la festa nazionale della ricostituzione dello Stato. La data è più convenzionale che fattuale, perché viene fatta coincidere con la fine del primo conflitto mondiale, concluso a sua volta convenzionalmente all'undicesima ora dell'undicesimo giorno dell'undicesimo mese. Dopo la sua istituzione la festa è stata celebrata solo due volte, nel 1937 e nel 1938. Proibita dai nazisti e dai sovietici, dopo la quarta spartizione definita nel protocollo segreto del patto Ribbentrop-Molotov, il regime comunista instaurato da Stalin nel 1945 la cancellò dal calendario. È stata ripristinata solo dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989. Il ritorno all'indipendenza della Polonia ha seguito un percorso accidentato, incerto, complicato e non del tutto risolutivo. Nel 1914 due erano le visioni politiche elaborate per riconquistare l'indipendenza: quella dei partiti di sinistra, che appoggiava come leader il socialista Józef Pilsudski, avversava la Russia ed era orientata ad avvalersi degli eserciti degli imperi centrali per liberarsi dal giogo zarista; le destre sostenevano il nazionademocratico Roman Dmowski, confidando nell'aiuto francese e russo, quindi nell'Intesa, per scrollarsi di dosso gli austro-tedeschi. Per assicurarsi il grande serbatoio di soldati dai tre lembi della Polonia, ambedue le parti impegnate nel conflitto avevano lanciato appelli a combattere nelle proprie fila, il 7, 9 e 14 agosto 1914. Il 5 novembre 1916 gli imperi centrali decidono la costituzione di uno Stato polacco «indipendente» nei territori della Polonia ex russa appena conquistata militarmente. In prospettiva di restaurazione monarchica, dovrà essere governata in via transitoria da un Consiglio di Stato (costituito però solo il 14 gennaio 1918) presieduto da Pilsudski ma sotto tutela austro-tedesca. Lo zar Nicola II il 25 dicembre 1916 lancia un ordine del giorno ai soldati polacchi spronandoli a combattere per una «Polonia libera da ricostituire con le tre province ora separate». Anche le potenze dell'Intesa, il 12 gennaio 1917, a Roma, intervengono dichiarando che quella guerra viene combattuta anche per liberare le nazioni oppresse nell'impero multinazionale degli Asburgo. Due giorni dopo il diritto della Polonia a ricostituire i tre monconi in uno Stato unitario è deliberato a Parigi dalla Conferenza delle massonerie delle nazioni alleate. Il presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson il 21 gennaio, nel discorso dell'Unione, lancia l'appello a una Polonia unita e sovrana. Il 2 giugno Pilsudski esce dal Consiglio di Stato e il 9 le Legioni polacche ai suoi ordini rifiutano di essere inquadrate negli eserciti imperiali. Il comandante ribelle è arrestato e imprigionato nella fortezza di Magdeburgo. Altri 5.000 polacchi vengono disarmati e incarcerati. Il governo francese il 20 settembre riconosce il Comitato nazionale polacco (Knp) di Dmowski come unico rappresentante e accelera nella creazione di un'armata polacca affidata al generale Józef Haller de Hallenburg. Gli esuli polacchi in Italia avevano già fatto breccia nel re Vittorio Emanuele III con l'appello a liberare i loro connazionali in divisa austroungarica prigionieri degli italiani, tanto che alla fine del 1917 erano stati aperti tre campi di raccolta per militari polacchi nei pressi di Caserta, Santa Maria Capua Vetere e La Mandria di Chivasso, vicino Torino, dove erano stati addestrati 28.000 soldati e circa 250 ufficiali, per cinque reggimenti fucilieri e uno di artiglieria. Tra le cinque unità di fanteria, una è intitolata a Giuseppe Garibaldi, un'altra ancora a Francesco Nullo, un garibaldino che aveva combattuto ed era morto per la libertà della Polonia nella rivolta del 1863. Crollata la Russia zarista nel 1917, l'8 gennaio 1918 il presidente Wilson di fronte al Congresso degli Stati Uniti aveva dedicato il tredicesimo dei suoi «14 punti per una pace generale» auspicando la creazione di uno «Stato indipendente polacco che si estenderà sui territori abitati da popolazioni indiscutibilmente polacche». Principio ripreso il 3 giugno 1918 nella dichiarazione congiunta dei governi di Francia, Gran Bretagna e Italia: «la creazione di uno Stato polacco unito e indipendente costituisce una delle premesse per una pace durevole». Il 23 agosto il governo rivoluzionario russo abroga unilateralmente i trattati di spartizione della Polonia del XVIII secolo e il 7 ottobre il Consiglio di reggenza sotto tutela austro-tedesca lascia proclamare la ricostituzione dello Stato polacco ispirata al 13° punto di Wilson. Cracovia e altri centri minori insorgono e si liberano delle guarnigioni austroungariche. Il 1° novembre l'autoproclamato Stato polacco indipendente rivendica come proprie frontiere le ultime legali, quelle del 1772, nonostante la presenza di forti minoranze ucraine, bielorusse, tedesche, ceche. Il 6 novembre a Lublino i partiti danno vita a un governo provvisorio presieduto dal socialista Ignacy Daszynski che il 10 novembre, con il Consiglio di reggenza, attribuisce i pieni poteri a Pilsudski appena tornato a Varsavia dopo 16 mesi in fortezza. Il giorno dopo i soldati tedeschi vengono espulsi. Il 14 Pilsudski è capo provvisorio dello Stato e il 16 invia agli alleati un telegramma col quale chiede il riconoscimento della Polonia e l'invio a Varsavia di rappresentanti diplomatici: «Notifico agli Stati belligeranti e ai governi neutrali e alle nazioni l'esistenza dello Stato indipendente di Polonia che incorpora tutti i territori della Polonia unita». Ma la storia non avrebbe risparmiato ulteriori drammi alla «nazione martire».
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